Se c'è una qualsiasi magia in questo mondo, dev'essere nel tentativo di capire qualcuno condividendo qualcosa. Lo so, è quasi impossibile riuscirci, ma che importa in fondo? La risposta è nel tentativo.
La scena d'apertura di Prima dell'alba consiste in una lite: su un treno da Budapest diretto a Vienna, una coppia discute animatamente in tedesco. A causa di questo irruento diverbio una ragazza francese, Céline, decide di cambiare posto, attirando l'attenzione dell'americano Jesse. E il loro primo dialogo, originato dalla curiosità nei confronti dei due passeggeri, verterà proprio sul rapporto fra la longevità dei sentimenti e la capacità di comunicare: "Hai mai sentito dire che in una coppia che invecchia si perde la capacità di ascoltare l'altro?", osserva Céline; "Gli uomini non sono più capaci di catturare i suoni acuti e le donne alla fine non registrano le note gravi. Direi che, in un certo senso, si annullano fra loro".
Il primo capitolo della trilogia di Richard Linklater
È emblematico, e per certi versi anche ironico, che il legame fra l'amore e la comunicazione sia il primo argomento affrontato da Jesse e Céline: e non solo perché, in qualche modo, i due personaggi stanno già anticipando il tema al cuore dell'opera, ma in retrospettiva soprattutto per il fatto che la suddetta "capacità di ascoltare l'altro", nei diciotto anni successivi, verrà sottoposta alla prova del tempo nei successivi capitoli della trilogia di Richard Linklater, Before Sunset - Prima del tramonto e Before Midnight. Difficile però che i primi spettatori del film, o perfino gli autori stessi, potessero prefigurare una tale evoluzione nel periodo in cui, a partire dal 27 gennaio 1995, Prima dell'alba esordiva nei cinema americani, una settimana dopo la sua fortunata presentazione al Sundance.
Accolto da un riscontro di pubblico di gran lunga superiore in Europa rispetto agli Stati Uniti (per l'ambientazione viennese, ma probabilmente pure per la sua prossimità a un certo cinema europeo), Prima dell'alba ha superato la prova del tempo come poche altre pellicole degli anni Novanta, guadagnandosi uno statuto di cult generazionale a cui hanno contribuito i due sequel che, nel 2004 e nel 2013, hanno visto Richard Linklater tornare a collaborare con i due interpreti e co-sceneggiatori del film capostipite, Ethan Hawke e Julie Delpy, entrambi ventiquattrenni all'epoca delle riprese e coinvolti in un processo creativo basato in parte sull'improvvisazione, in parte sull'aderenza a personaggi che i due giovani attori hanno saputo far propri con meravigliosa spontaneità.
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Il "breve incontro" a Vienna di Jesse e Céline
E tale naturalezza è una componente fondamentale di un'opera imperniata sul connubio fra l'intenso romanticismo del soggetto e un approccio da cinéma vérité: la maggioranza delle sequenze è girata en plein air fra le strade di Vienna, la musica extradiegetica è quasi del tutto assente e il film nel complesso è quanto di più distante dalle tradizionali strutture drammaturgiche del cinema americano. Piuttosto, Prima dell'alba potrebbe essere considerato come una "pietra angolare" del mumblecore, un movimento che si sarebbe affermato solo nel decennio a venire, nonché una rielaborazione - ma personalissima e priva di qualunque traccia di maniera - dei canoni tipici della filmografia di Eric Rohmer, regista che Linklater ha sempre annoverato fra i suoi numi tutelari.
Perché in Prima dell'alba, sostanzialmente, i due protagonisti non fanno altro che parlare: l'intera narrazione è costruita sui fitti dialoghi fra Jesse e Céline, spesso sviluppati mediante lunghi piani sequenza, mentre l'unico conflitto presente nella trama, vale a dire la prospettiva di dividersi la mattina seguente al loro incontro, è un conflitto solo apparente, in quanto accettato da entrambi i personaggi nella sua malinconica ineluttabilità. Anzi, è proprio la coscienza di quel limite temporale, evidenziato fin dal titolo, a rendere tanto urgente e 'speciale' il breve soggiorno a Vienna di Jesse e Céline: la necessità di vivere il presente fino in fondo e il desiderio di mantenere intatta la purezza di quel ricordo, senza rischiare di comprometterla con lettere e telefonate inadatte a colmare un oceano di distanza.
È vero, la loro risolutezza sarà incrinata dalla promessa dell'epilogo: ritrovarsi da lì a sei mesi, in quella stessa stazione ferroviaria che sarà il teatro del loro addio, in un tentativo di sublimare la realtà secondo le nozioni di un romanticismo hollywoodiano d'altri tempi (l'espediente dell'appuntamento è il medesimo dei due classici di Leo McCarey, Un grande amore e Un amore splendido). Ma il pubblico del 1995 non poteva sapere se tale promessa sarebbe stata rispettata: il futuro di Jesse e Céline era affidato all'immaginazione di chiunque avesse rintracciato, nella vicenda messa in scena da Linklater, un'eco di se stesso, del proprio universo interiore e della propria visione dell'amore.
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E sono appunto due visioni dell'amore quelle che i due ragazzi elaborano durante la loro vagabonda serata viennese, aprendosi l'uno all'altra con la franchezza di chi ha di fronte non solo (e non tanto) un potenziale partner, ma qualcuno con cui parlare in un linguaggio comune. Prima dell'alba, infatti, è innanzitutto un film sulla comunicazione: come strumento narrativo, secondo la "scuola rohmeriana", e come bisogno di conoscere appieno la persona in cui riporre i propri sentimenti. Come afferma Céline: "Io credo di potermi innamorare veramente quando so tutto di una persona: come si farà la riga ai capelli, quale camicia metterà quel giorno, conoscere esattamente quale storia racconterà in quella data situazione. Allora saprò di essere veramente innamorata".
È forse il segreto dell'imperitura fama del cult di Linklater, del sottile incanto che gli ha permesso di diventare uno dei film più amati dell'ultimo quarto di secolo: pur nella sua cornice realistica che si propone al contempo come dimensione 'altra' e sottratta al quotidiano, quello di Jesse e Céline è un racconto che si apre totalmente allo spettatore, accogliendolo e rendendolo parte del suo ininterrotto dialogo attorno a dubbi e quesiti ben lontani dall'essere risolti. "Io credo che se esiste un qualsiasi Dio, non sarebbe in nessuno di noi, né in te, né in me, ma solo in questo piccolo spazio nel mezzo. Se c'è una qualsiasi magia in questo mondo, dev'essere nel tentativo di capire qualcuno condividendo qualcosa. Lo so, è quasi impossibile riuscirci, ma che importa in fondo? La risposta dev'essere nel tentativo". Perché come ci suggerisce Céline, a volte più della risposta ciò che conta davvero è condividere la stessa domanda "in questo piccolo spazio nel mezzo".