Festival di Roma: chi ha paura del panda?

Si aprirà nell'ottobre prossimo una kermesse di cinema tutta romana. Tra polemiche, timori, aspettative, e qualche (azzardato?) paragone zoologico.

Non è passata di certo in sordina l'ufficializzazione della prima edizione di Cinema - La festa internazionale di Roma, che vedrà come centro nevralgico il recente Auditorium romano a partire dall'ottobre 2006 e con scadenza annuale. Lo scenario, in effetti, sembrava quasi provocatorio. La conferenza stampa programmata al lido ha riscosso più successo di stampa e di pubblico che un Clooney in gran forma qualche giorno addietro.

Ma la cassa di risonanza mediatica risuona di tutt'altro fragore che non quello che accompagna le più classiche immagini in movimento. Ad attirare l'attenzione è stata la levata di scudi delle istituzioni venete, nel timore che una mostra romana, a così poca distanza temporale dalle scadenze solite della kermesse del lido, tolga respiro (e introiti) alla città lagunare.
Timori sicuramente fondati e degni di essere valutati come elemento del dibattito complessivo. Appare tuttavia sterile e fazioso un atteggiamento che valuti esclusivamente un problema di visibilità o di possibilità di guadagno. Segno di una endemica debolezza e carenza della biennale in fatto di strutturazione politico-mediatica e di reperimento fondi. Se non si riesce a camminare con le gambe proprie è ovvio che si soffre del vincolo forzoso di fronte ai finanziatori, vincolo che si complica e ingarbuglia ancor di più se il finanziatore è lo Stato italiano.
Il tutto s'incastona perfettamente (sigh) nel sistema-Italia, un sistema produttivo e distributivo che ha perso ormai da più di vent'anni la convinzione che il cinema sia uno strumento d'utilità sociale, ancor più disilluso dalle potenzialità d'incasso di film che non siano commedie natalizie pecorecce.

Detto tutto ciò, e tenendo ben presente che patrimonio di spettacolo e di cinema sia Venezia, una certa preoccupazione sollevata da Cacciari ("...la competizione è sana, buona, utile. Ma solo se è ad armi pari: In questo momento Venezia non è in grado di sostenerla") sembra quantomeno pretestuosa. Pretestuosa perché sì considera una serie di fattori importanti e imprescindibili nell'analisi di una modifica di questa portata dell'offerta festivaliera italiana, ma ne taglia fuori quello fondante: il cinema. Tra l'ironico e lo sdrammatizzante la risposta di Veltroni, sindaco romano che ha voluto fortemente questa nuova kermesse: "Il cinema non è un panda da mettere sotto vetro, una maggiore offerta crea maggior pubblico". Contenti per l'iniziativa dell'amministrazione capitolina, un po' delusi dal tenore della risposta. Come Cacciari (e Galan, presidente forzista del Veneto) Veltroni si sofferma sugli aspetti tecnico-economici del problema. Il discorso, a nostro avviso è un altro. La formazione di un polo di distribuzione cinematografica a Roma non potrebbe che far bene al sistema-cinema italiano, sia come polo di attrazione globale (insieme a Venezia) per il cinema internazionale (pensiamo in particolar modo a quello europeo e mediterraneo), sia per un'effettiva rilancita e nuovo stimolo per il cinema italiano che, sulla scia del film di Cristina Comencini, saggiamente inserito in concorso al Lido, inizi a guardare di più al mondo dei festival come ad una intelligente e sapiente calibratura tra qualità e fruibilità.
Ovvio che per far ciò occorrerebbe un organo, meglio se formale, di coordinamento tra i due festival, per definire strategie e ritorni d'immagine in modo mirato e oculato.

Senza che per questo Venezia si debba sentir defraudata di qualcosa. Un certo tipo di programmazione (pensiamo allo strombazzato e imbarazzante esordio di Seven Swords) è tranquillamente depennabile, altra ridimensionabile senza che per questo si debba subire un calo in qualità del programma o nel ritorno pubblicitario. Sicuramente una coordinazione tra le due kermesse sarà fondamentale, data la programmazione così vicina, onde evitare sterili contrapposizioni o sovrapposizioni d'idee o progetti.
E soprattutto, al di là di un meritorio riconoscimento all'iniziativa e una doverosa supervisione generale, che il cinema venga svincolato da polemiche politiche che tutto fanno tranne che il bene e l'interesse della settima arte.