Quello che io sono, lo sono anche grazie a Vincenzo e anche grazie a San Patrignano. Anche se mi tocca riconoscere, nonostante Vincenzo e nonostante San Patrignano.
La chiosa finale di Fabio Cantelli, posta a suggello dell'ultimo episodio di SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano, ci suggerisce sul piano lessicale il profondo dissidio al cuore della nuova docuserie Netflix, rivelatasi a sorpresa il fenomeno culturale di inizio 2021. "Grazie" e "nonostante": due parole agli antipodi ma che nella confessione di Cantelli, ex-ospite ed ex-portavoce della comunità di San Patrignano, trovano una sintesi che costituisce la più interessante chiave di lettura di questo maestoso lavoro, ideato da Gianluca Neri, scritto da Neri con Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli e diretto da Cosima Spender. Una ricostruzione ad ampio raggio, della durata globale di cinque ore, della storia della più celebre comunità di recupero per tossicodipendenti d'Italia, dalla sua fondazione al 1995, mescolando interviste inedite e filmati d'archivio.
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Il "grazie" come riconoscimento di un effetto salvifico: l'effetto di un piccolo podere nei pressi del comune di Coriano, in provincia di Rimini, che a partire dal 1979 sarebbe diventato un luogo di rifugio per uomini e donne provenienti da ogni parte d'Italia. E il "nonostante" a indicare la sopravvivenza, ma soprattutto la redenzione (un termine ancor più pregnante, dal punto di vista narrativo), rispetto ad un purgatorio la cui destinazione non era necessariamente il paradiso. Una dicotomia espressa già dal titolo completo, SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano, emblematico di un approccio che non va equivocato però per un prudente cerchiobottismo: si tratta piuttosto di un'adesione al reale nella sua complessità inestricabile, ma senza rinunciare a sondarne gli anfratti.
E tali anfratti sono appunto l'oggetto privilegiato di osservazione di questo lavoro encomiabile, che per linguaggio e stilemi fa riferimento al filone documentaristico del true crime statunitense, ma calandolo nella cornice della società italiana dal crepuscolo degli anni Settanta, un periodo già segnato dal dilagare selvaggio della piaga dell'eroina, alla metà degli anni Novanta. Un pezzo di storia nazionale che emerge in filigrana nel corso dei cinque episodi di SanPa, per merito di un certosino lavoro d'indagine e di recupero dei materiali e del ritmo conferito al racconto dal montaggio di Valerio Bonelli, che giustappone alle immagini del passato le voci del presente senza tuttavia far venir meno una linearità cronologica perfettamente funzionale alla chiarezza espositiva.
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Vincenzo Muccioli: un 'eroe' italiano?
Perché SanPa, soprattutto per gli spettatori al di sotto dei quarant'anni, è anche la panoramica di un'Italia conosciuta perlopiù mediante l'immaginario del cinema e degli spezzoni televisivi: quella del benessere galoppante degli anni Ottanta, degli status symbol della Milano da bere, e in parallelo del boom inarrestabile della tossicodipendenza e dello spettro dell'AIDS; l'Italia della Prima Repubblica (in una scena del documentario fa capolino Bettino Craxi, alla vigilia di Tangentopoli) e dei programmi Rai e Fininvest, all'epoca le sole 'tribune' dotata di una vasta portata mediatica. Ma pure un'Italia che in un quarto di secolo non sembra cambiata affatto: il paese dell'intreccio perenne fra cronaca, spettacolo e politica, delle agiografie da prima serata e degli idoli abbattuti in prima pagina.
E Vincenzo Muccioli, la figura al cuore della parabola di ascesa e caduta tracciata in SanPa, è proprio uno di tali idoli. La docuserie ce ne restituisce il carisma sanguigno, declinato nel ritratto del padre-padrone bonario e altruista e in quello, assai più spigoloso, del santone ferocemente autoritario, attratto dal misticismo e caratterizzato da una pericolosa "doppia faccia". Buon samaritano o pseudo-Duce opportunista: qual era l'autentica natura di Muccioli? SanPa non impone la risposta risolutiva tipica dell'opera a tesi, ma pare suggerirci che entrambi i volti del fondatore di San Patrignano potessero coesistere nella medesima persona; così come nei memoriali delle due voci principali della docuserie, Fabio Cantelli e l'altro ex-braccio destro di Muccioli, Walter Delogu, la gratitudine convive con la vergogna, l'affetto con l'orrore.
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Il paradosso di SanPa
È forse questo uno dei tratti più interessanti, e al contempo più inquietanti, che emergono dalla visione di SanPa. La pluralità e la contraddittorietà dei numerosi punti di vista (talvolta inconciliabili) raccolti nell'affresco polifonico della serie non dovrebbero indurci, per dirla nella maniera più banale possibile, ad una resa al relativismo, ma a una riflessione di tipo diverso: la realtà sociale a cui apparteniamo, e per sineddoche l'identità di un singolo essere umano, possono includere le migliori intenzioni e i pensieri più spregevoli, una solidarietà cristallina e un'ambiguità impenetrabile. Anche perché San Patrignano, è bene ricordarlo, nacque per riempire un vuoto istituzionale, come baluardo in grado di offrire protezione e sostegno agli 'ultimi' (i cosiddetti 'tossici') laddove lo Stato non era in grado - o non si curava - di far sentire la propria presenza.
In quest'ottica risulta pertanto ancor più doloroso, da un episodio all'altro, assistere alla deriva di un esperimento nato sotto i più validi auspici, salvo poi assumere i connotati di laboratorio per un modello patriarcale imperniato su un violento autoritarismo e sulla repressione delle libertà individuali: quasi uno Stato a sé stante, un microcosmo contaminato dalla collisione con interessi politici e finanziari sempre maggiori. Vincenzo Muccioli, un "cittadino Kane" rievocato tramite interviste, filmati di repertorio e dalle parole di ex-collaboratori e di altri testimoni, è il 'mostro' fagocitato dal proprio delirio di onnipotenza e responsabile quantomeno di aver coperto un omicidio, ma anche il benefattore che avrebbe contribuito a salvare centinaia di vite.
Un paradosso che SanPa non perde occasione di sottolineare, secondo un'idea di documentario come racconto problematizzante, che anziché ricorrere a una facile indignazione preferisce mettere costantemente alla prova il senso etico dello spettatore; con la stessa lucidità, pacata ma implacabile, di Fabio Cantelli, l'"angelo ribelle" che con il suo volto scavato ci accompagna, come un novello Virgilio, attraverso l'inferno della coscienza e della memoria.