Sposa in rosso, la recensione: Amore e altri guai

La recensione di Sposa in rosso, terzo lungometraggio di Gianni Costantino in sala dal 4 agosto. Tra romanticismo e commedia generazionale, una riflessione sull'oggi e sul concetto di reale.

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Sposa in rosso: Sarah Felberbaum, Eduardo Noriega in una scena del film

C'è il classico plot della commedia romantica, c'è un uragano che alla fine spazzerà via tutto, un finto matrimonio e la voglia di riscatto di una generazione, quella dei quarantenni, che ha visto infrangersi ogni promessa di stabilità. Dopo Ravanello pallido e il racconto generazionale di Tuttapposto Gianni Costantino torna alla commedia e ai temi a lui più cari (come leggerete nella recensione di Sposa in rosso). Il film in sala dal 4 agosto cerca di mettere a fuoco diversi spaccati dell'Italia contemporanea, troppi per riuscire a dedicare a ciascuno l'approfondimento che meriterebbero. Ed è proprio questo il suo tallone d'Achille, complice una durata (quasi due ore) eccessiva e mal sfruttata. In soccorso però arriva un cast ben assortito e sempre in parte.

Una commedia romantica tra verità e finzione

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Sposa in rosso: Sarah Felberbaum in un'immagine

"La verità è sopravvalutata", recita una battuta del film destinata a diventare la frase manifesto di Sposa in rosso: i meccanismi usati all'interno sia pure di una commedia sentimentale, sono quelli del disvelamento di molteplici verità, come in un gioco di scatole cinesi. Una struttura che corre per tutto il tempo sul doppio binario realtà - finzione, dove la seconda diventa strumento per definire il reale e renderlo paradossalmente più autentico. Nel mezzo la promessa di una storia d'amore inscenata per tirarsi fuori da una serie di guai finanziari; quando Roberta (Sarah Felberbaum) e Leòn (Eduardo Noriega), quarantenni precari, si incontrano su un autobus de La Valletta di Malta succede l'imprevedibile. Lei, incinta di un uomo sposato che minaccia di portarle via il figlio quando sarà nato, le sviene tra le braccia; lui, reporter di guerra squattrinato e appena sfrattato di casa, si ritrova a soccorrerla e accompagnarla all'ospedale più vicino. Non sa che il giorno dopo dovrà vedersela con la famiglia di lei, che alla lieta novella non ha saputo resistere precipitandosi dalla Puglia a Malta in grande spolvero.

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Sposa in rosso: Anna Galiena, Maurizio Marchetti in una scena del film

È a quel punto che Roberta lo presenta come il padre del bambino, una messa in scena che sarebbe dovuta durare cinque minuti ideata per liberarsi della loro presenza ingombrante e che invece si trasforma in un colpo grosso: un matrimonio finto al paese di lei per intascare i soldi delle buste e mettere fine a tutti i loro problemi economici. Tutto ben orchestrato grazie al contributo di due alleati preziosi come Giorgio (Massimo Ghini), l'amico guru di Leòn che non vede l'ora di calarsi nei panni del finto prete, e l'anticonformista zia di Roberta, Giada (Cristina Donadio), costumista teatrale che ha ridotto all'essenziale i rapporti con la famiglia borghese e tradizionalista. Potrebbe andare meglio se non fosse per l'assillante madre di lei, Lucrezia (Anna Galiena), un fratello, Sauro (Dino Abbrescia), tracotante e determinato a far saltare il matrimonio, e un padre fuori dagli schemi, Alberto (Maurizio Marchetti), figura solitaria che fa di tutto per mantenersi estraneo alle questioni familiari. Ne scaturirà un'avventura delirante tra sentimenti sopiti e verità nascoste con cui ognuno dovrà fare i conti.

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Una galleria di pittoreschi personaggi

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Sposa in rosso: Cristina Donadio in una scena del film

La narrazione procede attraverso i generi: commedia romantica e generazionale, riflessione esistenziale e favola, infarcita qua e là di citazioni, da Serendipity - Quando l'amore è magia a Il mago di Oz, fino a quella ricorrente di Braveheart ("La gente si sposa, che c'è da capire? Dipende da come va a finire. E come va a finire?", "Come Mel Gibson in Braveheart: Libertà!"). Attorno ai due protagonisti si agita una girandola di personaggi esagerati, maschere a cui ciascun interprete regala il meglio di sé: le gattopardiane prozie che non escono di casa da trentacinque anni, rintanate ai piani alti dell'antica tenuta di famiglia; un padre sfuggente in cerca di una via di fuga da quella comunità chiassosa e asfissiante ("Libertà!"); lo stravagante amico di Leon, un pittoresco Massimo Ghini che sotto barba e chioma fluente si impegna a dispensare pseudo aforismi sulla vita e il Bel Paese

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Sposa in rosso: Dino Abbrescia in una scena del film

("L''Italia è il paese della fantasia e della creatività, si recita a soggetto. In Italia la realtà si inventa e diventa vera. La verità è la morte, è la menzogna che è vita"); l'aristocratica madre di Roberta, Lucrezia, donna d'altri tempi cristallizzata nelle sue convinzioni ormai fuori dal tempo; e il fratello Sauro, incarnazione della più bietta mediocrità. Peccato che la scrittura non renda abbastanza giustizia, appiattendo le sfumature e centrifugando temi che avrebbero avuto bisogno di un più ampio trattamento.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di Sposa in rosso ribadendo l’idea sostenuta fino a qui: apprezzabile il tentativo del regista Gianni Costantino di mettere a fuoco diversi spaccati dell’Italia contemporanea tornando alla commedia, linguaggio che conosce bene e si vede. Peccato però che i temi trattati siano troppi per poter essere approfonditi ed esplorati come meriterebbero, con qualche scivolone anche in alcuni passaggi di scrittura frettolosi e poco plausibili. In soccorso arriva però un cast eccellente e sempre in parte.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.2/5

Perché ci piace

  • Un cast ben assortito e sempre in parte, capace di restituire una galleria di pittoreschi personaggi.Sono loro il vero traino del film.

Cosa non va

  • La scrittura tende a banalizzare i temi trattati, appiattendo le sfumature e centrifugando argomenti che avrebbero avuto bisogno di maggiore spazio.
  • Troppa carne al fuoco.