Ah, Sex and the City: tacchi griffati Manolo Blahnik, stanze guardaroba, l'amore irrequieto tra Carrie Bradshaw e Mr. Big, le atmosfere elettriche e lussuose della Manhattan notturna. E poi ancora gli Hampton, i Cosmopolitan, le gallerie d'arte, il jazz... e naturalmente quattro donne che ci hanno insegnato che gli amori passano, ma le amiche vere e favolose restano.
Ma questo, con tutto il rispetto, ce l'avevano detto pure le Spice Girls, a noi naviganti dei maledetti '90s. Il retaggio culturale più esplosivo di Sex and the City riguarda, e come potrebbe essere altrimenti, il sesso. Il sesso svelato, chiacchierato, consumato, lambiccato; vulcanico e soporifero, viscerale e fantasioso, il sesso è al centro delle esistenze della promiscua e scatenata Samantha come della più timida e romantica Charlotte.
Sex and the City è stato il primo show che ha fatto dell'empowerment sessuale femminile la propria bandiera, in uno scenario che, in buona parte, non sembrava essere ancora pronto per donne padrone del proprio destino e del proprio desiderio. Perché nei tardi anni Novanta - e forse ancora oggi, nell'era del #metoo, in cui c'è ancora chi insiste a dire che la donna è fisiologicamente disposta ad essere preda passiva dell'esuberanza del maschio - affermare che le donne amano il sesso e ne parlano esattamente come gli uomini (anzi, forse con più sfrontatezza e consapevolezza) era rivoluzionario.
Leggi anche: Serie bollenti: l'evoluzione del sesso in televisione
Welcome to New York
Andato in onda tra il 1998 e il 2004, Sex and the City è considerato uno degli show chiave per l'affermazione del network HBO, oggi una delle più solide realtà produttive negli States, a vent'anni dal suo debutto - il 6 giugno del 1998 - non gode della stessa considerazione dell'altro show che ha avviato la golden age delle serie TV, I Soprano, o degli altri grandi show che questa epoca d'oro l'hanno consolidata, da The Wire a Breaking Bad. Anzi, è spesso accusato di essere frivolo, inverosimile, e ovviamente antifemminista. Eppure è stato uno show radicale e coraggioso almeno quanto i suoi contemporanei più "virili".
Leggi anche:
-
I Soprano: 5 motivi per cui la serie ha cambiato il mondo televisivo
-
50 sfumature di (Walter) White: la teoria dei colori di Breaking Bad e Better Call Saul
Sviluppato da Darren Star sulla base del libro omonimo di Candace Bushnell, editorialista del New York Observer che aveva tenuto per anni una rubrica sulla vita sentimentale dei newyorkesi, lo show si discosta per lo più dal cinismo e dalla superficialità degli scritti di Bushnell per raccontare, attraverso le sue protagoniste, un'esperienza umana complessa e variegata. Quattro personaggi molto diversi che, a voler essere estremamente approssimativi e in mala fede, si possono confondere con gli stereotipi dell'eroina romantica, della suorina ingenua, della donna in carriera "con le palle" e della mangiauomini - ma sono l'esatto contrario: rappresentano la decostruzione degli archetipi femminili e sentimentali che avevano popolato le riviste patinate e, fino a quel momento, anche il medium preferito delle casalinghe: la televisione.
Leggi anche: 30 serie TV perfette per il binge-watching
Amiche molto cattive
Cominciamo con Carrie, che si allontana dalla fredda "entomologa" delle brulicanti notti newyorkesi Bushnell per trasformarsi in una trentenne spumeggiante e curiosa, che ha il difetto di spendere troppi soldi in vestiti e scarpe, non certo per catturare un marito, ma perché le piace. E poi arriva l'amore: il grande amore che lascia sempre nell'incertezza, l'amore vero che non smette di cambiare, l'amore autentico che fa ammattire (e sì, stiamo citando una canzone di Taylor Swift). Così Carrie cambia, da amabilmente nevrotica diventa ansiosa, sofferente, ossessiva. La ragazza sorridente con la gonna di tulle diventa una donna complicata, amareggiata ed egoista, e qualcosa di simile accade anche alle inseparabili amiche che condividono il suo viaggio in un mondo glitterato e sfarzoso, ma spesso anche amaro, solitario e malinconico.
L'inaffondabile Samantha rivela un abisso di fragilità e insicurezza, la concreta e brillante Miranda affronta i propri limiti, i propri pregiudizi, oltre a diversi decisivi fuori programma, e la sognatrice Charlotte si scontra con la dura realtà per poi ricostruirsi pezzo per pezzo un mondo vivibile. Nel frattempo le ragazze crescono, si fanno del male tra loro, tradiscono gli amici, spezzano i cuori degli uomini più o meno virtuosi che cercano di conquistarle, di fermare la loro corsa, in qualche caso di amarle, e non di rado fanno arrabbiare anche i loro spettatori, che nonostante tutto le amano per davvero. Per tutte c'è un'apertura alla vita, un destino realisticamente positivo, solo per Carrie lo show ha in serbo un finale stucchevole, un happy end forzato che snatura i personaggi di Sarah Jessica Parker e di Chris Noth e che probabilmente ha alimentato alla distorsione dell'eredità storica dello show, insieme ai due mediocri lungometraggi usciti nel 2008 e nel 2010.
Prima dell'operazione Parigi, però, gli autori di S&TC avevano abbracciato con ambizione pionieristica le sconfinate possibilità della narrazione seriale, raccontando altalene sentimentali, cambi di rotta, indagini interiori, crisi e cambiamenti: avevano raccontato la vita incastonandola nel format di una comedy series con episodi sotto i 30 minuti, attraverso il filtro di una scrittura leggera e sofisticata e dall'alto di un iperfemminile tacco dodici.
Leggi anche: Dalla carta al piccolo schermo: quando le serie TV nascono dalle pagine di un libro
Il femminismo polifonico di Sex and the City
Accusato mentre era in corso di trasmissione di essere uno show antifemminista, un po' per l'occasionale infantilismo dei personaggi, un po' per le sue propensioni consumistiche, Sex and The City sarebbe guardato con sospetto dalle femministe intersezionali di oggi per qualche battuta transfobica e vagamente razzista e per la gestione di alcuni temi, in primis quello della gravidanza indesiderata. Eppure ha saputo indagare e celebrare l'esperienza femminile contemporanea, sebbene in un contesto privilegiato, con impegno ed estro, raccontando donne problematiche che hanno cercato liberamente ognuna a modo proprio l'affermazione del sé. Chi attraverso un percorso tortuoso e costellato di passi falsi, chi abbracciando una visione libertaria e spregiudicata della sessualità, chi dando la priorità alla realizzazione professionale, chi non rinunciando a un sogno romantico e tradizionalista verso il quale prova una tensione autentica. Perché in fondo il femminismo non ha a che vedere con le scelte personali ma con la sovranità che esercitiamo nel farle. Dentro e fuori dalla camera da letto.