Dopo vari passaggi festivalieri (tra cui Cannes, Zurigo e Roma), adesso è nelle sale italiane Red Rocket, il nuovo lungometraggio di Sean Baker. Una commedia molto amara, incentrata sulla figura di Mikey Saber (Simon Rex), un pornodivo sul viale del tramonto che cerca di reinventarsi nel suo natio Texas. Lo scorso ottobre, in occasione della presentazione del film alla Viennale, in Austria, abbiamo fatto una chiacchierata con il regista, visibilmente felice di poter accompagnare la sua opera agli eventi in presenza e di poterne parlare dal vivo con le persone, senza dover ricorrere a Zoom o altri sistemi. Anche perché il suo è un film dal sapore vintage, girato in 16mm anamorfico, un dettaglio che purtroppo sfuggirà a molti spettatori poiché praticamente tutte le proiezioni sono digitali. "Anche a livello di copie è un problema", ci ha detto Baker, "perché non c'è quasi più nessuno che fa una copia in pellicola a partire dal negativo originale. Forse solo Paul Thomas Anderson, oggigiorno. Nemmeno Tarantino l'ha fatto per il suo ultimo film."
L'origine del progetto
Qualche anno fa, presentando La casa di Jack a Cannes, Lars von Trier dichiarò che dopo diversi film su donne buone voleva farne uno su un uomo cattivo. Ti riconosci in quella frase per quanto riguarda Red Rocket, il cui protagonista è un bastardo, per quanto simpatico?
Mi piace l'accostamento, ma non è stata una scelta ponderata in tal senso. Tramite i miei altri film mi sono interessato alla questione della mercificazione del sesso, e volevo raccontare la storia di un cosiddetto suitcase pimp (letteralmente "pappone con la valigia"), uno degli archetipi di quel mondo. E sì, concordo con te, Mikey è uno stronzo a cui ti affezioni, ma credo che la sua ex-moglie sia una presenza altrettanto forte. Il film è anche la sua storia, e quello è un arco narrativo per lo più positivo.
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A proposito del comportamento di Mikey, il tema musicale del film, per così dire, è Bye Bye Bye di NSYNC. Ho rivisto il videoclip originale, e inizia con loro cinque manipolati da una burattinaia, che è un po' quello che cerca di fare Mikey.
Hai ragione, ma non avevo fatto il collegamento all'epoca. Ho scelto quel brano perché il testo mi sembrava pertinente.
La decisione di rendere Mikey simpatizzante di Trump era legata alla natura del personaggio?
Non credo che il film dica esplicitamente per chi ha votato. Quello che mi interessava era mostrare qualcuno che fosse in grado di intuire perché Trump aveva il potenziale per vincere, in un periodo in cui eravamo tutti convinti del contrario. Non so se ti ricordi, ma avevamo tutti categoricamente escluso che lui avrebbe vinto.
Sì, non fu un risveglio piacevole la mattina dopo l'elezione del 2016.
Esatto. Però, ecco, non sono sicuro che Mikey sia un sostenitore incallito di Trump. Forse si riconosce in parte in lui in quanto entertainer, ma non era mia intenzione spingermi fino a quel punto.
Ok, perché volevo chiederti se secondo te Mikey avrebbe fatto parte di quelli che hanno assalito il Campidoglio il 6 gennaio 2021.
[Ride, n.d.r.] Quello no di sicuro, è troppo pigro. Lui quel giorno era a casa sul divano a meditare sulla prossima truffa. Adesso sarebbe fissato con le criptovalute.
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Questioni a luci rosse
Il poster e il trailer sottolineano la componente umoristica del film, ma c'è anche un'anima dark, con Mikey che ha un rapporto predatorio con Strawberry. Era importante avere quell'equilibrio tra serio e faceto per non scioccare il pubblico?
L'equilibrio è voluto, ma per un'altra ragione: avrei potuto fare la classica storia del lupo cattivo e della pecorella innocente, e anche se non fosse venuto fuori un bel film il pubblico generalista lo avrebbe accettato senza problemi, con lui cattivo e lei buona, punto. A me interessava qualcosa di più complesso, aderente al reale; quindi, ci sono le sfumature di grigio, nelle quali anche noi ci riconosciamo.
