Recensione Seven Swords (2005)

Privo di qualsivoglia lavoro sulla tensione e sulla psicologia dei personaggi e assolutamente insufficiente nella gestione degli snodi narrativi, il film si perde sin dall'inizio nella ridondante rappresentazione delle battaglie.

Sette spade spuntate

Anno 1600: i manciuriani hanno conquistato l'intera Cina, fondando la dinastia Ching. Per favorire la soprpessione dei numerosi focolai di rivolta, il governo promulga un editto che vieta la pratica e l'insegnamento delle arti marziali. Per ottenere il rispetto della nuova legge, il principe manciuriano assolda il brutale Vento di Fuoco, ufficiale della precedente dinastia: contro la sua ferocia uniscono le loro forze le Sette Spade.

Wuxia vecchia scuola, sanguigno e ruspante quanto distante dalla recente lettura che Zhang Yimou ha dato del genere, Seven Swords segna il ritorno del maestro Tsui Hark a quello che probabilmente è il genere che sente più suo per cultura e modalità di rappresentazione. Eppure, nonostante il regista di The Blade e Once Upon a Time in China metta ancora una volta in mostra tutta la sua enorme padronanza tecnica e si dimostri coerente con il suo stile sfrenato, intrusivo e claustrofobico, il film non funziona nella maniera più assoluta, principalmente per una scrittura decisamente deprecabile.

Privo di qualsivoglia lavoro sulla tensione e sulla psicologia dei personaggi e assolutamente insufficiente nella gestione degli snodi narrativi, il film si perde sin dall'inizio nella ridondante rappresentazione delle battaglie, caratterizzate tanto dal virtuosismo della macchina da presa quanto dalla sistematica esasperazione di toni e situazioni. In questa profusione di gesti impetuosi, di metallo e di musiche ossessive, sono le spade, più che gli esseri umani (e non è questo il vero problema del film) il vero fulcro di un racconto freddo, slegato e privo di una drammaturgia che non si riduca a siparietti leccati, accenni superficiali e flashback improbabili.

Il risultato è un film freddo e noioso, che ha la buona intenzione di riportare il genere ai suoi fasti passati, eliminandone gli aspetti più fantastici che tanto divertono involontariamente il pubblico occidentale, ma che nonostante alcuni sprazzi di alta classe, si presenta così privo di cura narrativa e di epicità che si trasforma presto da piacere per gli occhi in frustrazione assoluta.