Recensione Pain & Gain - Muscoli e Denaro (2013)

Una storia vera ambientata a Miami a metà degli anni 90 nel mondo del fitness, un fatto di cronaca dai risvolti comici ma soprattutto tragici: la sconfinata ottusità dei palestrati protagonisti, senza etica né morale, mette a nudo la degenerazione dell'idea del Sogno Americano.

Fitness, omicidi e il Sogno Americano

Michael Bay torna al cinema con un'incredibile storia vera di cronaca nera ambientata nella Miami degli anni '90: un film insolitamente "piccolo" per un regista abituato ai blockbuster e alle mega produzioni dagli incassi stratosferici (la trilogia dei Transformers è arrivata a quasi 3 miliardi di dollari in tutto il mondo). Pain & Gain - Muscoli e denaro è stato girato in poco tempo e a basso costo (appena 26 milioni) e ne ha incassati fino ad ora quasi 50. Una sorta di nuovo inizio dunque, per il regista e produttore californiano, 48 anni, bersaglio costante dei critici che lo detestano ("ma è solo invidia" dice lui) in maniera inversamente proporzionale a quanto invece lo celebrano i produttori? Oppure soltanto il desiderio di togliersi lo sfizio di fare qualcosa di diverso, di dimostrare le sue potenzialità e il suo talento per una volta svincolandosi dalle consuete logiche commerciali?


Anche un ritorno alle origini in un certo senso, visto che il suo film d'esordio Bad Boys non era in effetti un oggetto così pretenzioso come le sue mega produzioni successive. Se per autore intendiamo qualcuno il cui stile e la sua estetica si ritrovano in maniera evidente e costante nei suoi lavori, rendendo il suo stile riconoscibile e immediatamente individuabile all'occhio dello spettatore, allora Michael Bay è sicuramente un autore: il montaggio frenetico, i colori ipersaturati, l'uso costante del ralenti, i neon che illuminano i corpi sudati e perfetti di uomini e donne, sono caratteristiche comuni a tutti i suoi film, e li ritroviamo anche in quest'ultimo. Anzi, l'ambientazione nella Miami degli anni '90 sembra fatta apposta, coi suoi colori pastello e le sue patinature luminose, che ne esaltano lo stile rendendo tale estetica ancora più evidente. Il problema paradossalmente sorge quando in effetti hai per le mani una storia (vera, ripetiamo) dai risvolti e dai contenuti macabri e interessanti, in questo caso la degenerazione del sogno americano e l'ambizione ad essere più di quello che si è, e lo stile invadente del regista soffoca e prevarica la narrazione e i suoi protagonisti invece di mettersi al servizio della storia stessa con più lievità e leggerezza.

A Miami nel 1995 l'istruttore di bodybuilding Daniel Lugo (Mark Wahlberg) insieme ai suoi compari super palestrati, l'ex galeotto Paul Doyle (Dwayne Johnson), e il collega istruttore Doorball (Anthony Mackie), decide di rapire un ricco cliente della palestra, Victor Kershaw (Tony Shalhoub) per farsi trasferire tutti i suoi averi. Sulle loro tracce il detective Ed Harris: la goffaggine e la sconfinata stupidità della gang li porterà verso una deriva crudelmente comica e infine tragica. Accecati dalla sete di denaro e di successo, credono nel fitness come forma estrema dell'apparire, e se appari allora sei, e nel sogno americano nella sua visione più distorta, quella che divide i perdenti dai vincenti, e la misura dell'essere vincente si calcola in base a quello che fai e a quello che hai, e se gli altri ce l'hanno e tu no ti senti quasi in diritto di reclamarlo in tutti i modi, come se il fine giustificasse i mezzi.
"Questa è la terra delle promesse dove ognuno può farcela", dice la super sexy ballerina rumena di lap dance, simbolo delle mercificazione della carne femminile, altro elemento che non manca mai nei film di Bay, "ho visto Pretty Woman, cosa credete? E io sono più bella di Julia Roberts". Agghiacciante storia vera, come dicevamo, raccontata secondo le stile estremo del regista e quindi inevitabilmente poco verosimile: forse per questo nei bellissimi titoli di coda ci si preoccupa di sovrapporre ai volti degli attori quelli dei veri protagonisti, e ai frammenti del film quelli delle immagini di repertorio delle prove, del tribunale, dei fascicoli, quasi a testimoniare che in realtà, oltre ai filtri patinati e le edulcorazioni della macchina da presa, la storia è stata scansionata e ricostruita minuziosamente. Sono pompati i protagonisti ed è pompata anche la regia di Bay, d'altronde la definizione di regista testosteronico è già stata ampiamente utilizzata nei suoi confronti: avrebbe scelto di fare questo film anche se i disgraziati protagonisti non fossero stati dei bodybuilder e l'ambientazione non fosse stata quella della fluorescente Miami? Se fossero stati degli anonimi impiegati di una grigia provincia come in Fargo? Si sono sprecati e scomodati paragoni col film dei Coen (ma anche Soldi sporchi di Raimi); la sensazione è che lo stesso materiale di Pain & Gain in mano ai Coen avrebbe potuto partorire un'opera molto più ritmata, tragica e grottesca, una riflessione più profonda sulla stupidità, la cattiveria e l'ambizione dell'essere umano. Non potremmo essere altrettanto sicuri del contrario. Poco male, Bay ha già in preparazione Transformers 4, per il momento le velleità d'autore sono soddisfatte.

Movieplayer.it

3.0/5