"Come vorresti essere ricordato?" "Come cantante? Come colui che ha portato la lirica alle masse". Iniziamo la recensione di Pavarotti, il film di Ron Howard presentato alla Festa del Cinema di Roma 2019, e in uscita evento il 28, 29 e 30 ottobre con Nexo Digital, dalle parole di Luciano Pavarotti.
Il famoso tenore risponde in una registrazione casalinga a una domanda della compagna di allora, Nicoletta Mantovani. "E come uomo?" chiede lei. Ron Howard, regista di indubbio talento nel raccontare le storie, stacca e tiene la risposta in sospeso. La ascolteremo solo alla fine del film. E la cosa ha un senso, perché il documentario su Luciano Pavarotti alterna la sua vita professionale a quella personale, che è altrettanto interessante. Ci aveva raccontato i Beatles, la più grande band del mondo, qualche anno fa, Ron Howard. Per qualche minuto, in Pavarotti, ci racconta quella che è stata l'altra più grande band del mondo, quella dei Three Tenors, l'ensemble creato da Josè Carreras, Placido Domingo, e Pavarotti. E a un'altra grande band, gli U2, è dedicato un altro momento interessante di un film che è un classico documentario. Ma classico non vuol dire banale.
La trama: Luciano Pavarotti, da Modena all'eternità
Pavarotti di Ron Howard segue un andamento cronologico: seguiamo Luciano Pavarotti da ragazzo, quando, figlio di un panettiere con la passione per il belcanto, cantava in un coro di Modena. Lo seguiamo nel suo debutto sulle scene italiane, e poi in quello internazionale, al Covent Garden di Londra, quando deve sostituire un famoso tenore. Da lì inizia un'escalation che lo porta a cantare l'opera in tutti i più grandi teatri del mondo. Ma l'intuizione di una serie di lungimiranti manager lo porta ad eseguire dei recital prima in alcune zone rurali dell'America, poi nel teatro del Casinò di Atantic City, come Frank Sinatra, e poi negli stadi. Pavarotti è ormai una rockstar. E quando, nel 1990, in seguito ai gravi problemi di salute di Josè Carreras, decide di esibirsi con lui e Placido Domingo, è anche nella più grande band del mondo. Da un concerto ad Hyde Park a Londra nasce l'amicizia con Lady Diana e l'idea di impegnarsi sempre più nei concerti di beneficenza. È il momento in cui entra nella sua vita Nicoletta Mantovani: presentata come la sua assistente, è in realtà il suo nuovo amore, diventerà sua moglie e gli darà un figlio.
Come Bohemian Rhapsody e Rocketman
Ron Howard costruisce la storia di Pavarotti secondo il copione ormai classico dei biopic musicali, come Bohemian Rhapsody e Rocketman: l'ascesa, l'amore, il successo che cresce in modo esponenziale, la crisi (anche se il momento, ben rappresentato dall'aria Ridi pagliaccio, viene lasciato un po' sospeso, e non se ne capiscono appieno le ragioni), la rinascita e il nuovo amore. Howard è bravo, da un lato, a montare le interviste sulle immagini di repertorio più adatte al racconto cronologico, dall'altro a unire musica e immagini a seconda dell'emozione che il racconto in quel momento prevede. La vita di Pavarotti è stata come un'opera lirica, ha notato Howard. E così cerca di raccontarla. Ad arricchire il tutto ci sono le interviste alla prima moglie, Adua Veroni, e della seconda, Nicoletta Mantovani, di José Carreras e Placido Domingo, dei vari manager che si sono susseguiti nella sua carriera, delle tre figlie del primo matrimonio (da bambina credevo facesse il ladro, racconta una di loro, visto che lavorava la notte e aveva una valigetta con le barbe finte...), di Bono degli U2.