È vero, e anche lei non è del tutto innocente, lei vuole entrare nel mondo del porno. Non so se l'hai visto, ma mi ha ricordato questo film svedese molto recente, Pleasure [la storia di una ragazza scandinava che si trasferisce a Los Angeles per diventare una pornostar, n.d.r.].
Abbiamo lavorato con gli stessi consulenti, e menzioniamo alcune delle stesse persone che lavorano in quell'industria.
Simon Rex ha iniziato la propria carriera in ambito porno. Ha contribuito a quell'aspetto del film, o era già tutto scritto?
La sceneggiatura è rimasta tale e quale, ma Simon si è ispirato a persone che conosce nel mondo dello spettacolo per la sua performance. Come sicuramente sai, ha lavorato con gente di un certo calibro, e ne ha osservato il narcisismo.
Sì, è stato il fratello di Charlie Sheen in un paio di film, per esempio.
Proprio così, e lui e Charlie sono molto amici. Non so con certezza se c'è un po' di Charlie nella caratterizzazione di Mikey, ma il contributo di Simon è stato di quel tipo lì. E ha capito subito dove volevo andare a parare: il suo personaggio ha ancora la mentalità di un quindicenne.
Riprese pandemiche
Hai girato in piena pandemia, e un anno dopo hai portato il film in vari festival, da Cannes in poi, dove era di nuovo possibile avere le sale piene. Com'è stato ritrovare quella normalità?
È stato bello ritornare al cinema, anche per vedere i film degli altri. Tornando alle riprese, eravamo terrorizzati, siamo tutti andati in Texas in macchina per questioni di sicurezza, ma non era mai previsto che non fosse un film per il grande schermo. Continuavamo a ripeterci che quella situazione non sarebbe durata in eterno. E per lo stesso motivo non volevo dare l'impressione che fosse un film girato durante la pandemia. Ci sono dei film palesemente fatti in quell'ottica, con due attori in una stanza.
Sì, succede anche in televisione. Hanno ridotto le orde di zombie in The Walking Dead per non avere troppe persone sul set.
Questo non lo sapevo, è buffo. Però, ecco, è il motivo per cui ho posticipato un altro film a cui stavo lavorando in Canada, perché parla di attivismo e ho bisogno di gruppi di persone. Questo si poteva fare con una squadra ridotta, in una bolla dove si stava al sicuro. E tieni presente che girando in Texas, dove non sono particolarmente severi sull'uso della mascherina, per esempio, aumentava l'impressione che fosse un mondo privo di Covid.
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Tornare al cinema
Sei un accanito frequentatore delle sale. Com'è cambiata questa abitudine con la pandemia?
Io cerco di vedere tutto al cinema, e faccio del mio meglio per promuovere le sale più piccole su Instagram. La differenza più grossa è che, dovendo recuperare molti titoli che erano stati rimandati, vado meno spesso a rivedere qualcosa. Quest'anno l'ho fatto solo una volta, con Titane, e l'anno scorso era per Tenet. E un'altra cosa: la gioia di tornare in sala mi ha spinto a vedere cose che non mi avrebbero particolarmente attirato in altre circostanze.
L'ultima volta che avevi un film a Cannes era nella Quinzaine, questa volta eri in concorso, nella sala più grande del festival. Com'è stata quell'esperienza?
È stato incredibile, e adesso che sono entrato in pianta stabile nella "famiglia" di Cannes spero di tornarci ogni volta che posso. Ed è stato particolarmente emozionante essere in concorso, perché ero in gara con due cineasti che hanno direttamente influenzato il mio film: Bruno Dumont e Paul Verhoeven. E anche se non abbiamo vinto nulla, so che Spike Lee, il presidente della giuria, ha apprezzato il film. E lui è uno dei motivi per cui mi sono avvicinato al cinema indipendente, e ho studiato alla NYU a causa di lui. È stato magnifico, anche perché non pensavo che il mio fosse un film adatto per Cannes.
Sì, forse più da Quinzaine, o Un Certain Regard. Di sicuro è stata una sorpresa vederlo in concorso.
Puoi dirlo forte, ero sorpreso anch'io. Non me l'aspettavo proprio.