Speravo de morì prima: il calcio tra cinema e serie tv, un filone poco esplorato

Speravo de morì prima - La serie su Francesco Totti continua su Sky Atlantic il venerdì alle 21.15 e in streaming su NOW, e potrebbe lanciare una tendenza; ma perché si girano così pochi film e serie sul calcio?

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Speravo de morì prima: Pietro Castellitto in una scena della serie

Il lungo addio di Francesco Totti al calcio continua. Il terzo e il quarto tempo della partita, cioè l'episodio 3 e l'episodio 4 di Speravo de morì prima - La serie su Francesco Totti, sono in arrivo su Sky Atlantic venerdì 26 marzo alle 21.15 e in streaming su NOW. I primi due episodi, che avevano esordito con 500mila spettatori medi, hanno più che raddoppiato le visioni in pochi giorni con 1 milione e 100 mila spettatori medi e numerosissimi commenti sui social e sui media. La serie tv ha commosso, ha diviso, ha creato polemiche, ma quello che conta è che sembra possa aver contribuito a lanciare una tendenza nella serialità, quella di storie legate al calcio. Nicola Maccanico di Sky, nella conferenza stampa di lancio della serie, aveva dichiarato che "la serialità può narrare lo sport quando c'è qualcosa oltre il calcio, quindi la ricerca deve essere su tutto quello che c'è fuori dal campo, scommettere sulla vita privata di uno sportivo". È quello che fa Speravo de morì prima. Ma è un dato di fatto che uno sport così amato come il calcio, in Italia come in tutto il mondo, abbia dato vita a pochi film e poche serie televisive, in rapporto alle tante storie che il calcio offre e alla grande passione che è in grado di generare. Parliamo di prodotti di finzione, e non di documentari, perché in quel caso il discorso è diverso. Perché allora ci sono pochi film e serie tv sul calcio? Perché è così difficile farli?

L'irripetibilità e l'imprevedibilità del gesto calcistico

Friday Night Lights: Taylor Kitsch e Zach Gilford in una scena
Friday Night Lights: Taylor Kitsch e Zach Gilford in una scena

La risposta è stata già data da tempo. La difficoltà di rappresentare il calcio, su grande o piccolo schermo, sta nell'imprevedibilità e quindi nell'irripetibilità del gesto calcistico. E nel fatto che il calcio sia uno sport collettivo, con dei movimenti che uniscono organizzazione e forza fisica, ma anche talento e fantasia. Lo sport ci ha regalato grandi pagine di cinema. Pensiamo al pugilato, con film come Toro scatenato, Rocky, Ali, Million Dollar Baby solo per citarne alcuni. O al football americano, e a immagini potenti come quelle di Ogni maledetta domenica o della serie tv Friday Night Lights. Tutte opere spettacolari e coinvolgenti. Ma basate su sport dove servono sicuramente la tecnica e il talento, ma dove la forza fisica e la velocità contano molto, dove i gesti atletici sono in qualche modo più facili da riprodurre rispetto a quelli di un calciatore. Un dribbling, un pallonetto, un doppio passo non sono semplicissimi da ricreare a comando. Il calcio non è uno sport che possa avere una sceneggiatura. Non a caso, il dibattito è sempre quello tra gli schemi e la fantasia del giocatore, tra lo spartito e la libertà di esprimersi. E poi spesso il calcio è questione di episodi, di centimetri, anche di fortuna.

Speravo de morì prima, la recensione della serie su Francesco Totti: uno, nessuno e centomila Totti

Speravo de morì prima vs Il Divin Codino

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Speravo de morì prima: Pietro Castellitto nei panni di Francesco Totti

È per questo che l'azione di una partita di calcio è molto difficile da coreografare, anche perché coinvolge molti giocatori, uno schema, ma anche l'istinto. E tutto va fatto in velocità. Se ci pensate, quando vediamo un'azione di gioco ricostruita in un film ci sembra spesso lenta, innaturale, troppo studiata. A maggio è in arrivo, su Netflix, Il Divin Codino, il film su Roberto Baggio. Se Speravo de morì prima sceglie di raccontare con le immagini di finzione soprattutto il fuoricampo di Francesco Totti - la famiglia, lo spogliatoio, la vita a Roma - e di lasciare alle immagini di repertorio le gesta sportive, dal trailer de Il Divin Codino abbiamo visto che il film su Roberto Baggio prova a mettere in scena con immagini di finzione anche alcune delle azioni più celebri del fantasista di Caldogno, tra cui quelle del Mondiale del 1994, dove fu assoluto protagonista. Sui social media, tra gli appassionati di calcio, non tutte le reazioni sono state positive. Quelle azioni sono state magiche e irripetibili, e provare a rifarle non sarebbe stata, a detta di alcuni, la scelta migliore.

