The Woman Who Left: Lav Diaz e la redenzione al femminile

Il cineasta filippino firma un racconto epico e struggente, di quasi quattro ore, con al centro una magnifica protagonista.

Horacia, arrestata per un omicidio che non ha commesso, viene rilasciata dopo trent'anni di reclusione. Siamo nel 1997 e, mentre ritrova la libertà e la figlia che non ha visto da decenni, decide anche di rintracciare l'uomo che commissionò il delitto che le ha rovinato la vita. Tra vecchie conoscenze e nuove amicizie, Horacia approfitta pienamente, sebbene con un po' di malinconia, della seconda possibilità concessale.

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The Woman Who Left: un'immagine tratta dal film
The Woman Who Left: un'immagine tratta dal film

Le lunghe ore di Lav

Chi frequenta regolarmente i grandi festival internazionali è a conoscenza della carriera del regista filippino Lav Diaz, un esponente di punta della nuova cinematografia del suo paese insieme a cineasti come Brillante Mendoza, Raya Martin ed Erik Matti. Ed è principalmente in occasione dei festival che il pubblico ha modo di vedere i suoi film, famosi soprattutto per la durata spesso generosa. Se prendiamo in considerazione solo la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, il minutaggio è il motivo principale per cui opere fluviali ed ipnotiche come Death in the Land of Encantos (nove ore), Melancholia (sette ore e mezzo) e Century of Birthing (sei ore) sono state "relegate" nella sezione Orizzonti, mentre a Cannes Norte, The End of History sarebbe stato escluso dal concorso principale per motivi simili pur durando "solo" quattro ore.

From What Is Before: un primo piano di Lav Diaz a Locarno 2014
From What Is Before: un primo piano di Lav Diaz a Locarno 2014

Poi, due anni fa, la svolta: From What Is Before ha vinto il Pardo d'Oro a Locarno, sdoganando Diaz come un nome da prendere in considerazione per la categoria competitiva principale alle kermesse più importanti. Ed ecco che, nel 2016, sia Berlino che Venezia l'hanno finalmente accolto in Concorso: nel primo caso, A Lullaby to the Sorrowful Mystery ha rappresentato una piccola sfida per i programmatori della Berlinale per via della consueta durata monstre (otto ore), ma si è anche aggiudicato un premio importante da parte della giuria presieduta da Meryl Streep; nel secondo, The Woman Who Left è meno impegnativo a livello di collocazione nel palinsesto, con una durata poco sotto le quattro ore, ma non per questo meno intriso della firma molto personale ed affascinante di Diaz, la cui impronta autoriale rimane riconoscibile anche quando si allontana dai sentieri solitamente associati al suo cinema.

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Vendicarsi o non vendicarsi? Questo è il problema

The Woman Who Left: un'immagine del film
The Woman Who Left: un'immagine del film

The Woman Who Left è un film diaziano più compatto, che rinuncia alle atmosfere corali e adotta un ritmo leggermente più serrato - le famose inquadrature fisse che possono durare diversi minuti sono meno presenti in questa sede - per raccontare una storia più semplice, con al centro un personaggio molto forte, una protagonista che, seppur circondata da comprimari eccelsi, domina tutto il racconto. Il bianco e nero, rigoroso portavoce delle sfumature morali che attraversano il film, è sempre presente, ma con dei bagliori di luce che derivano dall'interpretazione potente di Charo Santos-Concio e da piccoli momenti di grande poesia come quando Horacia e il confidente transessuale si danno all'esibizione canora citando West Side Story, un omaggio semplice ma struggente che colloca la pellicola in una terra di mezzo tra il mélo e il revenge movie al quale ammicca con fare cinefilo ed intelligente.

The Woman Who Left: un momento del film
The Woman Who Left: un momento del film

Ci troviamo, insomma, di fronte ad un Lav Diaz in apparenza più "popolare", meno inaccessibile. In realtà la sua visione della Settima Arte rimane la stessa e il preconcetto sulla sua filmografia altro non è che non un mero giudizio a priori legato all'idea, errata ed antiquata, che il pubblico più impaziente ha sul presunto rapporto tra la durata di un film e la qualità dello stesso. Quello di Diaz è un cinema fluviale dove ci si immerge, trasportati dalle immagini, dai personaggi - in questo caso specifico, Horacia è tra le figure cinematografiche imprescindibili del 2016 - e da un caratteristico mood malinconico ma non opprimente. Un'espressione purissima ed incantevole del mezzo filmico, da assaporare senza pregiudizi sebbene questo sia sempre più difficile in una società dove internet trasforma ogni tipologia di spettatore in "critico" e un film è giudicato bello, brutto, capolavoro o sacrilegio prescindendo da quel principio fondamentale che è proprio la visione dell'opera per formare un proprio giudizio. Un problema che attanaglia non solo i giocattoloni da multiplex ma anche quelle cinematografie più piccole ed "estreme", bollate come "noiose" a causa di un elemento perlopiù irrilevante quale la lunghezza del film. Il cinema di Diaz può piacere o meno, ma per arrivare a tale conclusione è necessario esperirlo e non puntare a prescindere sull'ennesimo prodotto più commerciale che, durando due ore o meno, viene considerato automaticamente "più bello".

Movieplayer.it

4.5/5