Ci siamo appena lasciati alle spalle il giorno della memoria; solo pochi giorni fa ascoltavamo la magnifica e toccante intervista di Enrico Mentana alla neo senatrice a vita Liliana Segre, una degli ultimi italiani sopravvissuti a Auschwitz ancora in vita, che aveva compiuto otto anni da pochi giorni al momento della proclamazione delle leggi razziali da parte di Benito Mussolini nel 1938. La nomina di Segre a senatrice da parte del Presidente della Repubblica, tra l'altro, è stata additata da più parti come una scelta "propagandista", concertata per dare agli elettori un segnale antifascista, andando verso una consultazione elettorale in cui certi elementi nostalgici e certi impulsi preoccupanti rischiano di svelare la loro rilevanza nell'attuale clima politico.
Così oggi, pochi giorni dopo la giornata della responsabilità e del ricordo, un'occasione in cui non ci si dovrebbe limitare a guardare vecchie immagini di repertorio e a spolverare il Diario di Anna Frank, ma si dovrebbe riflettere sul modo in cui il potere autoritario è stato capace di rafforzarsi sulla pelle di minoranze inermi, ci troviamo nella paradossale situazione di vedere il Duce ricomparire nel cuore di Roma e finire dritto in TV (anche nello studio del direttore di La7).
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Sono tornato anch'io
Dopo il successo di Benvenuti al Nord e Benvenuti al Sud, Luca Miniero ritenta la strada del remake internazionale con materiale ben più incandescente e seguendo le orme di David Wnendt, autore nel 2015 della commedia caustica Lui è tornato, in cui si immaginava il ritorno di Adolf Hitler nella Germania odierna e la sua conquista dei mezzi di comunicazione.
Si può scherzare di tutto, basta saperlo fare; questa sembra essere la conclusione accettabile di tutti i dibattiti mediatici degli ultimi tempi, da Charlie Hedbo in giù, sull'opportunità di fare satira sui morti, sulla violenza, sullo stupro, sull'Olocausto. L'idea di Wnendt, quella di resuscitare il più mostruoso dei campioni della banalità del male e farne un critico della società tedesca del ventunesimo secolo, era un'idea coraggiosa e fertile. Miniero, con la complicità di Nicola Guaglianone alla sceneggiatura, la fa sua riportando il duce - altro banalissimo mostro che la nostra memoria collettiva giudica con meno severità di quanto non faccia la storia.
Miniero e Guaglianone, il vostro più che un film sul ritorno di Benito Mussolini sembra un film sugli italiani di oggi.
Luca Miniero: Sì, l'idea del ritorno di Mussolini fa paura perché il popolo italiano è già diventato populista, e a renderlo tale sono soprattutto i media.
Nicola Guaglianone: Quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto avevamo in mente una citazione di David Mamet che è anche nel film: "Non è vero che c'è sempre una seconda possibilità, c'è solo un'altra possibilità di ripetere lo stesso errore". Io non ho trascorso molto tempo sul set mentre si girava, ma ci sono stato quando abbiamo fatto le scene dello show con Alessandro Cattelan; il pubblico non sapeva nulla, era una sorta di candid, e all'inizio quando hanno visto arrivare Massimo Popolizio vestito da Mussolini sono rimasti sorpresi, ammutoliti. Dopo che Massimo ha girato la sua scena, sono partite le feste, i selfie, i "Viva il Duce!". Credo che una situazione come questa ci metta di fronte alla mostruosità che è in noi. Siamo noi che facciamo paura.
In molte sequenze dell'originale tedesco si vede l'attore che interpreta Hitler andare in giro tra la gente inconsapevole del fatto che si tratta di un film. Voi avete fatto qualcosa del genere?
Luca Miniero: Prima di avere a bordo Massimo Popolizio, abbiamo mandato in giro un giovane attore vestito da Mussolini per valutare le reazioni, sì. Ci sono state anche reazioni forti, ci hanno cacciato via da qualche posto... ma soprattutto c'era accondiscendenza, indulgenza. Credo che ci siano sostanziali differenze tra il nostro film e Lui è tornato, noi non mettiamo in scena un demonio ma una specie di parademonio, e abbiamo cercato di non giudicarlo per non fare un film ideologico e lasciare parlare le emozioni. Noi sappiamo che Mussolini ha fatto di peggio di quello a cui si accenna nel film; ma questo atteggiamento tenero, nostalgico nei suoi confronti fa parte di un inquietante retaggio morale. Lui è uno di noi.
Nicola Guaglianone: Il duce stesso disse "mi odiate perché mi amate ancora"; è questo il superpotere dei dittatori, farsi amare dalla gente. Mussolini seppe sfruttare un clima fortemente antipolitico promuovendo valori popolari, e profondamente italiani.
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Sulla strada col Duce
Ci sono state scene candid girate con la gente per strada che non avete potuto utilizzare nel film perché troppo violente?
Massimo Popolizio: C'è una cosa che è nel film ma non nella sua interezza, perché la macchina da presa non seguì il dialogo fino alla fine. C'era questa ragazza di colore che vendeva libri di poesie, e io improvvisando le ho detto: "Adesso sapete leggere?".
Lei mi ha risposto, "Certo, da tantissimo tempo", e poi ha continuato, "Chi legge è libero, di conoscere e capire le cose". Al che io dissi, "Ora quindi siete davvero pericolosi". Per firmarci la liberatoria ci ha chiesto di comprarle dodici volumi.
Luca Miniero: Le sequenze con la gente in strada sono state la prima cosa che abbiamo girato, la sceneggiatura l'abbiamo scritta anche tenendo in considerazione ciò che la gente diceva. Non ci sono state cose particolarmente violente ma... diciamo che, geograficamente, c'è una parte d'Italia che dice cose molto più brutte.
Frank Matano: Quando giri scene come queste, hai bisogno di un certo tipo di approccio, un momento iniziale in cui devi indurre la persona a cadere in "trappola". All'inizio le persone che incontravano Massimo travestito da Mussolini si mettevano a ridere, poi partivano gli sfoghi, parlavano con lui come se fosse stato davvero il duce: "Abbiamo bisogno di te, torna!"
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La memoria del dolore
La scena con Ariella Reggio è la più toccante, forse è l'autentico cuore del film.
Massimo Popolizio: Sì, ed è anche una scena di piano d'ascolto. Ho dovuto immedesimarmi in quest'uomo che finalmente viene davvero riconosciuto, messo di fronte a ciò che ha fatto, e non se ne vergogna.
Ariella Reggio: Sì, il piano d'ascolto di Massimo è stato molto importante in quella scena, con quel sorriso cinico che mi ha dato forza. Io l'ho visto Mussolini, ho ottantun anni. La stessa età di Berlusconi, forse lui non se lo ricorda, ma io sì. E loro, Luca e Nicola e Massimo, non lo sapevano, ma la famiglia di mia madre era ebrea, io ho visto i miei cuginetti partire per Auschwitz. Credo che sia significativo, per altro, che Mussolini venga riconosciuto da una donna che soffre di Alzheimer: non è memoria, la sua, ma pura emozione.