Words with Gods è un progetto nato dalla collaborazione fra il cineasta messicano Guillermo Arriaga, sceneggiatore di film quali Amores perros, 21 Grammi - Il peso dell'anima e Babel per il collega Alejandro González Iñárritu, e il grande scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, i quali si sono posti l'obiettivo di indagare il tema della religione e i differenti approcci con cui, attraverso le varie dottrine diffuse nel mondo, l'essere umano tenta di "parlare con Dio".
Al progetto, presentato fuori concorso in occasione della 71esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, hanno preso parte altri otto registi di diversa nazionalità, ciascuno chiamato a rappresentare per immagini il proprio "credo", mentre il celebre cantautore Peter Gabriel ha offerto il suo contributo con il tema musicale Show Yourself, brano utilizzato nei titoli di coda.
Warwick Thornton, Hector Babenco
Il risultato, della durata complessiva di 130 minuti, come quasi inevitabilmente accade quando si parla di "film a episodi" si rivela alquanto diseguale, benché proprio il suo carattere composito costituisca in fondo il principale motivo di fascino dell'opera. Ad aprire le danze è l'australiano Warwick Thornton (Samson and Delilah) con un episodio silenzioso: la rappresentazione in presa diretta di un parto, in una celebrazione del "miracolo della vita" che offre qualche suggestione visiva, ma non riesce ad evitare una certa superficialità nello sguardo. Piuttosto deludente il cortometraggio del regista brasiliano Hector Babenco (Il bacio della donna ragno): la messa in scena della desolazione e del senso di abbandono di un uomo che ha perso la propria famiglia e ora si aggira come un mendicante per le strade della città, almeno fino a quando una misteriosa epifania (nella quale è compresa anche un'anatra!) non irromperà nei suoi sogni, aprendogli forse una prospettiva di speranza - o semplicemente di liberatorio sollievo - per il futuro.
Mira Nair, Hideo Nakata, Amos Gitai
Si cambia registro con la cineasta Mira Nair (Monsoon Wedding), in cui il tema della devozione religiosa nell'India contemporanea è declinato in una chiave piacevolmente ironica: una famiglia allargata di Mumbai si accinge a trasferirsi in una nuova casa, scontrandosi però con la difficoltà di decidere quale fra le varie camere sarà la "stanza di Dio": uno spunto narrativo in grado di incrinare la precaria armonia della famiglia, fino a provocare una divertente baruffa corredata dalle apparizioni mistiche di varie divinità induiste di fronte allo sguardo sorpreso di un bambino. Un completo ribaltamento dei toni, con una brusca virata verso la tragedia, è segnato invece dal giapponese Hideo Nakata (Ringu), specialista del genere horror, con un cortometraggio incentrato sulla sofferenza umana, a partire dal tragico tsunami dell'11 marzo 2011: l'intensità emotiva del suo breve racconto funge da veicolo a un messaggio sulla necessità dell'accettazione del dolore come parte integrante dell'esperienza umana. Rischia di scivolare invece nel mero esercizio di stile il capitolo diretto dall'israeliano Amos Gitai (Kippur), quest'anno presente al Festival anche con Tsili: il regista propone una rievocazione biblica, il Libro di Amos, attraverso un lungo piano sequenza in cui l'illustrazione delle parole della Bibbia si fonde con gli orrori e le guerre del presente.
Álex de la Iglesia, Emir Kusturica
È lo spagnolo Álex de la Iglesia (Ballata dell'odio e dell'amore), con il suo consueto sguardo sarcastico e dissacrante, a regalarci il frammento più memorabile di Words with Gods, prendendo in esame il Cattolicesimo vissuto come una mistura tra fede e superstizione (un tratto peculiare del Cristianesimo in Spagna). Dopo un incipit da action-movie, de la Iglesia riesce a sorprendere lo spettatore con l'avventura notturna di un sacerdote gravemente ferito e braccato da una banda di sicari, il quale trova rifugio a bordo di un taxi e si ritrova a dover celebrare un'estrema unzione dai risvolti inaspettati. De la Iglesia, erede di una tradizione satirica quasi buῆueliana, strappa l'applauso grazie ad un irridente "rovesciamento dei ruoli" fra sacerdote e confessore, con una vivacità che compensa invece l'episodio un po' sottotono del maestro Emir Kusturica (Underground): quest'ultimo si cimenta pure come interprete nei panni di un pastore serbo impegnato nell'impervia scalata ad una montagna, in un'affannosa ricerca della spiritualità (vissuta secondo l'impostazione del Cristianesimo ortodosso) che tuttavia appare eccessivamente didascalica.
Bahman Ghobai, Guillermo Arriaga
Si torna all'ironia e ai toni quasi dissacranti, pur senza la stessa carica iconoclasta di de la Iglesia, con l'iraniano Bahman Ghobadi (I gatti persiani), in cui la vicenda di una coppia di gemelli siamesi, dai caratteri completamente opposti, si propone come una divertita allegoria della dicotomia fra virtù e peccato: una dicotomia in cui, però, ad un possibile schematismo si sostituisce una più sapiente analisi del rapporto fra trascendenza e immanenza, fra un ascetismo portato agli estremi e la libera fruizione di ciò che la natura ed il mondo hanno da offrire. E l'episodio, che strappa perfino qualche risata con una bizzarra scena di preghiera in una moschea, si conferma tutto sommato fra i più convincenti dell'intero film.
Un'opera che, significativamente, conclude la propria riflessione sul concetto di religione assumendo il punto di vista dell'assenza di fede: è infatti l'ateismo il nucleo del capitolo finale, firmato dal principale fautore del progetto, Guillermo Arriaga, con protagonista l'attore Demián Bichir nei panni di un uomo che assiste allo spiazzante suicidio di suo padre, un ateo convinto sconvolto da una manifestazione divina nella quale si profetizza un'autentica "pioggia di sangue". Arriaga, in questo caso, calca il pedale sulla spettacolarità di uno spaventoso diluvio color rosso sangue; ma le suggestioni apocalittiche e la cura estetica finiscono per schiacciare il tentativo di elaborare una riflessione più profonda e penetrante sul "silenzio di Dio", nonché sul conflitto tra fede e ateismo / agnosticismo.
Conclusioni
Lo sceneggiatore Guillermo Arriaga e lo scrittore Mario Vargas Llosa sono i fautori di un ambizioso progetto corale volto ad indagare la religione (declinata secondo differenti dottrine) e il rapporto uomo / Dio, mettendo in scena, attraverso i cortometraggi di nove registi, un dialogo talvolta drammatico, talvolta ironico, in altri casi evocativo e simbolico, fra l'essere umano e la sfera del divino. A convincere maggiormente, tuttavia, sono proprio gli episodi che si affidano alla chiave comica o irridente (Álex de la Iglesia, Mira Nair), mentre in altri casi il film non riesce a raggiungere l'agognata profondità di una riflessione filosofica ed esistenziale estremamente complessa.
Movieplayer.it
2.5/5