Recensione Il mondo di Arthur Newman (2012)

L'autore newyorchese non va mai oltre le righe, grazie alle contenute (ma non fredde) interpretazioni dei protagonisti che gli permettono di mantenere intatto il senso profondo della storia, a dispetto di una messa in scena eccessivamente ricercata.

Le vite che vogliamo

In principio era Il fu Mattia Pascal, l'antieroe pirandelliano che mise in scena la sua finta morte per poter vivere altrove, salvo poi scoprire di essere imprigionato in una sorta di limbo senza uscita. Oggi c'è Colin Firth a rinverdire i fasti di questa figura simbolo della contemporaneità, un uomo dall'identità inquieta che cerca una nuova esistenza, tagliando i ponti col passato. Protagonista del lungometraggio d'esordio di Dante Ariola, Arthur Newman, presentato in concorso al 30.mo Torino Film Festival, l'attore premio Oscar per Il discorso del Re, si dimostra a suo agio nei panni dimessi di un ex impiegato della Fed Ex, separato dalla moglie, in crisi con il figlio che non gli parla da tempo e con una la nuova compagna Mina. Wallace Avery, questo il suo nome, ha poche qualità che lo distinguono dalla massa di coetanei, onesti padri di famiglia. Anzi, ne possiede solo una, la straordinaria capacità di giocare a golf; caratteristica questa che non gli ha permesso mai di svettare. Ma quando gli viene offerto un posto come insegnante di golf a Terre Haute in Indiana, Wallace non ci pensa su due volte. Inscena una sparizione misteriosa, racimola dei soldi, compra dei falsi documenti appartenuti al signor Arthur Newman (una persona vera) e fugge in macchina verso la nuova destinazione. L'incontro con la bellissima Mike, diminutivo di Michaela, una giovane donna che vive facendo furti metterà ulteriormente in subbuglio la sua vita, ponendolo di fronte a scelte che non pensava di poter mai sostenere.


Road movie in piena regola, Arthur Newman si segnala per l'efficacia e la ricchezza dello script. A dispetto delle migliaia di chilometri consumati dalla bellissima Mercedes cabriolet su cui viaggiano i due protagonisti, sono i piccoli cambiamenti del loro animo a destare sempre il nostro interesse. I colpi di scena restano sullo sfondo, anzi la verità su Arthur/Wallace viene subito scoperta dalla sagace Mike, una Emily Blunt assolutamente in parte, e il rapporto tra i due si stabilisce su un piano di reciproca lealtà. E' una scelta apprezzabile perché la tragedia di un'identità incerta non procede per grandi crisi, ma attraverso sussulti, così lievi da sembrare impercettibili. Così Arthur/Wallace trova il suo doppio ideale in Mike, una ragazza che ha il terrore di poter impazzire da un momento all'altro, come già successo alla madre e alla sorella. In gioco insomma c'è un po' di più che qualche giorno di serenità, finalmente liberi dalle pesanti incombenze di una vita in cui non ci si rispecchia più. C'è la ricerca del proprio io, la capacità di rimanere saldi davanti agli imprevisti, una possibilità che solo la certezza di sé può dare.

Michaela trascina Wallace in una folle avventura e insieme si identificano nelle varie coppie che pedinano prima di arrivare a destinazione, inventandosi storie sempre diverse, in attesa di un proprio originale happy ending. Era davvero alto il rischio che una storia del genere potesse essere gestita da Ariola in maniera confusionaria, accumulando temi su temi (in lontananza c'è anche un figlio che si interroga sulla scomparsa del padre e pian piano tenta di riannodare tutti i fili spezzati di quel rapporto), ma l'autore newyorchese non va mai oltre le righe, grazie alle contenute (ma non fredde) performance dei protagonisti e alla presenza scenica di due personaggi 'minori', ovvero il figlio di Wallace, Kevin, interpretato da Lucas Hedges, e la compagna dell'uomo, Mina, a cui presta il volto Anne Heche. Questo gli permette di mantenere intatto il senso profondo della storia, a dispetto di una messa in scena eccessivamente ricercata e di un finale fiacco rispetto alle premesse. Regista di spot pubblicitari e grafico di fama (ha lavorato alle copertine dei dischi di Korn, Fugees e Cypress Hill) Ariola si dimostra infatti fin troppo controllato e 'pronto', non completamente in grado di 'fluttuare' insieme ai suoi personaggi. Si tratta pur sempre di un esordio registico di ottimo livello, che rivela il talento di questo giovane cineasta.

Movieplayer.it

3.0/5