Ho scoperto davvero quello che fa un regista quando vidi Quarto potere in televisione per la prima volta, e da allora cominciai a diventare cosciente del montaggio e delle posizioni della macchina da presa. Welles non aveva paura della consapevolezza della cinepresa.
Le parole di Martin Scorsese sintetizzano quello che rimane forse il principale merito di Orson Welles: la consapevolezza del regista e la sua abilità nell'esibire tale consapevolezza di fronte al pubblico. In un ambito, il cinema classico hollywoodiano, in cui numerosi cineasti avevano la tendenza a far 'scomparire' la macchina da presa, aderendo a un'idea di messa in scena codificata da precise convenzioni, Welles fu uno fra i primi a 'giocare' liberamente con lo sguardo filmico, a manipolarlo con divertita arroganza. Una caratteristica evidentissima fin dal suo film d'esordio, Quarto potere.
In Citizen Kane, infatti, Orson Welles tentò un'impresa che praticamente nessuno, a Hollywood, aveva intrapreso a livelli tanto estremi e con esiti tanto elevati: rivoluzionare le regole del linguaggio cinematografico imponendo una nuova concezione di regia, di fotografia e di montaggio. Perché in Quarto potere, che assorbe in parte la lezione dei maestri dell'espressionismo tedesco spingendosi però verso territori inediti, è l'approccio stesso alla realtà a mutare radicalmente: le immagini sono sottoposte costantemente alla prospettiva dell'autore, una prospettiva capace di offrirci punti di vista bizzarri e sorprendenti, che ci costringono di sequenza in sequenza a metterci in gioco in qualità di spettatori.
Citizen Kane: primi passi di un enfant terrible
Orson Welles, di cui quasi un anno fa abbiamo celebrato il centenario dalla nascita, aveva appena venticinque anni quando, forte dei consensi riscossi sui palcoscenici di Broadway, del successo radiofonico de La guerra dei mondi e di un contratto di ferro con la RKO Radio Pictures, che gli consentiva una libertà creativa inaudita, si imbarcò nel progetto di Citizen Kane. Nelle vesti di produttore, regista, protagonista e co-sceneggiatore (insieme a Herman J. Mankiewicz), questo enfant terrible originario del Wisconsin realizzò un'opera senza precedenti: un ritratto del defunto magnate e milionario Charles Foster Kane (interpretato da Welles, con un make up che lo trasformava in un uomo maturo e anziano) attraverso le testimonianze di alcune delle persone che lo avevano conosciuto, fra cui il suo migliore amico, Jedediah Leland (Joseph Cotten) e la sua ex moglie Susan Alexander (Dorothy Comingore), raccolte dal reporter Jerry Thompson (William Alland).
Il 1° maggio 1941 Quarto potere veniva proiettato, per la prima volta in assoluto, al Palace Theatre di New York. Esaltata dalla critica, la pellicola non mancò di suscitare però feroci polemiche legate alla descrizione del personaggio principale: quel "cittadino Kane" che per tanti, troppi aspetti ricalcava la figura del potentissimo tycoon della stampa William Randolph Hearst, il quale aveva provato a boicottare il film in vari modi, inclusa un'offerta a peso d'oro affinché la RKO ne distruggesse ogni copia (per chi volesse approfondire gli appassionanti retroscena su Quarto potere, vi consigliamo la visione del documentario The Battle Over Citizen Kane). Uscito il 5 settembre negli Stati Uniti, con una distribuzione limitata a causa dell'ostilità di Hearst, Quarto potere registrò cifre moderate al box office ma in compenso ricevette nove candidature alla quattordicesima edizione degli Oscar, conquistando però soltanto il premio per la miglior sceneggiatura originale.
Con una reputazione crescente di decennio in decennio (in particolare André Bazin e i registi della Nouvelle Vague contribuirono alla sua canonizzazione), eletto puntualmente ai primi posti nelle classifiche dei migliori film di tutti i tempi, Quarto potere continua ad esercitare il suo straordinario fascino pure a settantacinque anni di distanza. E da parte nostra, abbiamo deciso di rendere omaggio al capolavoro di Welles rievocando cinque scene chiave della pellicola: cinque momenti in cui emerge appieno il talento anarchico di un venticinquenne intento a cambiare la storia del cinema.
