In principio furono Cristoforo Colombo, Galileo Galilei, Leonardo Da Vinci, Thomas Edison e Guglielmo Marconi. Poi venne Pippo Baudo. Inventore del concetto stesso di buona televisione e abile scopritore di talenti, questo elegante signore ha fatto del garbo e dell'eleganza il suo tratto distintivo. Se la televisione è stata capace di "entrare nelle case degli italiani", una delle chiavi ce le aveva lui. Carismatico, professionale, creativo, formale ma sempre disposto a prendersi in giro, Baudo è ormai diventato un'icona nazionale, personaggio amato per la sua familiarità ormai acquisita agli occhi di un pubblico affezionato. Non fa eccezione quello del Teatro Petruzzelli di Bari, che accoglie il presentatore catanese con sincera gratitudine. Però, come si sarebbe chiesto un suo vecchio collega, una domanda nasce spontanea: cosa ci fa Pippo Baudo all'interno di una manifestazione cinematografica come il Bif&st? Per una volta il punto di vista sulla settima arte vuole essere diverso, non interna al mondo del cinema, ma tangente. Una testimonianza figlia della significativa esperienza di un conduttore che nel corso dei suoi 60 anni di stimata carriera è diventato anche un promotore culturale anche del cinema. Lo sguardo di Baudo, che il cinema lo ha anche fatto (sempre grazie a piccoli ruoli o camei), ci ha condotto tra ricordi e aneddoti legati al dietro le quinte di provini, set e interviste con grandi figure della settima arte.
Pippo Baudo come tramite cinematografico, come testimone privilegiato di personaggi ispezionati anche dietro le quinte. Questo è stato l'approccio di una masterclass in cui il mito televisivo ha dichiarato di non essere affatto stanco, e di sentirsi ancora attivo, creativo, voglioso di nuove avventure, "senza insoddisfazioni ma non sazio". Ammesso che in questa televisione urlata ci sia ancora spazio per la sua galanteria.
Leggi anche: Pierfrancesco Favino al Bif&st: la faccia da clown e il senso di Sanremo
La mia televisione
Schegge di memoria. A colori e in bianco e nero. Vecchie clip guidano l'incontro di un Baudo sempre a suo agio sul palco, che guarda indietro con piacere: "Quando ero ancora un ragazzo, e vivevo con i miei, in Sicilia, guardavo tanta televisione. Studiavo i grandi come Mike Bongiorno ed Enzo Tortora, e dicevo a me stesso che prima o poi anche io sarei entrato dentro quella scatoletta. Alla fine ci sono riuscito nonostante il disappunto dei miei genitori. Mia madre mi immaginava medico, mio padre sperava che diventassi un avvocato. Però il mondo dello spettacolo mi ha sempre affascinato e non ho mai dubitato su quale strada dovessi imboccare. Anche per questo mia madre mi diceva: non sei un figlio, sei un pagliaccio. E non aveva mica tutti i torti". Ultimo rappresentante della vecchia guardia televisiva, Baudo non le manda a dire quando c'è da giudicare i palinsesti odierni: "Una volta la televisione era sinonimo di cultura.
Col nostro lavoro abbiamo aiutato la formazione di un'identità nazionale e della nostra lingua italiana che è meravigliosa e piena di sfaccettature. Il mio obiettivo era sempre far andare a letto il pubblico avendo imparato qualcosa di nuovo. Questo accadeva anche perché dietro i programmi c'erano grandi autori televisivi che scrivevano appositamente per la tv. Adesso è tutto cambiato. Siamo stati rovinati dai format stranieri che hanno uniformato troppo i contenuti, livellandoli verso il basso. Ogni cosa è un talent o un reality show, ovvero programmi che creano l'illusione della notorietà. Perché diciamolo: è impossibile sfornare cinque o sei talenti all'anno. La verità è che questi programmi sfornano soltanto fenomeni della durata di un anno massimo. Per toni e contenuti, e per il loro gusto per il pettegolezzo fine a se stesso, ritengo questi format una forma di maleducazione televisiva". Sulla sua percezione pubblica, Baudo ha ammesso: "Un personaggio pubblico deve concedersi allo spettatore, infatti per me è un regalo essere sempre ben accolto. Ecco, io mi ritengo un soprammobile. Faccio parte dell'arredo familiare italiano. E in quanto figlio unico, mi ritengo un figlio di tutti gli italiani".
