Con la recensione di Secret Team 355 abbiamo a che fare con un nuovo aspirante franchise all'interno di un sistema produttivo e distributivo che dà la precedenza ai titoli da poter sfruttare con derivazioni varie. Forse anche per questo alla regia c'è Simon Kinberg, uno che di franchise, nel bene e nel male, si intende: per anni è stato coinvolto nella produzione degli adattamenti Marvel della 20th Century Fox, lavorando principalmente alle storie degli X-Men (di cui è stato praticamente il supervisore artistico dal 2014 al 2020), e ha messo mano anche allo Sherlock Holmes cinematografico della Warner Bros. e, come consulente creativo, a parte del recente corso di Star Wars. Non che questo percorso abbia contribuito particolarmente in positivo alla sua opera seconda, che al momento ha incassato meno di 30 milioni di dollari nel mondo (circa la metà del suo budget), chiudendo ogni conversazione circa un imminente ritorno in scena delle agguerrite protagoniste.
Meglio sole o male accompagnate?
Secret Team 355 (in originale solo The 355, nome che omaggia una celebre spia donna attiva durante la Rivoluzione americana) parte dalla vicenda di Mason "Mace" Browne (Jessica Chastain), agente della CIA incaricata di recuperare un oggetto che nelle mani sbagliate potrebbe causare danni irreparabili di portata globale. La missione non va come previsto, e Mace si ritrova al centro di un complotto che la addita come responsabile di un'operazione doppiogiochista. In fuga da colleghi e superiori, deve capire come risolvere il problema, e il suo percorso si intreccia con quello di altre tre donne, tutte legate ad agenzie internazionali: la colombiana Graciela Rivera (Penelope Cruz), la tedesca Marie Schmidt (Diane Kruger) e l'inglese Khadijah Adiyeme (Lupita Nyong'o). Insieme si impegnano per impedire un cataclisma mondiale e svelare la corruzione in seno ai rispettivi luoghi di lavoro, dove le donne sono usate come capri espiatori per occultare i crimini della vecchia guardia.
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Non particolarmente buona la seconda
La genesi del progetto risale alla lavorazione di X-Men: Dark Phoenix, di cui Simon Kinberg era il regista (esordiente) e Jessica Chastain l'antagonista. Lei, spinta da tutte le discussioni sulla possibilità di una reinvenzione al femminile di figure come James Bond, ha proposto a lui di creare un ex novo un racconto di spionaggio con al centro le donne, portando sul grande schermo un concetto che aveva ben funzionato in televisione con Alias, per esempio. Detto, fatto, ed ecco che i due si sono ritrovati a collaborare, anche dietro la macchina da presa (l'attrice ha anche prodotto il film). Un'idea di per sé nobile, che consente al genere (inteso nel senso cinematografico) di reinventarsi e tentare di introdurre qualcosa di nuovo in un mercato ormai dominato dal già visto e dall'immediatamente riconoscibile (finora quasi tutte le uscite delle major per il 2022 sono sequel, remake o reboot, e chi non rientra in tale categoria fa fatica al botteghino). Ma le buone intenzioni non bastano, soprattutto quando a gestire il tutto sul piano creativo è una figura altalenante come Kinberg.
Se nel caso degli X-Men si poteva parlare di interferenze dello studio e, per il suo debutto registico, di una certa inesperienza che non lo rendeva il candidato ideale per un aspirante blockbuster pieno di effetti speciali, in questa sede risulta invece evidente come il cineasta sia ancora in alto mare in termini puramente tecnici. Al netto di una scrittura intrisa di cliché e colpi di scena telefonati, Kinberg mette in evidenza le sue debolezze formali approvando un prodotto finale dove angolazioni e montaggio riducono le scene d'azione a frammenti confusi e l'approfondimento psicologico a rapidi scambi di battute che sono del tutto prive di mordente. Ne escono frammentate anche le prestazioni delle attrici, penalizzate da ruoli che non mettono propriamente in risalto le loro specificità recitative all'interno di un'idea corale dove tutto è piatto e anonimo (non che i colleghi maschi se la cavino meglio: persino il carisma di Sebastian Stan viene bastonato dalle scelte di Kinberg). Persino la promessa di un fantomatico sequel è svogliata, come se fosse più un obbligo che vero guizzo di ispirazione. Saranno contente anche loro di sapere che difficilmente torneranno a interpretare questi personaggi?
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Secret Team 355, sottolineando come si tratti di un racconto spionistico stanco e prevedibile, penalizzato dall'inesperienza registica del produttore e sceneggiatore Simon Kinberg.
Perché ci piace
- Jessica Chastain ce la mette tutta.
- L'idea di base ha del potenziale.
Cosa non va
- Sceneggiatura e regia procedono a scatti, generando una storia priva di spessore.
- Il cast non è propriamente valorizzato.
- Le scene d'azione sono piuttosto piatte.