Tutti i battiti del mio cuore (e della mia tastiera)
Il successo internazionale di The Artist, premiato addirittura con l'Oscar, ha di certo fatto scuola, lanciando una vera e propria moda di titoli che rievocano, in maniera affettuosa e nostalgica, la golden age del cinema classico, simbolo di un'epoca ingenua e spensierata in cui anche le emozioni e i sentimenti sembravano più vividi e sinceri. Mentre il premiato film di Michel Hazanavicius era un omaggio spassionato e filologico alla gloriosa età del muto, il brioso Tutti pazzi per Rose, esordio al lungometraggio di Régis Roinsard, si concentra invece su un periodo successivo, ovvero il turbinoso passaggio dagli anni Cinquanta ai Sessanta, verso cui il regista e sceneggiatore nutre una particolare predilezione. Si tratterebbe di un'operazione nostalgia decisamente non nuova, se non fosse che l'autore è riuscito a scovare uno spunto decisamente curioso e bizzarro attraverso cui filtrare il suo racconto, vale a dire il mondo della dattilografia: un'attività che oggi ci appare quasi arcaica, ma che nel 1959 (anno in cui è ambientata la pellicola) incarnava il mito della velocità su cui si fondava l'era del dopoguerra, tanto che venivano addirittura disputati seguitissimi campionati per misurare la velocità di scrittura sulla macchina da scrivere.
Protagonista della storia è Rose Pamphyle (Déborah François), una ragazza di provincia sognatrice è un po' impacciata che, per sfuggire a un destino di casalinga impostole dai genitori, decide di trasferirsi in città per divenire una segretaria, mestiere che all'epoca permetteva una maggiore emancipazione. Nonostante la sua evidente inesperienza, viene assunta dall'assicuratore Louis Échard (Romain Duris), un uomo gentile ma tormentato, che in lei nota un talento particolare: la straordinaria velocità di scrittura a macchina (nonostante utilizzi solo due dita). Louis, convinto che la ragazza possegga una vera e propria dote, comincia ad addestrarla per competere ai campionati di dattilografia. Sotto la sua premurosa guida, Rose riesce a sbaragliare le agguerrite contendenti ai campionati regionali e perfino nazionali, classificandosi addirittura come rappresentate della Francia nella competizione mondiale. Parallelamente - un po' sulla falsariga di un evergreen come My Fair Lady - Rose si affeziona sempre di più al suo mentore, il quale però almeno all'inizio sembra volere tenere a bada i suoi sentimenti. "Più veloce, più veloce" è il mantra ripetuto da Louis in tutto il corso del film, che è anche la chiave registica utilizzata da Régis Roinsard. Tutti pazzi per Rose, infatti, si gioca tutto su una questione di ritmo, esaltato da un montaggio serrato e sottolineato dall'incessante battere dei tasti della protagonista e da una sincopata colonna sonora d'antan, che oscilla dal rock allo swing, senza ovviamente tralasciare l'immancabile "Cha cha cha della segretaria". Del resto, come insegnano i maestri del genere, la commedia è tutta una questione di tempistica e, da questo punto di vista, pur essendo alla sua prima prova dietro la macchina da presa, Roinsard dimostra di conoscere alla perfezione tutti i meccanismi della screewball comedy, che riproduce in maniera quasi cronometrica, omaggiando in maniera più o meno esplicita svariati classici del genere firmati da geni come Howard Hawks, Billy Wilder e naturalmente George Cukor (del resto Rose tappezza le pareti della sua camera con fotografie di Audrey Hepburn e Marilyn Monroe). Proprio come in The Artist, qualunque aspetto, dalla fotografia al design scenografico, passando per i costumi, è ricostruito in maniera certosina per riprodurre gli originali di quegli anni. Tutti pazzi per Rose, insomma, risulta confezionato impeccabilmente da ogni punto di vista. Da un lato il film si avvale di una sceneggiatura "blindata" che si sviluppa esattamente secondo i canoni tradizionali del genere, ma che ribalta la prospettiva dei rapporti tra sessi attualizzandola in chiave moderna e attribuendo un ruolo di emancipazione e libertà al personaggio di Rose. Dall'altro, può contare su degli interpreti perfettamente calati all'interno di questo immaginario di riferimento, a partire dai protagonisti, il magnetico Romain Duris e la radiosa Déborah François, che creano un'immediata empatia con gli spettatori; ma anche i comprimari Bérénice Bejo e Shaun Benson si dimostrano eccellenti. Il risultato, esattamente come per The Artist, è un prodotto "popolare" come sottolinea anche il suo stesso titolo, ovvero un omaggio cinefilo costruito secondo tutti i crismi per piacere al grande pubblico e per sbancare ai botteghini; anche se va detto che dietro la sua confezione luccicante e ammiccante è difficile individuare qualcosa di più profondo.