I Tre Tenori: Luciano Pavarotti vs Josè Carreras vs Placido Domingo
In un racconto che scorre fluido e piacevole ci sono alcuni momenti che ci hanno colpito. Il primo è una registrazione del concerto dei Tre Tenori alle Terme di Caracalla, il loro primo insieme, nel 1990: ascoltiamo 'O Sole Mio e la versione in trio di Nessundorma (quella cantata dal solo Pavarotti chiuderà il film). È fantastico vedere gli sguardi, i sorrisi, gli scambi di occhiate fra loro: la loro è una rivalità, seppur cordiale e affettuosa, e a ogni passaggio vocale ognuno è stimolato a fare meglio dell'altro, a tenere la nota più a lungo, a cercare l'applauso. L'anima di un artista è fatta anche di sana ambizione e competizione, e la scena in questione la racconta benissimo, riuscendo anche a divertire.
Pavarotti, Bono e Miss Sarajevo
L'altra scena è un momento topico nella carriera di Pavarotti, che probabilmente chi seguiva la musica rock negli anni Novanta ricorda bene: è Il Pavarotti International del 195, quello dedicato alla Bosnia, in cui Pavarotti si esibì insieme a Bono e The Edge degli U2in Miss Sarajevo, una canzone scritta dalla rockstar appositamente per lui. Fu un momento in cui le barriere vennero abbattute, e la musica lirica entrò nella musica rock e pop, e viceversa.
Dal film capiamo che fu Nicoletta Mantovani che, per far ancora più grande quel concerto di beneficenza che esisteva da qualche anno, decise di chiamare la band che in quel momento amava di più: gli U2. E un divertito e commosso Bono racconta la vera e propria operazione di stalking che Pavarotti mise in atto, prima chiamando due volte al giorno la casa del frontman degli U2 - e parlando con la domestica Teresa, che era italiana - per chiedergli di scrivere quella canzone per lui. Bono non ne aveva idea. "È vicina la Pasqua, Dio lo ispirerà", disse Luciano. E un giorno Bono si svegliò con una melodia. Per scrivere la parte di Pavarotti, immaginò suo padre, un amante della lirica, che cantava sotto la doccia. Ma Pavarotti si presentò a Dublino, con le telecamere (il giornalista era Red Ronnie), per strappargli la promessa di venire a cantare a Modena. Bono, un po' divertito un po' sorpreso, su una cosa su cui, per una volta, non aveva avuto il controllo, non poté che dire sì.
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La grande bellezza di Luciano Pavarotti
Dal film di Ron Howard esce fuori completamente la grandezza di Luciano Pavarotti. Per chi è cresciuto in Italia e ha una quarantina d'anni, Pavarotti c'è sempre stato, ed era italiano. Forse lo abbiamo dato un po' per scontato, forse snobbavamo la lirica. Ma quello che ha realizzato a livello internazionale è qualcosa di unico. È stato il primo cantante lirico a diventare una rockstar. Dal punto di vista umano, è un eterno bambino, entusiasta e un po' capriccioso, un uomo buono, un marito non proprio fedele. Rivedere oggi lo scandalo della relazione con la Mantovani, il divorzio, l'opinione delle persone in Italia, fa una certa sensazione. "Come verrai ricordato come uomo?" È il momento di rispondere alla domanda "Vorrei essere ricordato come un buon marito" risponde Pavarotti. "Forse avrei voluto essere un padre migliore per le mie figlie".
Conclusioni
Nella recensione di Pavarotti vi raccontiamo il film di Ron Howard, che alterna la vita professionale di Luciano Pavarotti a quella personale, che è altrettanto interessante, che è come un'opera lirica. Pavarotti è un classico documentario. Ma classico non vuol dire banale.
Perché ci piace
- Ron Howard è un regista di indubbio talento nel raccontare le storie.
- Il regista costruisce la storia secondo il copione ormai classico dei biopic musicali.
- Howard è bravo a montare le interviste sulle immagini più adatte al racconto cronologico e a unire musica e immagini a seconda dell'emozione che vuole dare.
Cosa non va
- Il racconto, pur presentando Pavarotti con tante sfaccettature, è pur sempre agiografico.
- A chi non ama la lirica, forse, potrebbe interessare poco.