Ve la ricordate la polemica sul fatto che Zerocalcare alias Michele Rech, in Strappare lungo i bordi, parlava troppo romano? Bene. Non c'è dubbio che la polemica sia stata la più inutile e la più strumentale degli ultimi anni (almeno in fatto di prodotti di fiction), in quanto partiva da un concetto di per sé sbagliato: il dialetto. Rech, che doppia Zero, insieme a tutti gli altri personaggi (ad esclusione dell'Armadillo, doppiato da Valerio Mastandrea), non parla romanesco. Bensì, ha una marcata inflessione relativa alla zona est della Capitale. Un'inflessione e non un dialetto, insomma. Una sfumatura. Una traccia. Una sonorità. Un dettaglio vocale da cogliere, che probabilmente coglie solo chi conosce bene Roma, chi appunto è nato a cavallo della Tangenziale Est, che collega la periferia al centro storico. Non per questo, però, la polemica aveva (e ha) ragione d'esistere. Anzi. Una polemica vuota, che si concentra(va) sull'apparenza e non sulla sostanza delle cose. Come spesso accade, quando si tratta di polemizzare a caso.
Ora che Zerocalcare ha fatto il giro del mondo toccando "190 paesi" grazie a Netflix (e grazie all'animazione targata Movimenti Production e DogHead Animation, che hanno fatto uno splendido lavoro), e ora che è arrivata anche la sua seconda serie, Questo mondo non mi renderà cattivo (forse superiore alla precedente, come scritto nella nostra recensione), è giusto tornare ad approfondire il vuoto cosmico che circonda il bislacco pensiero, scaturito soprattutto dai detrattori, o banalmente da chi non riesce a vedere oltre la punta del proprio naso.
Anche perché lo stesso Zerocalcare, fin dal primo episodio di Questo mondo non mi renderà cattivo, gioca con l'argomento chiedendo all'Armadillo dell'irresistibile Mastandrea: "ma secondo te io parlo strano?". Non solo, mette in risalto - prendendoli bonariamente in giro, per non usare un'altra terminologia - quei titoli di giornale che parlavano della "permalosità dei romani", dell'"incomprensibile strascicato di Zerocalcare", del "troppo romanesco". Di incomprensibile, in fondo, c'è solo il paradigma impigrito e limitato di considerare la geografia solo in relazione a determinate situazioni, determinati personaggi. E poi, cosa più importante, c'è da considerare l'identità: opere come Strappare lungo i bordi, o la ben più strutturata Questo mondo non mi renderà cattivo, vivono ed esistono grazie all'identità del suo autore.
Questione di identità...
Il nostro (e come noi, tanti) è un discorso talmente orizzontale che si potrebbe già chiudere grazie ad una sequela di esempi (ne citiamo uno, per citarli tutti: immaginate Massimo Troisi scevro del suo colore vocale partenopeo), o relazionandoci al fatto che una serie ambientata a Palermo sia dialogata con un perfetto accento italiano. Ci allarghiamo: la questione dell'accento è fondamentale anche nel cinema statunitense. Un film localizzato nel Texas rurale non potrebbe essere recitato con un accento newyorkese se si vuol mantenere la verità o lo status delle cose. Geografia, identità, località. Ciò che ha investito Michele Rech, è una sorta di gentrificazione del pensiero dialettale: un'omologazione forzata, in nome della comodità, della linearità, della pulizia. Del rigore. Delle stesse impolverate regole che Zerocalcare affronta attraverso la lunghezza della sua visione, facendo del racconto arte narrativa e visiva. Quelle regole "comuni" dettate da chi, di comune, ha ben poco, ma si professa salvatore dall'alto di un imbarazzante piedistallo. Che sia il piedistallo che sorregge una pagina di un giornale, o quello che sorregge l'ego smunto di un commento sotto un post Facebook.
... e di onestà.
Del resto, per Michele Rech aka Zerocalcare, la parola e il pensiero sono degli elementi impossibile da separare. Vivono ed esistono in simbiosi. E in nome di questa simbiosi, l'autore Rech si prende la responsabilità di essere se stesso. Proprio per questo le sue opere, fumettistiche o animate, non possono prescindere da ciò che lo identifica. E tra ciò che più lo identifica, c'è l'inflessione linguistica, allegata alla fulminea velocità con cui esprime le proprie idee. Fa effetto prendere le parti di ciò che dovrebbe essere naturale e scontato, eppure lo spunto è tornato di impellente attualità, legandosi tanto alle effimere critiche, quanto all'intelligente risposta che l'autore mette in scena in Questo mondo non mi renderà cattivo.
A proposito: Zero in Strappare lungo i bordi, insieme a Secco e Sara, intraprendeva un viaggio personale dai riverberi ancora più crepuscolari, nella seconda serie (sei episodi in totale) il suo riflesso si fa ancora più sociale, e ancora più radicato verso il territorio: si parte da Rebibbia e si irradia a tutto il quadrante tiburtino, con la luce ocra e i volti multiculturali, da cui sarebbe impossibile estrapolare una pulizia di linguaggio che andrebbe ad inficiare sulla stessa identità, sul credo dell'autore e quindi sulla fiducia dei suoi lettori e/o spettatori. Un'onestà intellettuale talmente rara, oggi, che viene scambiata per egocentrismo, per permalosità, per vezzo. Eppure, altro non è che la colonna portante di un'idea ancorata ad una realtà ben precisa, polarizzata e fortemente rappresentativa di ciò che si conosce, e quindi di ciò che si vuole raccontare. Perché non è mai importante il come, ma il perché. Se ancora non lo avete capito, allora forse è meglio che v'annate a pija er gelato.