Stallone e Michael Caine in Fuga per la vittoria
Stallone e Michael Caine in Fuga per la vittoria

Il miglior film sul calcio: Fuga per la vittoria

Fuga oer la vittoria: Sylvester Stallone e Pelè esultano
Fuga oer la vittoria: Sylvester Stallone e Pelè esultano

Questo è solo un esempio che riguarda due delle serie del momento. Ma qualsiasi prodotto - cinematografico o televisivo - che abbia avuto a che fare con il calcio ha dovuto fare i conti con questo aspetto. Non a caso uno dei film più riusciti sul calcio, Fuga per la vittoria di John Huston, ha scelto dei veri calciatori per recitare nel ruolo di alcuni prigionieri di guerra che avrebbero dovuto, al culmine della storia, giocare una partita di calcio contro i loro carcerieri, dei soldati nazisti. Accanto a un attore come Sylvester Stallone, che non a caso è in porta, ci sono Pelè, Osvaldo Ardiles, Bobby Moore. È una scelta riuscita, ma che non è facile riproporre. Perché se per un attore non è facile giocare a calcio, per un calciatore forse è ancora più difficile recitare.

The English Game, la recensione: su Netflix la classe operaia va in paradiso... e in FA Cup!

Da Goal! a The English Game

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The English Game: una scena della serie

Così un film come Maradona, la mano di Dio, di Marco Risi, sceglie di alternare qualche numero con la palla, ad opera di Marco Leonardi, ad immagini di repertorio. Un film che ha puntato forte sul calcio giocato e le azioni ricostruite con gli attori è stato Goal! Il film di Danny Cannon, con due sequel: è un film un po' scontato, a tratti anche spettacolare, ma che nelle azioni di gioco dà sempre l'idea di qualcosa di fittizio. C'è molto calcio giocato in una serie Netflix che è stata una delle sorprese della scorsa stagione, The English Game, che ricostruisce il calcio dei primordi, nell'Inghilterra del 1879. Proprio un anno fa, su Movieplayer, avevamo scritto che la serie si scontrava con una delle difficoltà più grandi, girare delle scene di calcio giocato. La regia ha provato a cavarsi dall'empasse girando molti primi piani o piani americani dei calciatori senza inquadrare piedi e pallone, stringendo poi sulla palla, e usando molto il ralenti, in modo che non si capisca che l'azione non è girata a velocità naturale. Il fatto che il calcio dei primordi sia un po' ingenuo, più lento di quello di oggi, è un fattore che viene incontro alla serie e giustifica un'azione non proprio perfetta.

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The English Game: un'immagine della serie Netflix

La migliore scena di calcio la gira Emir Kusturica

Emir Kusturica e Diego Maradona (alle sue spalle) in una sequenza del documentario Maradona by Kusturica
Emir Kusturica e Diego Maradona (alle sue spalle) in una sequenza del documentario Maradona by Kusturica

È opinione condivisa che la migliore scena di calcio giocato venga da una terra che ha dato i natali a parecchi ottimi calciatori e da un film che non è incentrato sul calcio: La vita è un miracolo di Emir Kusturica, un artista anarchico come certe mezzepunte in arrivo da quelle terre (Kusturica è bosniaco naturalizzato serbo). Come a dire, proprio in un film dove il calcio non è centrale, e realizzare una scena alla perfezione non sarebbe fondamentale, il numero 10 serbo piazza il colpo di genio: una partita di calcio, in notturna, nella nebbia, caotica e delirante come tutto il suo cinema, ma con quel tasso di fantasia ed imprevedibilità che il calcio richiede, e che manca in gran parte delle sequenze di calcio giocato dei film. Non caso Emir Kusturica (e qui andiamo per un attimo fuori tema, visto che parliamo di film di finzione) ha girato quello che forse è il miglior film su Maradona, il documentario punk Maradona di Kusturica.