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1. Nel castello di Xanadu
Uno degli incipit più spiazzanti negli annali della settima arte, e non soltanto per l'assenza dei titoli di testa (ad eccezione del cartello con il titolo), violazione di una convenzione pressoché inviolabile nella Hollywood del tempo. Fin dai primissimi minuti Welles ci immerge in un'atmosfera tenebrosa ed enigmatica: il cartello "No trespassing", il lento movimento di macchina verso l'alto su un'inferriata, le sinistre musiche di Bernard Herrmann e quindi in lontananza, nella foschia notturna, la sagoma di un maniero simile a un lugubre castello delle fiabe. Sullo schermo si succedono vari elementi perturbanti: due scimmie in gabbia, delle barche ormeggiate ad un molo, la nebbia che si addensa nel cortile del maniero.
Poi, sul primo piano di una finestra, all'improvviso lo spettatore viene catapultato dall'esterno all'interno, primo esempio di raccordo ingannevole in una catena di sequenze che sfidano la nostra percezione della realtà: un'incomprensibile nevicata cede il posto a una sfera a neve stretta nella mano di un uomo; il primissimo piano di una bocca coincide con la prima parola del film, "Rosebud"; di nuovo l'inquadratura della mano, con la sfera che scivola sul pavimento infrangendosi. Ma il regista osa ancora di più: dopo aver scomposto la realtà in frammenti, è pronto a deformarla davanti ai nostri occhi. L'immagine di un'infermiera che entra nella camera è mostrata attraverso i frantumi di vetro, in un gioco di distorsioni e di rifrazioni tipico del cinema di Welles (un esempio su tutti, il finale de La signora di Shanghai). La 'composizione' del cadavere, ricoperto da un lenzuolo, è il primo mistero di Quarto potere, che si apre con la morte del suo protagonista per poi ripercorrerne a ritroso la travagliata esistenza. Un incipit indimenticabile, a cui perfino i Simpson hanno reso omaggio nell'episodio Rosebud, con un'apertura che ricalca la scena analoga dell'opera di Welles e il perfido Mister Burns nei panni del "cittadino Kane".
2. There is a man, a certain man...
La festa per il New York Inquirer, il quotidiano acquistato da Charles Foster Kane, a partire dal quarantesimo minuto della pellicola, è un'altra macrosequenza che testimonia l'arditezza registica di Orson Welles. La cinepresa non è posta quasi mai all'altezza del volto dei personaggi: Kane è ripreso generalmente dal basso, accentuandone così l'aspetto statuario e imponente, mentre la lunga tavolata dei reporter del giornale è inquadrata dall'alto, esprimendo pertanto il senso di dominio di Kane sui propri commensali. Il party per il record di tirature dell'Inquirer assume da subito il carattere di un baccanale sfrenato e pacchiano, con l'ingresso di una bizzarra orchestra in costume e di un piccolo esercito di ballerine (si riveda, a tal proposito, la scatenata festa negli uffici di Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese).
Mentre un cantante di varietà intona il pezzo Charlie Kane, introdotto dai versi "There is a man, a certain man" (un'esilarante parodia di questa scena ci sarà offerta sempre ne I Simpson, nell'episodio Marge Gets a Job, con l'identico brano e Montgomery Burns di nuovo nei panni di Charles Foster Kane). La rumorosa allegria della sala e il dinamismo del montaggio vengono messi in contrasto con la serietà di Jedediah Leland, alle prese con i primi interrogativi morali a proposito del giornale per il quale lavora.
3. Il comizio
È una delle immagini più iconiche di Quarto potere: quella di Charles Foster Kane davanti alla gigantografia del suo volto su un manifesto, nel corso di un comizio per la sua campagna elettorale a Governatore di New York, a un'ora esatta dall'inizio del film. Dopo l'inquadratura della figura di Kane, uno stacco di montaggio ci presenta un campo lunghissimo della sala del comizio: l'enorme folla riunita ad ascoltare Kane (in realtà frutto di un fotomontaggio: Welles non disponeva infatti di un numero sufficiente di comparse) e in fondo, nel punto di fuga visivo, il palco illuminato.
