Qualche giorno fa, Hank Azaria, storico membro del cast de I Simpson in inglese (presta la voce, tra gli altri, al commissario Winchester, Boe, Cletus, Chalmers, il Capitano, Vipera, il professor Frinkel e il fumettaro), ha partecipato a un podcast e sollevato la questione di Apu, personaggio che lui ha interpretato fino allo scorso anno, prima di decidere di lasciare il ruolo a un attore di origine indiana a causa di varie polemiche sulle connotazioni razziste e offensive della sua performance. Immancabili i commenti, soprattutto fuori dagli USA, sulla presunta scarsa coerenza di una posizione simile quando lo show prende in giro tutto e tutti, un'affermazione che non tiene conto del problema specifico di Apu, che va oltre gli altri aspetti a volte discutibili della serie. Cerchiamo quindi, in questa sede, di fare chiarezza sulla questione, spiegando perché Azaria abbia ragione e perché la controversia su Apu non sia strettamente legata all'apparato satirico dello show in generale.
In principio fu un accento
Cominciamo con una precisazione importante: la decisione di Hank Azaria è completamente separata da quella presa, la scorsa estate, da produzioni come quelle de I Simpson e I Griffin di non far più doppiare ad attori bianchi personaggi appartenenti a minoranze etniche: quest'ultima è stata una reazione all'ennesima polemica sul razzismo che vige in seno alle forze dell'ordine negli Stati Uniti, mentre Azaria aveva annunciato la propria disponibilità a non interpretare più Apu già nel 2018, e nel 2015 aveva parlato apertamente per la prima volta degli effetti negativi del personaggio sulla comunità asiatica. Personaggio che, nell'ormai lontano 1988, era stato affidato ad Azaria semplicemente perché, in sede di provino, lui aveva dimostrato di saper fare un accento indiano, per quanto stereotipato e caricaturale. Era anche un periodo in cui i produttori non ci pensavano due volte prima di affidare qualunque ruolo vocale ad attori bianchi, che dominavano anche l'industria del doppiaggio: due dei più noti professionisti afroamericani del settore, Kevin Michael Richardson e Phil LaMarr, hanno cominciato a lavorare in quel campo solo nei primi anni Novanta.
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A detta dello stesso Azaria, molti dei suoi personaggi nella serie hanno voci che traggono ispirazione da varie celebrità: Boe è una (dichiaratamente brutta) imitazione di Al Pacino, Frinkel è Jerry Lewis, Winchester è Edward G. Robinson, Lou (che ora non è più doppiato da Azaria) è Sylvester Stallone, eccetera. Per Apu la fonte principale fu la performance di Peter Sellers in Hollywood party, e stando ad Azaria l'intenzione degli autori è sempre stata quella di dargli una voce stereotipata al massimo. Un aspetto che è passato relativamente inosservato a livello di copertura mediatica per molto tempo, fino a circa dieci anni fa quando si è cominciato a parlare seriamente delle implicazioni poco lusinghiere della caratterizzazione vocale del personaggio, al netto delle buone intenzioni di chi lavora allo show (come è stato fatto notare in diversi articoli sul tema, Apu è forse il cittadino più intelligente di Springfield insieme a Lisa Simpson). E poi è arrivato un certo documentario...
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Il problema di Apu
The Problem with Apu è un documentario scritto e prodotto da Hari Kondabolu, comico americano di origine indiana. Nel film stesso e nelle interviste che lo hanno accompagnato in occasione dell'uscita nel 2017, Kondabolu spiega che inizialmente Apu gli piaceva perché era felice di vedere in televisione, in prima serata, un personaggio della sua etnia, ma col passare del tempo la sua reazione è diventata un'altra, perché in quanto unico personaggio indiano di un certo peso presente in un programma televisivo mainstream per circa due decenni, il signor Nahasapeemapetilon è diventato il rappresentante di un'intera cultura, nel bene e nel male. Come ha detto il comico: "In base a quello che accadeva in TV la domenica sera, potevo già immaginare in che modo i compagni di scuola mi avrebbero preso in giro il lunedì mattina." Un'impressione condivisa da altri colleghi intervistati nel documentario, tra cui Aziz Ansari, Kal Penn e Aasif Mandvi, i quali raccontano di essere stati chiamati "Apu" con tono denigratorio in ambito scolastico.
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E la cosa non si è limitata all'infanzia: Ansari, nato in South Carolina e quindi capace di esprimersi con un accento americano standard nella vita di tutti i giorni, ha più volte fatto notare - anche in un episodio della sua serie Netflix Master of None - come le possibilità per gli attori di origine indiana siano state limitate per anni, con un criterio di casting particolarmente offensivo: la richiesta di fare un accento indiano caricaturale in generale, o di imitare la voce di Apu in particolare. Tale è stato l'impatto culturale del personaggio, che fino al 2007 era l'unico vero esempio, in ambito USA, di rappresentanza della cultura indiana che non fosse limitata a un cameo usa-e-getta (poi è arrivato Raj in The Big Bang Theory), e pertanto il principale riferimento per chi volesse portare sullo schermo dei personaggi di quella regione senza sforzarsi di capire se fosse o meno l'approccio giusto.
Apu contro tutti
È quello il vero problema al centro della decisione di Hank Azaria di lasciarsi alle spalle il personaggio, e perché la questione riguarda solo il proprietario del Kwik-E-Mart e non gli altri personaggi stereotipati che fanno parte della popolazione di Springfield: a nessun attore scozzese è mai stato chiesto di parlare come il giardiniere Willie (il cui accento, tra l'altro, è stato uno di tre proposti da Dan Castellaneta in sede di registrazione, senza indicazioni nel copione; gli altri due erano spagnolo e svedese), agli afroamericani non si chiede di imitare Lou, Carl o il dottor Hibbert, e agli italoamericani non viene imposta, pena l'esclusione dai progetti, una voce come quella di Tony Ciccione. Perché le loro nazionalità ed etnie hanno, da tempo, vari rappresentanti nella cultura popolare statunitense, mentre per anni Apu è stato sinonimo unico di "India", senza metri di paragone, influendo in maniera spropositata sul modo in cui si immagina chi proviene da quella regione. Adesso non è più così, ma la ferita è ancora aperta, e la decisione di Azaria è solo uno dei tanti passi necessari per rimarginarla.