Percy Jackson: un nome, una leggenda, soprattutto tra i ragazzi. Di ieri, ma anche di oggi. Non a caso, la sua storia - o dovremmo dire il suo romanzo di formazione - riscrive gli antichi miti greci portandoli ai giorni nostri. Un vero e proprio viaggio dell'eroe. Un eroe imperfetto però, e ci piace così. Perché? Probabilmente poiché è il miglior rappresentante degli insicuri di ogni generazione.
Percy Jackson: l'eroe imperfetto e fallace
Da sempre, nella letteratura come nell'audiovisivo, funzionano gli outsider, i loser: quelli considerati "sfigati", a scuola come nella vita. Questo perché è molto più facile per gli spettatori immedesimarsi in qualcuno che sbaglia piuttosto che in una persona che riesce in tutto in modo sempre impeccabile. Pensiamo a Stand by Me, ai Goonies, alla Compagnia dell'Anello, a Harry Potter e ai grandi protagonisti letterari e cinematografici.
In questa cornice si inserisce perfettamente Percy Jackson, tornato su Disney+ con una seconda stagione: anche se ha dentro di sé un grande potere, è tutto fuorché l'eroe senza macchia e senza paura. Riuscire a controllare gli oceani - come il padre biologico, Poseidone - non significa necessariamente saper controllare (e capire) se stessi.
La dislessia: uno strumento e non una carenza
La prima caratteristica che lo rende eroe imperfetto è sicuramente la dislessia. Un'idea venuta allo scrittore Rick Riordan in onore del figlio, cresciuto con questo disturbo dell'apprendimento. Percy la considera una debolezza perché lo fa sentire un reietto, sempre un passo indietro rispetto agli spavaldi compagni di scuola.
Eppure scoprirà presto che potrebbe diventare una risorsa: il disturbo gli permette di leggere le scritte in latino, perché è come se le lettere si spostassero formando degli anagrammi che saltano all'occhio solamente a lui. Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo si fa carico quindi di un grande messaggio di fondo: non tutto ciò che reputiamo il nostro tallone d'Achille - analogia che scegliamo non a caso - diventa il nostro peggior incubo; possiamo imparare a usarlo a nostro vantaggio.
Siamo tutti "mezzosangue", come Percy
L'altro aspetto che rende Percy Jackson uno di noi è la sua doppia anima. All'inizio della storia il ragazzo scopre infatti di essere un semidio, frutto dell'amore tra un'umana, Sally (Virginia Kull) e il Dio greco Poseidone (Toby Stephens). Il padre non ha voluto riconoscerlo, rendendolo un figlio proibito destinato al Campo Mezzosangue.
Non si sente al proprio posto in nessuno dei due mondi e dovrà fare molta fatica - anche fisica - per riuscire a costruire la propria identità. Una sensazione di insicurezza perenne, sinonimo di precarietà ed incertezza, che per motivi diversi possiamo sentire tutti in qualche modo molto vicina. Pensiamo a Percy: a 12 anni scopre le proprie origini e viene bombardato di informazioni, il padre sconosciuto, la madre in pericolo, tutto l'Olimpo che lo cerca perché è stato incastrato sul furto della Folgore di Zeus. A quel punto il protagonista deve dimostrare non solo la propria eredità di sangue ma anche quella emotiva, imparando a guidare i suoi coetanei verso la guerra innescata da altri.
Ma è proprio questa sua imperfezione di fondo a renderlo un leader ideale: la fiducia e la lealtà reciproche sono le basi che vuole costruire con i nuovi amici Annabeth e Grover per poter formare una squadra vincente.
Facendo vedere quanto si senta insicuro sul proprio destino alla figlia di Atena, al satiro e agli altri bambini proibiti, riesce a mostrare loro quanto siano simili e quindi destinati a combattere fianco a fianco, per scoprire la verità e riportare la pace sull'Olimpo e sulla Terra. Chi non vorrebbe un eroe così?