Uno dei film su cui siamo stati più o meno tutti concordi tra colleghi alla scorsa Mostra di Venezia è Storia di un matrimonio, il film Netflix che arriva finalmente nel catalogo della piattaforma streaming dopo un passaggio in sala. Ne abbiamo parlato molto nei giorni al Lido, lodandone la scrittura ispirata e la regia accorta, oltre che le incredibili interpretazioni dei suoi protagonisti Adam Driver e Scarlett Johansson e di altrettanto bravi comprimari come Laura Dern, Alan Alda e Ray Liotta; abbiamo avuto modo di parlarne in un'intervista con il suo sceneggiatore e regista Noah Baumbach, nei giorni scorsi a Roma, per approfondire il processo di creazione di uno dei migliori film del 2019.
Questioni di casting
Sia Adam Driver che Scarlet Johansson sono straordinari nel film. Cosa l'ha spinta a sceglierli? Quali delle loro caratteristiche le servivano per questi personaggi?
Noah Baumbach: Avevo in mente Adam Driver ancora prima di scrivere qualunque appunto o parte dello script, perché avevamo già lavorato insieme tre volte prima di questo film e avevamo parlato di aspetti di questa storia. Gli avevo parlato di alcune idee di questa storia d'amore raccontata attraverso un divorzio ed è stato molto partecipe della sua creazione. Mi è subito piaciuta l'idea di Scarlett Johansson, che conoscevo un po' da qualche anno, così l'ho contattata e le ho detto che avevo qualcosa che avremmo potuto fare insieme. Non avevo ancora scritto la sceneggiatura e mi è stato molto d'aiuto avere sia loro due che Laura Dern in mentre quando ho iniziato a farlo, mi è stato d'ispirazione poterli immaginare, mi ha dato idee per le scene e in effetti loro stessi me ne hanno date direttamente: parlavamo di qualcosa e altre idee venivano in mente. Prendiamo il monologo di Scarlett nell'ufficio di Nora: immaginare lei che lo recitava mi ha dato la sicurezza di provare determinate cose che altrimenti non avrei scritto, mi ha permesso di capire meglio il personaggio. Non riesco a immaginare come sarebbe stato lo script se non avessi avuto quegli attori in mente.
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Quante versioni dello script ha scritto? Quanto è cambiata la storia nel corso della scrittura da quando l'ha immaginata a quando l'ha terminata?
Direi che è cambiata molto, perché avevo scritto diverse scene che distoglievano l'attenzione dal divorzio in quanto tale. Avevo scritto altre scene dei protagonisti insieme al loro gruppo di amici, con alcuni di loro che prendevano la parte di uno o dell'altro; scene che mi sembravano anche interessanti, ma poco necessarie. Allora le ho tirate via e mi sono tenuto sul binario principale della storia che è quella del divorzio e, attraverso di esso, di un matrimonio che è sempre presente.
Quanto è stata importante l'esperienza de Il calamaro e la balena per realizzare Storia di un matrimonio?
Non ci ho pensato direttamente, anche se è ovvio che si possono tracciare dei paralleli tra loro a causa del soggetto. Non ci ho pensato in anticipo, ma guardandoli in prospettiva ho capito che stavo analizzando in Storia di un matrimonio aspetti del divorzio dei miei genitori dal loro punto di vista, aspetti che non sono così evidenti nel film precedente, che è raccontato dal punto di vista dei ragazzi. Ma è qualcosa che ho capito dopo: non guardo quel film da un po', non li ho esaminati insieme né ho riconsiderato lo script. In entrambi il soggetto è il divorzio, ma sono anche dei film sulla famiglia, sull'essere genitori e sull'infanzia. Più su questi ultimi aspetti per quanto riguarda Il calamaro e la balena, più sulla paternità e il matrimonio questo nuovo lavoro, che si concentra su ciò che un divorzio fa a una famiglia.
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Dietro le quinte di Storia di un matrimonio
Tutto quello che ha scritto è stato girato o qualcosa è rimasto fuori?
C'è sempre qualcosa che resta fuori, piccoli pezzi che restano fuori durante il montaggio, ma per lo più è lo script così come è stato scritto. Ciò che trovo molto d'aiuto è lavorare alla sceneggiatura insieme alla mia montatrice Jennifer Lame, le do la prima versione della sceneggiatura e ci lavoriamo come se lavorassimo al montaggio finale. Il tempo è molto importante per me, per come lavoro. Mi piace avere il tempo di ripetere le scene molte volte con gli attori, esplorarle a fondo, così eliminiamo già in fase di script del materiale che probabilmente non useremmo. Ciononostante, capita sempre di girare qualcosa che poi non finisce nel montaggio finale.
Il film contiene uno dei litigi più aspri e violenti tra due persone che si amavano. Come l'avete realizzata? Era tutto scritto o c'è dell'improvvisazione?
