Recensione Belle & Sebastien (2013)

Il documentarista Nicolas Vanier porta sullo schermo, con una nuova ambientazione storica, un racconto che gli spettatori italiani ricorderanno soprattutto per la sua fortunata trasposizione animata degli anni '80.

La Bella e il bambino

Per la generazione dei quarantenni (o giù di lì) cresciuti a pane e animazione giapponese, solo sentire il titolo Belle & Sebastien fa venire in mente ricordi precisi, vividi, legati a una delle serie animate più seguite in Italia nel corso dei primi anni '80. Tuttavia, la storia del piccolo Sebastien, e del suo grande cane bianco, viene in realtà da molto più lontano: precisamente, da una serie di romanzi per ragazzi scritti dall'autrice francese Cécile Aubry, nonché dall'adattamento televisivo dal vivo, opera della stessa scrittrice, realizzato negli anni '60. Va da sé, comunque, che nel nostro paese la storia sia stata portata alla notorietà dalla successiva serie animata; e va da sé che un prodotto come questo (sulla scia di adattamenti come i vari Kyashan - La rinascita e il recente Capitan Harlock) sfrutterà soprattutto l'effetto-amarcord e la memoria, ancora ben viva, dell'anime presso una larga fascia di spettatori. Il plot di questo adattamento cinematografico, opera del regista e documentarista Nicolas Vanier, si discosta comunque sia da quello dei romanzi, che da quello della serie animata: qui, la storia è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, e il villaggio sui Pirenei, teatro dell'amicizia tra Belle e Sebastien, è costante bersaglio delle truppe tedesche, convinte che gli abitanti aiutino le famiglie ebree a fuggire verso la Svizzera. Qui, il piccolo Sebastien farà la conoscenza della sua futura, inseparabile amica: una bellissima femmina di Cane dei Pirenei, ingiustamente accusata di essere un feroce predatore.


Quello che colpisce subito di questa pellicola, presentata nella sezione collaterale Alice nella città del Festival del Film di Roma, è la sua grande cura scenografica. Vanier (di cui in Italia abbiamo potuto vedere l'apprezzato Il Grande Nord) ha l'occhio del documentarista e si vede: la sua messa in scena valorizza, in ogni singola sequenza, i maestosi paesaggi dei Pirenei, la bellezza e l'inquietudine della montagna, le sue trasformazioni nel corso delle diverse stagioni, il senso di piccolezza umana di fronte allo spettacolo della natura. Non è esagerato dire che, come succede in quei documentari che, da Robert J. Flaherty in poi, hanno usato l'ambientazione in chiave espressiva (e "narrativa") il paesaggio diventi, qui, un ulteriore personaggio: capace di interagire coi protagonisti, di esaltarne o denigrarne le azioni, di offrir loro rifugio ma anche ostacolarli con pericoli mortali, di mettere in evidenza, con una funzione che è molto più di quella di un semplice sfondo, le loro diverse interazioni. La parte che, drammaturgicamente parlando, funziona meglio nell'intero film, è sicuramente la prima: quella in cui la comunità montana si coalizza per dare la caccia a quella che chiama "la Bestia", mentre il piccolo Sebastien, con lo sguardo incontaminato tipico dell'infanzia, si avvicina al presunto mostro, lo osserva, e infine stabilisce con lui un legame che si rivelerà forte e duraturo. La sempiterna opposizione tra la purezza del mondo infantile (e la sua capacità di entrare in simbiosi con la natura) e le meschinità del mondo adulto, rivive in modo efficace in uno scenario che ne esalta la dimensione archetipica.

Quando, tuttavia, il plot si allontana dal canovaccio originale, e va a immergersi nel suo nuovo setting storico, il film mostra qualche limite. Nonostante gli sforzi fatti dalla sceneggiatura per integrare il racconto nel suo nuovo contesto, la componente più prettamente "politica" risulta debole e poco incisiva. Non convince, e appare poco credibile, l'interazione degli abitanti del villaggio con occupanti che sembrano brillare per inefficienza, così come l'evoluzione, un po' forzata, del personaggio del tenente Peter. E' come se il film vivesse di due anime: quella del racconto per ragazzi, efficace e valorizzato al meglio dalla potenza visiva dell'ambientazione, e quella di un suo tentativo di svecchiamento, realizzato con un'integrazione, lodevole nelle intenzioni ma poco riuscita, coi temi di uno dei periodi-chiave della storia contemporanea. Il risultato, per quanto squilibrato, non impedisce comunque di lasciarsi andare al piacere della narrazione, in cui i nostalgici potranno ritrovare alcuni personaggi della serie animata: tra questi, il "nonno" adottivo del protagonista, Cesar (a cui dà il volto un ottimo Tchéky Karyo), la di lui nipote Angelina, interpretata da Margaux Chatelier, il dottor Guillamme, qui diventato un coraggioso medico/attivista, pronto a rischiare la vita per proteggere le famiglie che cercano di attraversare il confine. Da segnalare anche, nel ruolo del personaggio, creato ex-novo, di André, la presenza di Mehdi El Glaoui, figlio dell'autrice originale e interprete di Sebastien nella serie degli anni '60. Se resta qualche dubbio proprio sulla scelta del piccolo protagonista (l'esordiente Félix Bossuet, a tratti un po' legnoso), la presenza di Belle rivive invece sullo schermo al meglio: gli esemplari di Cane da Montagna dei Pirenei utilizzati sono stati in realtà tre, ma l'effetto è assolutamente armonico e credibile, segno indubbio di un'attenzione particolare data alla resa di quello che resta il principale protagonista di questa storia.

Movieplayer.it

3.0/5