La macchina da presa si accosta a Kane, lo riprende dal basso verso l'alto durante il suo altisonante discorso, come se anche noi spettatori fossimo lì in prima fila; un alternarsi di campi e controcampi ci mostra un Kane sorridente e la sua prima moglie, Emily Monroe Norton (Ruth Warrick), e poi ancora, sempre lì fra il pubblico, il fedele Leland. Ecco però che la cinepresa si sposta in modo singolare: dopo una serie di piani americani di Kane, per la prima volta lo riprende dall'alto. E l'inquadratura successiva, realizzata da uno dei balconi più alti del teatro, ce lo mostra minuscolo, una figura appena distinguibile laggiù sul palco, osservata con ampio distacco da quello che si potrebbe assimilare all'"occhio di Dio"; e per Kane, infatti, la sicumera del vincitore annunciato sta per essere incrinata dalla prima, clamorosa sconfitta della sua carriera e della sua vita privata.
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4. Kane allo specchio
L'ultimo resoconto sulla vita di Charles Foster Kane (a un'ora e quarantotto minuti di film) è narrato mediante il flashback del suo ex maggiordomo Raymond (Paul Stewart). Dalla soglia del castello di Xanadu, subito dopo l'abbandono della seconda moglie, osserviamo la sagoma di Kane a distanza, che si staglia in controluce in fondo all'ampio salone d'ingresso. Stacco di montaggio e piano americano, con il volto sofferente di un Kane/Welles invecchiato dal trucco. In una lunga scena silenziosa, lo osserveremo in preda alla collera mentre fa a pezzi la camera di Susan, distruggendo qualunque oggetto gli capiti a tiro in quel piccolo regno dell'horror vacui, tranne uno: la medesima sfera a neve della sequenza d'apertura. Placato, in lacrime e con lo sguardo paralizzato, Kane uscirà lentamente dalla stanza, sotto gli sguardi atterriti dell'inera servitù, per ritirarsi in una totale solitudine. E ancora una volta Orson Welles e il suo direttore della fotografia, il magistrale Gregg Toland, si concedono un virtuosismo da manuale, capace di suggerirci l'intima scissione e la natura inafferrabile del personaggio: la sagoma di Kane riflessa nel vetro di uno specchio e moltiplicata all'infinito, in un superbo esempio di mise en abîme visiva.
5. Il mistero di Rosebud
I minuti conclusivi di Quarto potere ci presentano quello che, con tutta probabilità, rimane uno degli epiloghi più struggenti nella storia del cinema. Mentre il reporter Jerry Thompson si accinge a lasciare Xanadu, dopo aver constatato il fallimento della propria inchiesta, uno zoom all'indietro ci mostra il salone del castello trasformato in un immenso mausoleo in cui vengono accumulati e catalogati i beni, gli oggetti e le opere d'arte di Charles Foster Kane. "Ma questo non buttava via mai niente", è il commento di uno degli addetti, mentre la cinepresa si muove in questo labirinto di cimeli, tanti minuscoli frammenti della vita di Kane.
"Ho giocato con un rompicapo", afferma Thompson, arresosi ormai all'impenetrabilità del mistero di Charles Foster Kane; e Rosebud resta il pezzo mancante di questo puzzle. Nella solitudine e nel silenzio, la macchina da presa continua ad aggirarsi fra le migliaia di oggetti accumulati uno sull'altro, per posarsi infine su un semplice slittino da neve: lo slittino con cui Kane giocava da bambino, quando ancora viveva in una casa di montagna insieme alla propria famiglia. Uno degli operai scaglia lo slittino nella fornace, insieme ad altri oggetti di scarso valore da bruciare, e il mistero viene finalmente risolto: mentre le fiamme lambiscono lo slittino sul legno risalta la scritta "Rosebud", pochi istanti prima che l'ultimo residuo dell'infanzia di Kane sia divorato dal fuoco. Anche il "tassello mancante" è stato inghiottito dall'oblio.