Recensione Le due leggi (2014)

Le ragioni del denaro hanno sempre una giustificazione, ma quando si paga con la vita, allora il prezzo è decisamente troppo alto, persino per un direttore di banca senza scrupoli come Elena Sofia Ricci nella fiction Le due leggi

Le due leggi, il dramma etico di Elena Sofia Ricci

Potremmo chiamarlo effetto domino: basta la conseguenza di una sola scelta a cambiare il corso di un'intera esistenza. Lo sa bene Adriana (Elena Sofia Ricci), la determinata protagonista della fiction Le due leggi. In onda in due puntate (martedì 25 e mercoledì 26 marzo nella prima serata di Rai Uno), è diretta da Luciano Manuzzi e prodotta da Red Film per Rai Fiction e ha suscitato molto scalpore prima ancora di arrivare in TV. Il tema, in effetti, è piuttosto scottante e attuale perché racconta l'operato delle banche, tra luci e ombre, in un periodo di crisi economica portata a tali estremi da indurre alla disperazione uomini e donne di ogni età. Alcuni di loro non riescono a vedere una via d'uscita e arrivano a compiere il gesto estremo del suicidio. Parte così il racconto di Adriana, una brillante ma spietata direttrice di banca, assillata quotidianamente dalle richieste dei clienti. Si moltiplicano le domande di dilazione di un prestito o di posticipazione di una scadenza e in una sola giornata la donna è sottoposta ad un'altissima tensione. Da un lato c'è la sequela di lamenti infiniti da mettere a tacere e dall'altra si staglia l'adrenalina di far firmare affari a moltissimi zeri a clienti facoltosi. Tutto, però, cambia, quando uno dei "no" rifilati con decisione da dietro alla scrivania porta alla morte l'interlocutore...
Facciamo un passo indietro: Adriana ha ottenuto il posto del padre, dopo la sua morte, a capo della filiale e ne gestisce l'amministrazione attenendosi rigidamente alle regolo: "Seguo il protocollo scrupolosamente", dice con orgoglio ad un collega senza ripensarci un attimo quando rifiuta prestiti o rateizzazioni. D'altronde alla commissione che l'aveva esaminata per il ruolo aveva detto anni prima: "La banca va a caccia di clienti, non di fedeli". Non chiedetele di avere un'anima, allora, perché non ne troverete alcuna briciola. Il suo responsabile la considera "troppo tosta", mentre lei si sente castamente sotto "assedio" da parte di soggetti indistinti pronti a chiedere senza offrire mai una garanzia. "Non siamo né un sindacato né un ente di beneficenza - spiega Adriana - la nostra carriera si basa sui risultati". E i suoi, nemmeno a dirlo, sono eccellenti perché ha la giustificazione perfetta per ogni occasione: "La crisi - dice - non è colpa nostra". Sembra che questa frase metta il punto su qualsiasi tentativo di replica e se qualcuno prova ad accusarla, anche solo velatamente, di rigidità allora la risposta resta la stessa: "Ho dovuto imparare ad essere dura e non mi diverto a dire no alla gente".

Un no di troppo
Uno di questi rifiuti ha una conseguenza troppo alta da pagare, persino per una come lei che mette il lavoro prima della famiglia, dimentica le scadenze della figlia adolescente e salta gli incontri con i docenti perché una delle tappe della carriera non può proprio aspettare. Persino il matrimonio della sorella sembra una scocciatura tra un appuntamento e l'altro in filiale e il marito, poi, viene relegato a figura di sfondo o, al massimo, di compagnia in una vita troppo piena di obiettivi professionali. Basta un attimo, però, e tutto cambia: l'imprenditore, che ha chiesto un'alternativa dopo aver sforato di oltre 200 mila euro in un fido ed essersi lanciato in investimenti azzardati, si toglie la vita davanti ai suoi occhi. Guardarlo cospargersi di benzina e darsi fuoco con un accendino senza poter intervenire: l'incubo peggiore diventa realtà e la assilla notte e giorno. Per mettere a tacere quella coscienza ignorata troppo a lungo, decide di spostare fondi dai conti dei clienti più ricchi a quelli di persone in difficoltà. In nome di un fine nobile infrange quella legge a cui si era attenuta ciecamente e finisce per mandare in frantumi tutto quello che ha costruito.
Una donna a metà
Ecco, allora, spiegato il titolo della fiction, che ricorda il dramma dell'Antigone di Sofocle e vede una donna totalmente divisa tra "ragion di Stato" e leggi interiore. Prendere posizioni risulta davvero un'operazione complessa e delicata: la storia di Adriana è un'opera di finzione eppure tocca corde talmente delicate del nostro presente che sembra impossibile non sentirsi coinvolti. Il pubblico, infatti, ha l'impressione di ritrovarsi davanti ad uno specchio e di essersi ritrovato, almeno una volta nella vita, dall'altra parte della scrivania di questa banca, a chiedere, a sperare, a supplicare persino, "un po' d'ossigeno", proprio come quell'imprenditore che uccidendosi ha definitivamente tolto un futuro alle 50 famiglie dei suoi dipendenti, inclusa la sua.

Niente ripensamenti
Il merito maggiore della miniserie riguarda proprio il forte messaggio sociale in grado di lanciare senza buonismi e retorica. Il cambio di rotta di Adriana comporta ancora una volta un prezzo enorme da pagare, esige sacrificio e non permette una retromarcia di alcun genere.
La resa visiva della fiction riesce a dosare il dramma senza eccessi, con una sapiente regia e una fotografia calibrata. Più che un'opera corale, questa è una missione personale, quindi l'intero peso della miniserie è portato, egregiamente, da Elena Sofia Ricci che se ne fa carico mettendo in scena fragilità e forza in un ritratto accorato e vibrante.