La volta buona, la recensione: vittorie e sconfitte nel sottobosco del calcio

Fuori dal campo: Ultimo minuto, La volta buona e Il campione

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Il Campione: Andrea Carpenzano durante una scena

E così, quando si parla di calcio, raramente si rischia di mettere in scena il calcio giocato. È per le ragioni che vi abbiamo detto, ovviamente. Ma è anche perché, in fondo, da sempre del calcio viviamo tutto, non solo il campo. Ma anche il calciomercato, gli spogliatoi, gli uffici dei dirigenti, i tifosi. Che poi siamo noi. E allora in questi anni si è andati spesso a raccontare quello che c'è intorno al mondo del pallone. Come i dirigenti. Uno dei più bei film italiani è Ultimo minuto di Pupi Avati, in cui Ugo Tognazzi mette in scena un dirigente anziano e stanco di una squadra di provincia. Qualcosa di simile è avvenuto con il sottovalutato La volta buona di Vincenzo Marra, uscito l'anno scorso, dove Massimo Ghini ha dato vita a un procuratore di quart'ordine, molto lontano dai Re Mida del calciomercato che sono oggi agli onori delle cronache. Ne Il campione, altro film italiano recente, c'è dentro di tutto, un giovane calciatore viziato e ignorante, i dirigenti, il coach, ma soprattutto un mentore, interpretato da Stefano Accorsi, insegnante a scuola e nella vita. Poca ricostruzione di calcio giocato, ma perfetta ricostruzione di un ambiente e di un mondo. Con la lavagna per gli schemi come punto di svolta della storia.

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Il Campione: Andrea Carpenzano in una sequenza del film

Allenatori nel pallone: Il maledetto United e L'uomo in più

Il maledetto United: Michael Sheen in un momento del film
Il maledetto United: Michael Sheen in un momento del film

E poi ci sono loro, gli allenatori, i nostri bersagli preferiti a ogni minima sconfitta. Andrea Pirlo ne sa qualcosa. Sullo schermo, grande o piccolo, sono figure tragiche, sole, incomprese, stregate. Come il Brian Clough di Michael Sheen, il protagonista de Il maledetto United, scritto da Peter Morgan e diretto da Tom Hooper, allenatore egocentrico, carismatico e non vincente. O come il protagonista de L'uomo in più, di Paolo Sorrentino, in cui il Toni Pisapia di Andrea Renzi, ispirato ad Agostino Di Bartolomei, è un calciatore intelligente che cerca, a fatica, di trovare il proprio posto nel mondo del calcio come allenatore. Qui c'è poco calcio giocato, ma c'è tutto il sudore degli spogliatoi, dei campetti di allenamento, ci sono gli uffici dei dirigenti. C'è il calcio che le pay tv non ci mostrano, quello che possiamo solo immaginare. E per questo ci affascina tanto. Se parliamo di allenatori, poi, anche se siamo in un cinema completamente diverso, quello comico, non possiamo dimenticare L'allenatore nel pallone, e l'Oronzo Canà di Lino Banfi: è tutto buttato in caciara, ma racconta molto del calcio di quegli anni e di tutto quello che vi girava intorno.

I tifosi: Febbre a 90°, Ultrà e Ultras

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Ultras: un'immagine

E, oltre a far vedere quello che c'è dietro una partita di calcio, quello che c'è dentro uno spogliatoio o una sede, il cinema ci ha fatto vedere quello che c'è intorno. Ci siamo noi, i tifosi, gli appassionati. Quelli più sfegatati, gli Ultrà violenti raccontati da Ricky Tognazzi in un film di una forza impressionante, in Hooligans e, di recente, nel sorprendente Ultras di Stefano Lettieri. E quelli più moderati, ma in cui la passione è fortissima. È quello che accade in Febbre a 90°, tratto dal famoso romanzo di Nick Hornby, in cui Colin Firth è un tifoso dell'Arsenal. Ed è bravissimo a raccontarci una passione, il tempo e i soldi spesi, le relazioni sentimentali che si intrecciano con un'altra, importantissima, relazione: quella con la nostra squadra del cuore.