"Preparate i fazzoletti". Bisognerebbe mettere questo disclaimer ad inizio proiezione di Super/Man: The Christopher Reeve, ovvero il documentario che celebra e ricorda l'uomo dietro l'eroe, appena uscito al cinema in occasione del 20° anniversario della morte del primo interprete dell'Uomo D'Acciaio. Per l'occasione Matthew Reeve, il maggiore dei tre figli dell'attore, ha presentato a Roma il film insieme ai due registi, Ian Bonhôte e Peter Ettedgui. Ne abbiamo approfittato per una chiacchierata con loro a proposito del ritratto emerso dalla pellicola.
Christopher Reeve: un uomo dai mille volti
Mentre entriamo nella sala per l'intervista, ci fanno i complimenti per la maglietta che portiamo (con la mitica S al centro), ma per noi era davvero il minimo per onorare il padre, e dopo aver visto il documentario (leggi la recensione) ne siamo ancora più convinti. Un film che non è per nulla ruffiano ma che riesce a commuovere in modo naturale ed organico. Ci sentiamo di paragonarlo a quando si rovista tra la vecchia roba in soffitta.
Matthew Reeve ride, per poi correggerci bonariamente sul fatto che i filmini familiari che si vedono nella pellicola fossero conservati in cantina. Nel realizzare un progetto come questo spesso si scopre qualcosa di inedito non solo sull'attore e sull'uomo (per i registi) ma anche sul proprio padre (per Matthew): "Ho scoperto così tanto su di lui. Non solo cose che non sapevo, ma anche ricordi che avevo dimenticato di Pasqua, Halloween o qualche viaggio in barca ed improvvisamente inizi a piangere mentre ti ricordi tutta l'esperienza riguardando i filmati".
Non è tutto: "Scavando negli archivi abbiamo trovato dei diari che mio padre aveva curato da metà anni '70 quand'era studente. Ho imparato molto leggendoli ed è stato come finire in una sorta di tana del bianconiglio di YouTube dove scopri un video casuale di un'intervista australiana del 1977 lunga 45 minuti. Non l'avevo mai vista, è stato incredibile trovare questo materiale che è la fuori e di cui non sapevo assolutamente nulla. Specialmente quello che esiste prima che io nascessi".
Peter Ettedgui ci racconta invece il punto di vista dei cineasti: "Noi abbiamo scoperto praticamente tutto (ride). Tanti ricordi a cui attingere. Quando abbiamo iniziato come la maggior parte delle persone - chiunque sia un po' più grande - conoscevamo Christopher Reeve come Superman e sapevamo che aveva avuto un gran brutto incidente che lo aveva paralizzato. Insieme al suo attivismo e altrettanto poco della sua amicizia con Robin Williams. Ma c'era così tanto di cui non eravamo a conoscenza. Girare il film è stato una sorta di costante viaggio alla scoperta".
Super/Man: questione di eredità
Super/Man: The Christopher Reeve Story parla di padri e figli, di lascito ai posteri. Qual quello più grande che l'interprete di Superman ci ha lasciato? C'è la Fondazione, che i tre figli hanno preso a cuore dopo la morte della madre dell'ultimo, Dana, avvenuta solo un anno e mezzo dopo quella di Chris, ma forse c'è molto di più. Un ideale?
Ian Bonhôte conosce la risposta: "Per me i suoi tre figli. Davvero, penso che la vita sia molto più semplice di quanto pensiamo in realtà. Penso che bisogna lavorare sodo soprattutto per non rovinare la propria progenie e, quando si fa un po' di casino, cercare di migliorare il proprio metodo da genitori. Penso sia stato bellissimo da vedere come Chris sia cresciuto nella propria famiglia e come sia diventato coi propri figli. Abbiamo passato molto tempo in quel frangente. Penso che quella sia un'eredità in cui tutti si possono identificare, anche chi vedrà il documentario. Tutti abbiamo nonni e genitori. Non tutti abbiamo figli ma abbiamo nipoti o qualcuno della nuova generazione dopo la nostra".
Matthew invece ricorda la forza del padre: "Dopo l'incidente papà ha trovato questa tempra interiore e spero che la sua eredità che perduri sia che chiunque può farcela, tutti hanno dentro di sé quel (super)potere*, l'energia per resistere e perseverare, non devi essere Superman per riuscirci".
Superman e la Kriptonite nel documentario di Ian Bonhôte e Peter Ettedgui
A proposito di questo, c'è un aspetto che ci ha colpito nel documentario. L'idea visiva della Kriptonite che cresce sul corpo di Chris e che ritorna a partire dall'incidente fino alla sua morte, nel 2004. Ognuno di noi ha la propria Kriptonite. Chris ci ha lasciato una lezione su come combatterla, come dice il figlio maggiore: "Tutti hanno i momenti bui e le giornate no. Tutti subiscono battute d'arresto. Tutti rimangono delusi. Tutti affrontano una perdita. Tutti si lasciano. Tutti possono avere relazioni complicate con genitori e amici. La lezione di mio padre penso sia stata che è come vai avanti e prosegui a renderti davvero un eroe. Ecco qual è il vero superpotere".
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Essere l'Uomo d'Acciaio
Il documentario parla della difficoltà per Reeve di dividersi tra i film di Superman e ruoli più 'seri'. Vent'anni dopo con l'ascesa dei cinecomic gli attori hanno ancora difficoltà con questo dualismo oppure c'è più elasticità mentale nell'industria e tra il pubblico. Dicono la loro i due registi a partire da Bonhôte: "Penso che dipenda da caso a caso e dalle persone coinvolte. Alcuni hanno avuto ruoli commerciali ma ottengono ancora piccoli ruoli autoriali. Penso che ciò che ha fatto arrivare Chris nel pantheon degli attori - anche se non so come lo veda il Dio degli attori - sia stato grazie al suo lavoro successivo. Trappola mortale è un gran film. Ci sono molti ruoli validi che ha interpretato ma che non hanno avuto lo stesso successo. Tristemente a volte. Gli attori hanno bisogno di un ruolo serio e dark ogni tanto oltre che di quelli più commerciali altrimenti rischiano di finire nel dimenticatoio. Per i nuovi attori penso ci siano le stesse difficoltà".
Si permette di dissentire Ettedgui - in una simpatica scaramuccia, classica per due filmmaker che lavorano in coppia e sono affiatati: "Quando Chris è stato Superman era l'unico ad avere questo "problema" - il primo, un pioniere - oggi invece vengono prodotti così tanti cinecomic si è un po' normalizzato il processo per un attore di dover bilanciare questi due aspetti della carriera".
Chiude la diatriba Matthew: "Inoltre penso dipenda se è il primo ruolo per cui vengono riconosciuti oppure se arriva dopo vent'anni di carriera, magari a 40 anni ad interpretare un supereroe (come Nicholson o Downey Jr.), penso che in quel caso abbiano più flessibilità. Se è il primo ruolo conosciuto al pubblico, penso comunque che sia meno difficile di quanto lo era prima".