Star Trek: Discovery 2, episodio 4, la recensione: l’importanza di essere Saru

La recensione del quarto episodio di Star Trek: Discovery 2, con un ruolo centrale per il personaggio interpretato da Doug Jones.

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Star Trek Discovery: Doug Jones nell'episodio New Eden

Arrivata all'episodio 2x03, Star Trek: Discovery 2 decide di esplorare un'altra storyline tanto cara agli autori della serie originale: le creature spaziali misteriose le cui sembianze sono praticamente quelle di un blob. Ma come già accaduto due settimane fa nella seconda puntata del nuovo ciclo, la premessa dal sapore molto classico è più un espediente per raccontare una storia ricca di suspense per una quarantina di minuti, puntando su un elemento molto personale: la morte imminente di Saru, il cui ciclo vitale sta per giungere al termine. Queste sono, essenzialmente, le due linee narrative di An Obol for Charon, un episodio che già dal titolo, rimando ai miti greci del tragitto verso gli inferi, evoca l'immagine della morte.

Decessi alieni

Se nelle altre serie del franchise una premessa che ruotava intorno alla morte di uno dei personaggi sarebbe stata vista come una trovata da un episodio con risoluzione facile alla fine (escluse le puntate finali, le morti permanenti tra il 1966 e il 2005 si possono contare sulle dita di una mano), con l'avvento di Star Trek: Discovery abbiamo imparato a prendere la cosa un po' più sul serio: da Philippa Georgiou nell'episodio inaugurale a Gabriel Lorca e Hugh Culber nel corso della prima stagione (senza dimenticare Ash Tyler che morto non è, ma per certi versi è come se lo fosse), la sesta serie live action dell'universo di Gene Roddenberry ci ha abituati a vedere la morte come una cosa seria, che può colpire chiunque in qualsiasi momento. In questa sede aiuta anche il fatto che il personaggio "condannato" sia Saru, forse il più amato dell'equipaggio anche grazie alla performance di Doug Jones, attore raffinatissimo che nel corso dei decenni, principalmente alla corte di Guillermo del Toro, ha trasformato la recitazione sotto strati infiniti di trucco in una vera a propria arte.

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Star Trek Discovery: Doug Jones, Anson Mount, David Benjamin Tomlinson, Rachael Ancheril, Sonequa Martin-Green, Sean Connolly Affleck nell'episodio Brother

Grazie alla sua interpretazione siamo pronti ad accettare la dipartita di Saru, e siamo altrettanto pronti a perdonare gli autori quando salta fuori che il limite biologico della razza del personaggio è fasullo. Questo perché non è una finta sfruttata per generare pathos provvisorio, bensì una rivelazione importante per l'evoluzione di Saru e per il ruolo narrativo del suo popolo in apparizioni future. E al suo fianco c'è una morte vera, quella della creatura misteriosa, che prima di spirare impartisce tutto il suo sapere alla Discovery. Come accaduto in New Eden, l'omaggio alle trame classiche di Star Trek era più una scusante per riempire l'episodio che altro, ma questa volta con risultati ben più soddisfacenti poiché il contenuto emotivo, che nelle settimane passate c'era ma con una presenza altalenante, qui si è imposto in maniera sottilmente devastante tramite il tour de force recitativo di Jones, tremendamente umano sotto una scorza di latex che gli dà il suo volto alieno.

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Virus, traduzioni e conflitti

Star Trek Discovery Stagione 2 New Eden 4
Star Trek Discovery: Anson Mount in una scena dell'episodio New Eden

Per il resto, An Obol for Charon si accontenta di alludere a situazioni a venire, principalmente tramite il rapporto non proprio felice tra Paul Stamets e la nuova recluta Jet Reno (introdotta nella premiere di stagione) e un'altra menzione del problema medico di Tilly. Non manca neanche il contenuto ironico, principalmente quando la trasmissione del sapere dell'entità cosmica avviene tramite un virus, il quale disabilita temporaneamente la traduzione universale a bordo dell'astronave (e l'unico in grado di tradurre tutte le lingue da solo è Saru, alle prese con altri problemi). Ma è tutto secondario rispetto a quel nucleo emotivo che fa sì che anche i passaggi più approssimativi (vedi il debutto di Rebecca Romijn nei panni del vice di Pike) non detraggano dall'efficienza narrativa di un racconto che sa esattamente dove andare a parare e lo fa come solo il franchise di Star Trek al suo meglio sa fare. Rimandato di un'altra settimana l'incontro con Spock, il cui destino è, guarda caso, parzialmente legato all'entità di questo episodio. La strada è ancora lunga, e come Pike nel momento cruciale di questo quarto capitolo, a volte serve quello che gli americani chiamano il salto di fede. E se l'andamento continuerà ad essere così, dovrebbe essere un salto completamente giustificato.

Movieplayer.it

4.0/5