Ron Howard: “Pavarotti, la sua vita è stata come un’opera lirica”

Ron Howard ha presentato Pavarotti, il film documentario sul tenore: uscirà nelle sale il 28, 29 e 30 ottobre distribuito da Nexo Digital.

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Pavarotti: una scena del documentario

La vita come l'opera. Ron Howard, il regista di Pavarotti, film documentario sulla vita del tenore più famoso del mondo, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita evento nelle sale il 28, 29 e 30 ottobre distribuito da Nexo Digital, ha capito che la chiave per raccontare Luciano Pavarotti era questa. La vita personale di Pavarotti rispecchia quella di un personaggio di un'opera lirica. Anche Bono, il leader degli U2 che compare nel film, ha spiegato che, per cantare in un certo modo alcune cose, devi averle vissute. Ron Howard arriva al documentario su Pavarotti dopo quello su un altro grande nome della musica, i Beatles, che ha raccontato in The Beatles: Eight Days A Week.

"Ho avuto una grande esperienza creativa lavorando al film sui Beatles" racconta Ron Howard. "Ero un fan dei Beatles ma non ero a conoscenza di tutti i particolari. Il produttore Nigel Sinclair mi ha proposto Luciano Pavarotti, è un nome che conoscono in tutto il mondo, ma non tutti conoscono la sua musica e la sua vita. Così ho cominciato a leggere, a capire la sua vita. Ho conosciuto tanti aspetti straordinari con cui rapportarmi. Ho capito che la sua vita aveva qualcosa di analogo all'opera lirica e poteva essere compresa attraverso delle arie, eseguite in un momento della sua vita in cui c'erano delle analogie. Da regista riuscivo a capire che c'erano dei momenti in cui cantava ma non era solo un'esibizione. C'era una connessione, come un grande attore che ha un rapporto con una delle scene". Un esempio di questa idea è l'aria Ridi pagliaccio, ripresa in un periodo in cui Pavarotti non voleva più cantare, e doveva esibirsi mettendo sul volto una maschera di allegria e piacere che non aveva.

La famiglia Pavarotti

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Pavarotti: Luciano Pavarotti in una scena del documentario

Per costruire il film Ron Howard e il suo team hanno intervistato 53 persone, tra cui i membri della sua famiglia. "Dopo alcuni incontri abbiamo capito che i familiari erano disponibili non solo a collaborare, ma ad essere intervistati" svela il regista. "Prima c'era una certa riluttanza, ora erano disposti a fidarsi. Hanno contribuito al film in maniera straordinaria: ci hanno dato del materiale inedito, video privati mai visti prima. Dove Pavarotti è molto onesto". Howard si è ritrovato ad esaminare una mole enorme di materiale, insieme a un gruppo di montatori, in un processo che è durato un anno.

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Pavarotti: un primo piano di Luciano Pavarotti

E qui è cominciata ad affiorare l'idea. "Ho cominciato ad analizzare queste arie" ricorda Howard. "Riuscivo a rapportarmi con lui; non siamo simili, il suo è un modo di vivere molto diverso rispetto al mio. Quando ho cominciato a capire l'opera, la forza delle storie che raccontava attraverso la musica, ho capito che le arie potevano raccontare la sua storia. Nelle interviste e nei materiali d'archivio ci interessavano quei momenti che ci permettevano di vedere un genio senza pari e allo stesso tempo una persona unica, indimenticabile. Quello che ci ha colpito è la storia della famiglia, le interviste dei familiari sono state molto coraggiose".

Pavarotti's way of life

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Pavarotti: un'immagine del documentario

Ma cos'è che ha affascinato tanto Ron Howard del modo di vivere di Luciano Pavarotti? "Era stato influenzato dal fatto che da bambino era quasi morto e per questo ha deciso di vivere la vita, e tutte le opportunità che, se le cose fossero andate in un altro modo, non avrebbe potuto vivere" racconta Howard. "Mi piace la sua gioia, il modo in cui abbracciava la vita, ma anche il rimpianto che troviamo nei suoi occhi. Ha vissuto una vita avventurosa, completa. E tutto questo è arrivato anche a noi". Dal film una cosa che ci arriva forte è quel suo sorriso così particolare. "Aveva un sorriso da persona carismatica" riflette Howard. "Non solo era un genio, ma anche uno straordinario ambasciatore per l'opera: uno dei suoi progetti era portare l'opera alle masse, andando in luoghi mai visitati prima dagli altri, lavorando con le popstar. Mi auguro che il nostro film possa portare giustizia a questa missione". C'è un momento, in Pavarotti, in cui viene chiesto al tenore se, nel momento in cui sa che dovrà arrivare a una certa nota, sia sempre sicuro di farcela. "No" è la sua risposta. Non andava sul palco mai sicuro di farcela. "Ammiro una rara qualità in lui, un'umiltà onesta e perdurante" racconta Howard. "Non che non avesse fiducia nelle sue capacità, ma era sempre legato alle sue radici, era grato per quello che aveva raggiunto, riconosceva che era un dono di Dio".

Pavarotti, Bono e le popstar

Quella missione di portare la lirica alle masse è partita prima con la strategia dei suoi manager, che hanno portato Pavarotti nell'America rurale, dove non c'erano teatri dell'opera, e poi nei teatri dei casinò di Atlantic City, e infine negli stadi. Ma ha trovato il culmine negli anni Novanta, con il Pavarotti International e i suoi duetti con le rockstar. Una di queste è Bono, che ha scritto Miss Sarajevo e duettato con lui, e occupa una parte importante del film. "Nicoletta Mantovani stoicamente lo ha inseguito per quasi un anno" racconta il produttore Nigel Sinclair. "Abbiamo provato a farlo partecipare al film sui Beatles, ma non siamo riusciti a parlare con lui. In questo caso era in tour. C'è voluto un po' per scaldarsi. E poi gli occhi si sono illuminati. Nella parte del film in cui parla di come Pavarotti invecchia e la sua voce matura, è come se Bono parlasse un po' di se stesso".

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Pavarotti: una sequenza del documentario

"Avere quel materiale in cui Luciano appare a Dublino con una telecamera (per strappare a Bono la promessa di venire a cantare a Modena, ndr), dice molto di Bono e anche di Pavarotti, quella sfacciataggine che fa sì che le cose possano accadere è prova di coraggio". A proposito di Bono e gli altri, la svolta pop di Pavarotti non è stata capita da tutti. Il film racconta anche questo. "I critici si lamentavano di lui e non capivano" racconta Howard. "Collaborava con delle popstar. E i critici, figure sulle quali contava, il mondo della musica classica dovevano dargli sostegno. A loro non piaceva, eppure lui ha continuato. Questo gli ha causato molto dolore, non riusciva a scrollarselo di dosso. Eppure pensava che fosse la cosa giusta. La beneficenza era quello che voleva fare nella sua vita e lo ha fatto".