Talenti e nostalgie
L'ho inventato io. L'ho scoperto io. Frasi che fanno parte degli immancabili tormentoni di ogni imitatore di Pippo Baudo, un uomo di spettacolo dal fiuto quasi infallibile: "Sì, è vero. Ho sempre amato scovare nuovi talenti, semplicemente perché cercavo il nuovo. Ricordo con affetto di aver lanciato il talento versatile di Loretta Goggi, quella testa un po' matta di Heather Parisi e poi la bellissima Lorella Cuccarini. Va detto, però, che ho scoperto anche tanti uomini. Ad esempio Beppe Grillo. Che cosa ho combinato, eh? Scherzi a parte, io credo che lui abbia nostalgia del teatro e che sia stanco della politica. E, nonostante tutto, rimane un grande comico. Poi come dimenticare Massimo Troisi. Un'assoluta rivelazione. Un attore straordinario che avrebbe fatto cose stupende. Ha avuto una vita difficile e piena di sofferenze, ma risultava sempre divertente e irresistibile. Con lui non provavamo mai gli sketch televisivi, momenti che sono esilaranti ancora oggi perché erano autentici. Secondo me lui sarebbe diventato il degno erede di Eduardo De Filippo. Era un grande. È stato davvero un peccato averlo perso così presto. Ricordo con piacere alcuni miei lavori col mitico Trio, composto da Anna Marchesini, Tullio Solenghi e Massimo Lopez. Con loro girai la parodia dei I promessi sposi, che fu qualcosa di geniale per la tv di allora. Ci siamo divertiti un sacco insieme, e devo ammettere che mi mancano tanto l'intelligenza e l'ironia di Anna. Ha lasciato un grande vuoto".
Leggi anche: Massimo Troisi: venti motivi per cui ci manchi
Vittorio, Marcello, Ugo...e Sean
Essere un conduttore significa soprattutto fare gli onori di casa e veder passare nel proprio salotto televisivo personaggi cinematografici di assoluto spessore. La memoria di Baudo passa in rassegna i grandi del cinema italiano: "Ho tantissimi ricordi delle nostre grandi star. Tra le donne nutro un'immensa stima per Mariangela Melato e Monica Vitti, mentre tra gli uomini ricordo con particolare affetto Vittorio Gassman. Dovete sapere che lui odiava la televisione, così quando era mio ospite amava distruggere tutto quello che io rappresentavo. Me ne combinava di tutti colori. Lui era il carnefice e io la vittima. Una volta, scherzando con delle capriole, mi fece persino male fisicamente. Era un personaggio enorme, un monumento. Grandi come lui non ce ne sono più. Di Marcello Mastroianni ricordo soprattutto la sua riservatezza. Era un personaggio schivo ma sempre gentile. Per questo si concedeva poco alla tv. Quando lo faceva, lo ritenevo sempre un grande favore personale. Ugo Tognazzi? Ugo era un personaggio difficile. Quando era mio ospite non voleva sapere niente per mettermi in imbarazzo e in difficoltà. Penso che, nonostante la stima di molti, non sia stato amato come meritava e che abbia chiuso la sua esistenza con grande amarezza. Tognazzi era un attore comico, è vero, ma era anche molto malinconico".
Leggi anche: Alessandro Gassmann si racconta al Bifest: in memoria del grande Vittorio, con tanta voglia di indipendenza
Infine, ecco arrivare un'interessante considerazione sulla differenza tra il vecchio e il nuovo modo di concepire le interviste giornalistiche: "Ormai oggi si lavora soprattutto in hotel. Ci sono interviste singole molto fredde e schematiche, scandite da tempi prestabiliti. Il che rende poco autentico il rapporto tra attore e intervistatore. Penso, invece, che un interprete in uno studio televisivo percepisca meglio il calore del pubblico, come se fosse un rifrazione di quello seduto a casa davanti alla tv. È giusto che un attore entri nel clima giusto. Ad esempio, ricordo con grande piacere una mia intervista a Robert De Niro. Inizialmente il suo agente mi concesse solo dieci minuti, invece lui si sentì talmente a suo agio da rimanere quasi un'ora. E come dimenticare Sean Connery? Era all'apice del suo successo, aveva appena finito di girare Agente 007, missione Goldfinger e si prestò persino a ballare con me sulle note della colonna sonora del film". L'incontro si conclude con le domande da parte del pubblico, e la maggior parte di queste inizia o finisce con la stessa parola: grazie. Emblematico di come Pippo Baudo sia diventato davvero uno di famiglia. Altro che soprammobile.