Se Barbie è di fatto l'evento mainstream del 2023, registrando anche il miglior incasso dell'anno finora, Talk to Me dei Philippou] rappresenta quello di genere e autoriale. Entrambi i titoli hanno sfruttato un marketing virale brillante basato sugli elementi iconici e strutturali che li compongono, con risultati eccellenti. L'esordio cinematografico degli youtuber australiani è divenuto in pochi mesi un vero caso di genere, conquistando l'attenzione delle critica e del grande pubblico partendo dal concetto di una semplice mano; che può essere tutto e può essere niente.
E i Philippou hanno deciso di farla essere qualsiasi cosa, partendo dall'oggetto per poi interrogarsi sul soggetto, dal simbolo al singolo, almeno per quanto riguarda il tessuto effettivo del racconto, dimostrandosi in realtà universale nelle sue diverse letture e analogie, superando il genere in sé per parlare di altro. Di molto altro. Talk to Me è insieme elevated horror ma anche jump scare, ha tanti messaggi sociali incastonati all'interno della sua terrificante cornice, alcuni chiari e dichiarati, altri meno. Ed è vero: il film, di cui vi abbiamo già parlato nella nostra recensione di Talk to Me, parla soprattutto di elaborazione del lutto attraverso la possessione, rendendo il percorso della protagonista estremamente catartico per la stessa, in un contesto narrativo che esamina da vicino la cultura dell'instant e della viralità - appunto - mediata dai social. Una riflessione in particolare resta però più in sottotesto, per quanto poi vada a comporre attivamente l'analogia che sorregge l'intera struttura concettuale di Talk to Me: quella sull'orrore della dipendenza. [ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]
La storia di Mia
Mia (Sophie Wilde) è un'adolescente australiana in crisi. Due anni prima ha perso la madre, morta in casa in condizioni sospette, e durante l'anniversario del lutto non sopporto di condividere gli spazi casalinghi con il padre. Non vuole quel tipo di sofferenza e tenta come può di ricacciarla, trovando il suo porto sicuro nella famiglia di Jade, la sua migliore amica. Va e viene a piacimento ed è quasi una sorella maggiore per Riley, il fratello minore di Jade. Persino Sue, madre di Jade e Riley, la considera una figlia, parte della loro quotidianità. Ma il dolore è sempre lì in agguato e il desiderio di poter comunicare con la mamma defunta diventa sempre più forte col passare del tempo, specie in questo secondo anniversario dalla sua scomparsa. Quando alcuni compagni di Mia cominciano a postare dei video in cui partecipano a delle sedute spiritiche molto particolari, tanto da mostrarlo come un gioco, la ragazza è terribilmente incuriosita dalla faccenda, desiderosa di provare questa fantomatica connessione con l'aldilà. Le regole sono semplici: si stringe questo artefatto a forma di mano, si pronunciano le parole "parlami", si sceglie sostanzialmente se procedere o meno con la possessione di questo o quello spirito e, una volta deciso, si invita quest'ultimo dentro il proprio corpo sussurrando "entra in me" - per non più di 90 secondi. Mia prova ed è estasiata, così come tutti gli altri ragazzi.
Nonostante la potenza oscura dell'esperienza, la condivisione di momenti davvero glaciali e terrificanti, con eventi anche spaventosi di stampo soprannaturale, i partecipanti sembrano solo divertiti, pronti a ripetere il gesto e vivere attimi esaltanti e fuori dall'ordinario. Per Mia - ma anche per gli altri - il gioco diventa orrore quando Riley viene posseduto da uno spirito malvagio dopo che la protagonista ha convinto la sorella a farlo partecipare nonostante fosse ancora troppo piccolo. In quella stessa seduta Riley viene anche posseduto dalla mamma di Mia, generando in lei la speranza di poterla riabbracciare nonostante la sua dipartita. Ma tutto cade in pezzi: Mia viene allontanata da Sue, colpevolizzata delle condizioni di Riley, e la ragazza si ritrova sola in quella casa che non vuole abitare, con un padre a cui non vuole parlare e con un dolore troppo grande da poter affrontare. Ed è così che decide di reprimerlo cercando un'escamotage alla sofferenza, una via di fuga, un modo per stare bene, stringendo la mano all'aldilà e permettendo al male d'insinuarsi in lei fino alle più tragiche eppure scontate conseguenze.
Talk to Me è l'emblema dell'horror moderno. Pregi e difetti compresi
Spirito tossico
Come intuibile dalla storia di Mia, l'intero tessuto narrativo di Talk to Me appare in analogia una mirata e ben edificata riflessione di genere sulla dipendenza. Al suo interno è l'elaborazione della perdita a farsi maggiore strada tematica da percorrere, eppure a un livello di lettura gerarchico più recondito ma insieme più alto è proprio il modo in cui si affrontano dolore e mancanze (di cui solitudine e lutto sono solo una piccola parte) ad essere al centro del discorso cinematografico dell'opera dei Philippou, con la dipendenza in sottotesto. Accostando il gioco delle possessioni di Talk to Me a droghe o stupefacenti vari, l'analogia è presto servita. Si comincia con ingenuità e si continua per astinenza. Si prova una, due, tre volte e in men che non si dica si diventa schiavi della sostanza, dell'oggetto. E questa comincia a cambiarti nella mente e nel corpo, riuscendo a tirare fuori i lati più estremi della singola personalità, specie se particolarmente instabile, afflitta, fragile e psicologicamente turbata. Si inizia a desiderare quella sostanza sempre di più: il corpo la pretende, la chimica delle emozioni non può più farne a meno. Cervello e metabolismo non producono più il necessario al sostentamento psico-fisico.
Si rompe un delicato equilibrio: arrivano i dolori, l'astinenza, le visioni. E chiunque farebbe di tutto per stare meglio, abusando ancora e ancora di stupefacenti e di sé fino all'inevitabile. I legami iniziano a spezzarsi, le persone ad allontanarsi, la vita va semplicemente in frantumi. Tutto per un'ingenuità iniziale nata dalla sofferenza, "per curiosità", convinti poi di essere più forti di tutti gli altri, di sapersi controllare, di non essere - come invece si è - giovani e sprovveduti. E in un attimo il mondo si ribalta e ci si ritrova all'Inferno. Quello che fa Talk to Me, in buona sostanza, è prendere tutto questo discorso e trasformarlo in una lunga metafora horror dove i demoni della dipendenza diventano piuttosto reali, le ferite del corpo e dell'anima decisamente evidenti e la discesa agli inferi puntualmente letterale. Basta un "primo incontro", una "stretta di mano", il "permesso di entrare" e il danno è fatto. In un niente, si diventa la persona dall'altro lato, quella consapevole delle proprie leggerezze e delle proprie debolezze, pagando per le prime ma imparando almeno a conoscere e accettare le seconde, anche quando la mano che stringevi per gioco diventa la tua. Dall'oggetto al soggetto.