Mezzo secolo è un tempo importante, soprattutto per storie che immaginano il futuro. Eppure è bizzarro che due grandi serie sci-fi abbiamo già compiuto i cinquant'anni d'età, Doctor Who nata nel 1963 e Star Trek, che ha debuttato nel 1966, partorita dalla mente di Gene Roddenberry. Sopravvivere così a lungo nel mondo televisivo richiede capacità di adattamento, ma soprattutto la volontà di tradurre il proprio approccio unico ad un linguaggio che continua a cambiare ed evolvere.
Star Trek ci ha provato più volte, con risultati più o meno lusinghieri, fornendo di volta in volta un punto di vista diverso al proprio modo di intendere la fantascienza ed il mezzo televisivo (o cinematografico, nel caso nel recente reboot targato J.J. Abrams). Quella che arriva oggi su Netflix, anche in Italia e a poche ore dal debutto americano sulla CBS, si chiama Star Trek: Discovery, è la prima serie del franchise da dodici anni a questa parte e punta a diventare un appuntamento imperdibile del mondo della serialità moderna. Ci riuscirà?
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Spazio, ultima frontiera
Una cosa è certa, la CBS ha investito molto per rendere la nuova serie di Star Trek degna di nota ed è chiaro sin dall'incipit, splendidamente fotografato, con le due protagoniste disperse su un pianeta desertico: un primo impatto con lo show che mette subito in chiaro la magnificenza del lavoro fatto dalla produzione, a dispetto di una risoluzione della sequenza che punta più sull'impatto emotivo che sulla verosimiglianza. Un'introduzione che ci fa conoscere da subito il Capitano Philippa Georgiou ed il suo primo ufficiale Michael Burnham, entrambe al servizio sulla USS Shenzhou.
In Discovery, infatti, siamo dieci anni prima del tempo del capitano Kirk e della sua Enterprise che tutti amiamo, più o meno al momento del primo pilot della serie originale. Nella doppia premiere di stagione non c'è ancora la nave che dà il titolo alla serie e la storia che ci viene narrata è quella di un intenso incontro/scontro con una razza ostile e guerrafondaia: i Klingon che tutti conosciamo, che qui ruotano attorno alla figura di T'Kuvma, la cui intenzione è di riunificare le 24 casate del loro Impero, con intenzioni non certo pacifiche.
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Donne al comando
Il cuore di Star Trek: Discovery, almeno di questi primi due episodi, è femminile e batte del potente faccia a faccia tra la Burnham di Sonequa Martin e la Georgiou di Michelle Yeoh. Lo script firmato da Akiva Goldsman e Bryan Fuller, su soggetto dei due showrunner (lo stesso Fuller con Alex Kurtzman), traccia con abilità i caratteri delle due donne e, a differenza delle altre incarnazioni di Star Trek, mette in secondo piano gli altri membri dell'equipaggio con la sola eccezione dell'interessante ufficiale scientifico alieno, il tenente Saru interpretato da Doug Jones. Un'impostazione che si discosta dal canone narrativo dello show di Rodenberry anche per altri due aspetti: prima di tutto la presenza di flashback per arricchire sin da subito il background delle due donne; in secondo luogo nello scegliere di rendere personaggio principale dello show un primo ufficiale e non il capitano della nave.
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50 anni e non sentirli
Ma la poco attenzione alla squadra è un dettaglio che, siamo sicuri, verrà spazzato via con i prossimi episodi, quando la serie entrerà nel vivo della sua storyline principale (e quando sarà possibile mettere da parte qualche spiegone di troppo, dovuto alla quantità di informazioni che rendono densi i primi episodi). Quello che preme sottolineare è come lo spirito di Star Trek sia rispettato, benché attualizzato ai giorni nostri: resta, per esempio, la capacità di raccontare il nostro mondo tra le maglie di quello di fantasia messo in scena; si conferma la voglia di costruire personaggi complessi e ricchi di sfumature, come sembrano essere quelli messi in scena in questa doppia premiere, a cominciare dalla protagonista Burnham, un'umana educata su Vulcano che si trova a combattere tra la sua emotività e la logica che le è stata insegnata.
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Un'attualizzazione che, ovviamente, riguarda anche la componente visiva della serie, sfolgorante e curata nei dettagli, che però può far storcere il naso a chi cerca la coerenza a tutti i costi: come abbiamo detto, la serie è ambientata al tempo del primissimo pilot di Star Trek, ma ne è per forza di cose distante dal punto di vista della messa in scena. Semplice, inevitabile modernizzazione o ci verrà spiegata questa disuguaglianza con qualche stratagemma narrativo in stile Abrams?
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Movieplayer.it
3.5/5