Se il predicatore razzola male
Il dottor Burke Ryan è uno che dovrebbe aver capito tutto della vita. La sua filosofia può essere condensata in una frase: se l'esistenza riserva solo limoni, non fare la faccia inacidita, ma preparati una limonata. Dietro a questa metafora poetica si cela in realtà un fantasioso programma di elaborazione del lutto, stilato dallo stesso Burke dopo la morte dell'amata moglie. Quello che lo differenzia dalla gente comune, quindi, è aver trasformato quel dolore in opportunità di successo. "A-ok" è il suo motto, un marchio di fabbrica impresso su libri, dvd e magliette che è anche il mantra ripetuto fino allo stremo nei suoi affollati seminari, riunioni di varia umanità alle prese con la scomparsa di una persona cara. Eppure dietro a questa figura di uomo realizzato si nascondono in realtà le contraddizioni e le paure di chi non ha ancora affrontato la tragedia che gli ha cambiato la vita, limitandosi ad indossare i migliori sorrisi di circostanza prima di andare in scena. Poco importa se quel dispensatore di pacche sulle spalle in grado di camminare sulle braci ardenti non prende più l'ascensore o beve vodka di nascosto. Al terzo anno di vedovanza, però, Burke torna a sentire il richiamo dell'amore. E ha il profumo delle rose di Eloise, una bella e spigolosa fioraia di Seattle che lo prende per mano aiutandolo ad uscire fuori da quel bozzolo.
Qualcosa di speciale segna il debutto alla regia dello sceneggiatore Brandon Camp, già autore dello script di Dragonfly Il segno della libellula, dramma soprannaturale in cui la morte di un coniuge (ancora la moglie) veniva rappresentato nel suo aspetto ultraterreno. In questo caso ci troviamo davanti ad una commedia romantica che esamina con una superficialità sconcertante il mondo dei "venditori di felicità", indirizzando con furbizia lo sguardo dello spettatore facile alla lacrima. Apprezzabile nell'originale descrizione della storia d'amore nascente fra i due protagonisti, il legnoso Aaron Eckhart e la sempreverde Jennifer Aniston, il film diventa banale quando prende di mira bonariamente il rutilante carrozzone dei motivatori professionisti. L'iconografia è assolutamente precisa e ricca di dettagli, ma ad essa non corrisponde una profonda analisi della disperazione di un uomo la cui sagoma di cartone è di gran lunga (e tristemente) più vera della persona che rappresenta. I telepredicatori fanno ormai parte del décor americano quasi come hamburger e patatine fritte. Emanano un aroma di benessere posticcio che nel migliore dei casi infastidisce il pubblico, nel peggiore trasforma i malcapitati in galline dalle uova d'oro. Burke non è una canaglia, un truffatore da quattro soldi, ma semplicemente un uomo disastrato che si confronta quotidianamente con la disperazione della casalinga che impasta i biscotti di uvetta con le ceneri del marito morto (un comportamento ai limiti del TSO) e quella ancor più incomprensibile dell'operaio (il bravissimo John Carroll Lynch) che non riesce a farsi una ragione della scomparsa del figlioletto.
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Movieplayer.it
2.0/5