Era tutto scritto e l'abbiamo provata per un bel po' di tempo. Poi abbiamo provato tutto il film tranne quella scena, perché è molto lunga, sono undici pagine di sceneggiatura, e l'abbiamo girata in due giorni. Settimane prima di girarla eravamo con Adam e Scarlett in sala prove per poterci abituare al linguaggio, perché la scena è descritta fin nei minimi dettagli, comprese le parti in cui le battute dei due si sovrappongono. Ha una certa musicalità con cui dovevano entrare in sintonia. Poi abbiamo continuato le prove sul set per definire ogni singolo aspetto. Abbiamo girato con una sola camera per due giorni, come ho detto, e quando siamo arrivati ai primi piani sono stato molto dettagliato su ciò che volevo: sapevo in quali punti avrei tagliato, così ho chiesto loro determinati movimenti su quelle battute che avrebbero avuto un forte impatto sul taglio. Per esempio dicevo loro "Taglieremo su questa parola, quindi quando la dici guarda a sinistra" e cose così. Vista in questo modo non è molto diverso da pianificare una sequenza d'azione e dà la sensazione di immediatezza e improvvisazione anche se non lo è, è emotivamente improvvisata e potete percepire quanto abbiano dato in quella singola scena, ma l'hanno fatto all'interno di quei confini molto ben definiti.
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E come ci si arriva?
Anche se gli attori sono così autentici, questo non vuol dire che non ci siano versioni migliori di altre. Un aspetto fondamentale è lasciarsi trasportare dalla scena, per questo anche se l'abbiamo girata per due giorni, ogni volta bisognava ripartire da un momento precedente anche se si stava girando una parte successiva, per ripercorrerla fino alla battuta che ci serviva in modo da sentirla. Per loro è stato molto stancante, ma lo è stato anche per me anche soltanto stare lì con loro. Per questo era importante fare delle pause, fare un giro dell'isolato, prendere un po' d'aria. Ma non è l'unica sequenza che ha una carica emotiva così forte, perché l'amore tra queste persone continua a esistere nonostante quello che stanno vivendo.
E ogni volta che c'è uno di questi momenti particolarmente carichi, segue sempre un passo indietro. Come avete ottenuto questo equilibrio?
In qualche modo è insito nella storia stessa, perché è sia l'effetto emotivo della separazione e del divorzio, sia la sua componente legale, che travolge la tua vita, che le mette in una fase di stallo finché non è tutto risolto. Mentre tutto questo succede, loro continuano a essere sposati, continuano a essere genitori e professionisti, continuano a esserci persone nel mondo e la vita continua ad andare avanti e non ti aspetta anche se tu senti di essere in pausa. E' qualcosa di cui mi sono reso conto mentre lavoravo allo script. Così ti trovi a ordinare il pranzo nel mezzo di una mediazione o continui a doverti tagliare i capelli e devi cercarti un avvocato mentre cerchi di passare del tempo con tuo figlio. Sono cose che accadono una accanto all'altra, da una parte la forte carica emotiva, dall'altra la banalità della vita che acquista ancora maggior significato quando la si guarda in questo contesto.
Il concetto di casa
Questo è anche un film su New York e Los Angeles, su due aspetti opposti della vita culturale americana. Cosa rappresentano per lei in questo film?
In un certo senso loro sono New York e Los Angeles, le due città rappresentano Charlie e Nicole nel loro scontro legale, ma sento che li rappresentano anche in modo simbolico. C'è un forte collegamento con queste due città e uno dei motivi è l'industria cinematografica, così diversa tra queste due grandi metropoli, ma è anche un elemento che ha alzato l'asticella dal punto di vista narrativo, perché è un altro aspetto che rendeva la loro situazione e il loro conflitto ancora più difficile da risolvere. Ma attraverso queste due città ho esplorato anche l'idea di casa: il film apre con un montaggio di quello che considero vita familiare, di oggetti personali, di luoghi familiari. Invece il film si sviluppa in tanti luoghi di passaggio, temporanei, che non hanno alcun senso di calore e familiarità. Sono sterili, sono uffici, aule di tribunale, l'appartamento di lui a Los Angeles che organizza come una finta casa. La definizione di casa cambia per tutto il film e queste due città rappresentano se stesse, ma anche un'idea.
A proposito di New York, cosa ha pensato quando ha scoperto che il Paris Theather avrebbe riaperto proiettando il suo film?
E' stato fantastico e speciale. Sono cresciuto a New York frequentando quel teatro ed è una dimostrazione importante per Netflix che ha fatto un'operazione non semplice. Quando ho letto che il Paris avrebbe chiuso, ho mandato un messaggio a Ted Sarandos che mi ha detto di averci già pensato. E' molto importante per la città di New York, in cui tanti cinema stanno chiudendo negli ultimi anni.
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