Alla fine degli anni sessanta la California sembra essere la terra delle mille opportunità, soprattutto per quanto riguarda l'amore libero e l'uso indiscriminato di droghe. Il paese è nel pieno della liberazione sessuale e della contestazione nei confronti della guerra in Vietnam, ma quello che riempie le giornate di Larry Doc Sportello, investigatore hippie della LSD Investigation, è preparare l'erba e rollare le sue sigarette speciali. Perché nessuno fugge dalle stupefacenti novità del mondo moderno. Questo fino a quando Shasta Fay Hepworth, sua ex fidanzata, non scompare nel nulla dando inizio ad una ricerca che porterà l'originale e sempre un po' fumato Larry a contatto con realtà diverse.
Così, mentre si trova a dover decifrare il linguaggio ad alto tasso di rudezza e testosterone del poliziotto BigFoot Bjornsen, a rintracciare e "salvare" l'infiltrato Coy Harlingen, rifugiatasi in una comunità hippie, cerca di mettersi sulle tracce dei rapitori del multimiliardario Wolfmann, scoprendo, alla fine del suo viaggio, una verità sconcertante. Il tutto, però, supportato dalle sue donne, diverse e affascinanti, tra cui la prostituta Jade e la professionale Penny Kimball. A loro si aggiungono una serie quasi infinita di personaggi secondari e bizzarri come surfisti, strozzini, rocker e una misteriosa entità chiamata Golden Fang, tutti rappresentati per definire sul grande schermo il mondo psichedelico tratteggiato dalla fantasia e dalla penna dello scrittore Thomas Pynchon.
Sette è il numero imperfetto?
Con la trasposizione cinematografica di Vizio di forma, Paul Thomas Anderson raggiunge quota sette, definendo una cinematografia non prolifica ma particolarmente sfaccettata. Tuttavia, mentre il regista dimostra ancora una volta di poter e voler mettersi alla prova con generi e atmosfere diverse, definisce anche chiaramente quali sono gli elementi fondamentali di quello che possiamo considerare, senza sbagliare poi troppo, il suo stile di autore. Così, passando attraverso esperienze diverse come Boogie Nights, Magnolia e Il petroliere, il regista punta il suo sguardo su realtà opposte ma non perde mai di vista il racconto umano. Perché al centro di tutto, pur mutando il genere, rimane l'uomo e le sue reazioni una volta messo a confronto con la realtà esterna.
Ed è proprio in questo particolare che il suo Inherent Vice trova l'elemento di forza. Anzi, andando oltre le strutture del noir ironico e politicamente scorretto, mette in luce la natura del personaggio e tutto determina in base a questa, anche un andamento narrativo che si presenta discontinuo e quasi improvviso. A vantaggio di Anderson bisogna ammettere che il materiale letterario di Pynchon è il primo a soffrire di una certa incompiutezza e, mirando spesso all'intrattenimento, non si pone il fine di una direzione narrativa definita. A queste difficoltà iniziali, poi, si aggiunge la necessità di riassumere atmosfere e accadimenti all'interno di un tempo cinematografico che non sempre giova ad alcune ricostruzioni. Ma in questo continuo altalenare di gradimento e perdita di focus narrativo, il tocco di Anderson continua a farsi sentire, ad esempio nella perfetta gestione di un cast formato da protagonisti come Benicio Del Toro, Owen Wilson, Reese Witherspoon e lo stesso Josh Brolin. Nonostante la loro comparsa sullo schermo sembri dipendere strettamente dal rapporto diretto con Phoenix, ognuno di loro gode di una vita indipendente attraverso cui cesellare la realtà sociale e storica senza dover cadere nel costruzione morbosa del particolare.
Joaquin vs Larry
Cosa hanno in comune, ad esempio, Anderson e Martin Scorsese? Oltre ad un evidente gusto per l'immagine, anche una tendenza a circondarsi di una famiglia cinematografica. Il che, il più delle volte, vuol dire porre fiducia in un interprete e farlo diventare quasi un feticcio sulle cui spalle si costruiscono storie e si posa gran parte della responsabilità del successo. In questo senso Joaquin Phoenix è diventato, come Philip Seymour Hoffman prima di lui, il prolungamento del regista, il mezzo attraverso cui rendere concrete e tangibili le sue visioni. L'esperienza fatta sul set di The Master, dunque, non solo si è rivelata positiva ma ha convinto Anderson della possibilità di utilizzare le difficoltà caratteriali del suo interprete a favore della storia. Ancora una volta, dunque, sottopone Phoenix ad una trasformazione fisica, forse meno pressante di quella ricercata nel film precedente, per far in modo che il personaggio di Larry Doc Sportello riesca ad avere la meglio sull'attore.
Uno scopo che i due perseguono attraverso una precisa ricostruzione estetica ed una successiva e conseguente attitudine corporea. In questo senso, alle basette prominenti, ai sandali e al look generale da figlio dei fiori perennemente stordito, Phoenix fa corrispondere una postura scomposta dando particolare risalto alla mimica del volto e all'utilizzo di uno slang forgiato dalla professione, il contesto sociale e, naturalmente, l'utilizzo di droghe. Certo, il rischio di rendere tutto eccessivo e degno delle peggiori macchiette è dietro l'angolo, ma a rendere questa forte caratterizzazione allo stesso tempo ironica e credibile, però, è soprattutto un senso della misura che, almeno sul grande schermo, Phoenix riesce ad applicare quasi con rigore.
Conclusione
Discontinuo nell'andamento narrativo e privo di una meta cui giungere, Inherent Vice è un esperimento di stile e d'intrattenimento attraverso cui Anderson si diverte a confrontarsi con il noir e il buddy movie più scorretto. A brillare, ancora una volta, è il talento di Joaquin Phoenix che sembra trovarsi perfettamente a suo agio nell'immaginario andersoniano.
Movieplayer.it
3.0/5