Difficile provare ad esprimere - o sperimentare - qualcosa di nuovo, o anche solo di vagamente originale, all'interno di quel peculiare filone dei family movie (un genere che, già di per sé, non consente una grande libertà di manovra) basato sui rapporti di amicizia fra protagonisti di giovanissima età e gli animali dei più vari tipi. Ancora più difficile, poi, se fin dall'inizio si rinuncia a qualunque tentativo (seppure flebile) di innovazione, per ripiegare invece sulle convenzioni più elementari del suddetto filone.
Sfortunatamente, appartiene appunto a questa categoria Il mio amico Nanuk, produzione nord-americana per la regia del veterano canadese Roger Spottiswoode, presentata in concorso nella sezione Alice nella Città alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma e basata sull'omonimo libro di Brando Quilici.
Un cucciolo d'orso e un cucciolo d'uomo
Esperto mestierante che, dal 1980 in poi, si è diviso con alterni risultati fra action-movie (Sotto tiro, Il sesto giorno), commedie non esattamente memorabili (Turner e il casinaro, Fermati, o mamma spara), un episodio della saga di James Bond (007 - Il domani non muore mai) e qualche dramma per la TV (Lotta al virus, The Matthew Shepard Story), in questa sua ultima fatica Roger Spottiswoode sembra limitarsi a "dirigere il traffico", affidandosi in tutto e per tutto alla simpatia 'coccolosa' di Nanuk, tenerissimo cucciolo orso polare che il protagonista del film, il giovanissimo Luke (Dakota Goyo), ritrova una notte nel garage della propria abitazione, decidendo di fargli trascorrere la notte nella sua stanza nonostante la travolgente vivacità dell'irresistibile orsetto.
Dopo essere stato bruscamente separato dalla propria "mamma orsa" (riportata in elicottero fra i ghiacci), Nanuk diventa dunque responsabilità del piccolo Luke, per il quale prendersi cura dell'ingombrante cucciolone - e assumersi l'impegno di riportarlo dalla mamma, nel suo habitat naturale - rappresenterà il veicolo per una significativa maturazione. Un percorso paradigmatico, insomma, con l'immancabile corredo di avventure che, nella seconda parte del film, fanno sembrare Il mio amico Nanuk la versione 'nordica' di Vita di Pi, con un orso bianco al posto della tigre.
La metafora dell'aquila e del pollo
Tutto qui? Esatto. Perché il film di Spottiswoode, giustificato solo in minima parte dal fatto di rivolgersi espressamente ad un pubblico adolescenziale o infantile, ricalca in maniera fiacca e pedissequa tutte le convenzioni del proprio genere di appartenenza, puntando in maniera furbesca soltanto sul 'carisma' del suo co-protagonista bianco e peloso, al quale Luke rivolge interminabili dialoghi che non bastano certo a celare la povertà di idee della sceneggiatura. Fra grotteschi 'scivoloni' a livello di regia e di montaggio (spezzoni realizzati con una differente macchina da presa e infilati un po' a casaccio all'interno delle sequenze) e panorami da National Geographic, Il mio amico Nanuk scorre in maniera inerte come un qualunque film televisivo della domenica pomeriggio, fra le canoniche interazioni uomo-animale e parentesi di stucchevole sentimentalismo. Mentre al povero Goran Visnjic, ingaggiato nei panni del solitario Muktuk, il copione riserva quella che potrebbe risultare la battuta più involontariamente divertente dell'intero Festival: "Non si può far vivere un'aquila nel corpo di un pollo". Amen.
Conclusioni
Presentato nella sezione Alice nella Città al Festival di Roma 2014, Il mio amico Nanuk è un convenzionalissimo family movie piatto e incolore, che replica stancamente i vari stereotipi delle pellicole sull'amicizia fra un bambino e un animale senza alcuno spunto che possa rivelarsi minimamente interessante od originale. Difficile che un prodotto del genere possa essere apprezzato da spettatori al di sopra dei dodici anni.
Movieplayer.it
1.5/5