La comicità goliardica della beffa, la solitudine di uomini e donne sconclusionati, le sboccature di qualche didietro di troppo. Il nuovo film di Carlo Verdone, il ventisettesimo per la precisione, parte da questi elementi e si sposta in un territorio del comico che poco si confà alla verve verdoniana (come leggerete più ampiamente nella recensione di Si vive una volta sola).
Due anni dopo Benedetta follia l'attore e regista romano, che con la comicità ha immortalato ossessioni, tic e fragilità dell'uomo medio italiano regalandoci una galleria di personaggi indimenticabili, torna a guardare al reale. E oltre che dallo storico Pasquale Plastino, si fa accompagnare dalla penna di Giovanni Veronesi (come era già successo per C'era un cinese in coma), la cui presenza questa volta non sembra giovare al racconto, perlomeno non a un racconto a firma Verdone.
La trama: l'eco della commedia all'italiana da Germi a Monicelli
Si vive una volta sola è una storia contemporanea, i protagonisti sono personaggi nelle proprie nevrosi fortemente verdoniani: professionisti affermati nelle rispettive carriere, ma assolutamente smarriti nella vita privata. La vicenda ripercorre la quotidianità di un quartetto di medici, tre uomini e una donna, abili in sala operatoria al punto che anche il Papa si affiderà alle loro mani, ma fragili e irrisolti sul fronte privato. Sono il professor Umberto Gastaldi (Carlo Verdone), capo dell'équipe medica, la strumentista Lucia Santilli (Anna Foglietta), l'anestesista Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo) e il suo assistente Corrado Pezzella (Max Tortora), un team eccellente e affiatato, ma anche un gruppo di inguaribili "maestri della beffa", soprattutto quando si tratta di architettare scherzi ai danni del loro amico Amedeo. La notizia che potrebbe essere in fin di vita sarà per tutti e quattro l'occasione per fare i conti con se stessi durante uno sconclusionato viaggio on the road verso il mare della Puglia tra incontri rocamboleschi, rapporti da ricucire e rivelazioni che ne destabilizzeranno gli equilibri. E un colpo di scena finale, ahinoi, telefonatissimo...
Un film scanzonato che cerca di fare propria la lezione della commedia all'italiana dalla cialtroneria di Amici miei, al picaresco di Germi e Pietrangeli, senza però riuscire nell'intento: manca il risvolto amaro, la risata rimane in superficie, frutto di una manciata di siparietti da commedia natalizia.
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Cast all star: un affiatato gruppo di 'beffatori'
La dimensione malinconica e la solitudine di ciascun personaggio affoga in una sequela scontata di gag ai danni della proverbiale forza comica della parola, tratto distintivo della commedia verdoniana. La narrazione annega in una serie di scenette che appartengono più alla tradizione godereccia del cinepanettone, che non ai ritratti grotteschi e all'umorismo a cui Carlo Verdone ci ha abituato. Il tutto a vantaggio di una comicità grossolana ridotta a faccette, surreali ménage à trois, corna e chiappe in primo piano, su cui la macchina da presa indugia con insistenza imbarazzante. Una stortura rispetto al linguaggio di Verdone, replicata anche da alcune battute fuori tempo massimo, come "Ora capisco perché le è venuta la rettocolite ulcerosa. Lei ci gioca troppo con quel culo!" o "Come pensi di avere successo mostrando il culo alla gente?". Non aiuta nemmeno un product placement invadente in nome del quale la regia è spesso costretta a soccombere.
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Lo straordinario quartetto di attori (Carlo Verdone, Max Tortora, Rocco Papaleo, Anna Foglietta) resta invece l'anima del film, sono loro a salvare dove possibile la storia con un'alchimia e una complicità rare, soprattutto quando si tratta di travestirsi da artefici di scherzi spietati. È in quei momenti che emerge il lato più mite e meditabonda di Si vive una volta sola, è nell'irriverenza e nel risvolto amaro della presa in giro perché le goliardate sono "una reazione alla vita di merda che facciamo". Parola di Verdone/Umberto Gastoldi.
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Conclusioni
Concludiamo la recensione di Si vive una volta sola con l’amarezza di dover ribadire quanto questo film sia lontano dai ritratti a cui Carlo Verdone ci ha abituati. Se le intenzioni sono quelle di rispolverare il linguaggio goliardico della beffa attraverso il quale rivelare poi le solitudini di uomini e donne sconclusionati, i fatti dimostrano tutt’altro: il risultato è un quadretto che strappa risate superficiali e che troppo concede al comicità sboccata. Manca il risvolto malinconico e quel riso amaro alla luce del quale la narrazione assume tutt’altro spessore.
Perché ci piace
- L’arte della beffa, il piglio scanzonato con cui il film cerca di fare propria la lezione della commedia all'italiana dalla cialtroneria di Amici miei, a Germi e Pietrangeli.
- L’agitarsi di personaggi fortemente verdoniani colti nelle proprie nevrosi.
Cosa non va
- La narrazione annega in una serie di gag scontate e scenette che appartengono più alla tradizione godereccia del cinepanettone, che non ai ritratti grotteschi e all'umorismo di Carlo Verdone.
- Una comicità grossolana ridotta a faccette, ménage à trois e chiappe in primo piano, su cui la macchina da presa indugia a volte con insistenza imbarazzante.