Paura e delirio nell'ostello delle torture
Il peccato originale che ha dato il via al progetto Hostel, ovvero il nuovo horror più spaventoso di tutti i tempi, le epoche, le possibilità umane e bla bla bla, perfino più pauroso dei piani quinquennali di Stalin e della soluzione finale di Hitler, sembra portarci - in quanto a modalità creative-produttive - indietro nel tempo, in pieno regno exploitation. Anche se fuori tempo massimo, forse. Roth e il webmaster Knowles (ma una volta non erano i produttori a partorire le idee più morbose ed amorali?) si incontrano e dibattono su una questione: cosa c'è di più cruento e malato sulla rete? Risposta: un'organizzazione thailandese che fornisce a clienti, disposti a spendere qualche migliaio di dollari, la possibilità di torturare e uccidere esseri umani, nelle modalità che preferiscono. Vera o falsa tale possibilità (purtroppo mi orienterei più sulla veridicità) la pratica dello snuff continua a rimanere terreno di notevole interesse esplorativo per il cinema, ed ecco che grazie all'interesse di Quentin Tarantino il regista Eli Roth ha potuto mettere in piedi un gruppetto di attori e tecnici che con meno di cinque milioni di dollari sono riusciti a raccontare tali macabre vicende, ambientandole con un po' di cattivo gusto culturale, ma con scaltro spirito imprenditoriale, in quel di Bratislava.
Chiariamo subito alcuni punti fondamentali: Hostel è un discreto film che non sfrutta a pieno alcune possibilità e ne valorizza altre, ma non è né un film dalla violenza e dalla morbosità insostenibile - come solo chi non ha mai masticato o digerito il vero horror estremo può sostenere - né è un film politico e di denuncia. Approfondiamo un momento la seconda questione. Se l'horror, o almeno certo horror, è un genere da sempre carico di testi e sottotesti eversivi e metafore fortemente politiche, prima di connotare ansiosamente come cinema di denuncia qualsiasi pellicola centrata su temi forti (lo sfruttamento opulento che i non-luoghi giuridici ed economici permettono, per le più malsane barbarie di cui l'uomo può macchiarsi, lo è eccome un tema forte e politico) bisognerebbe accertarsi che ci sia questa volontà e questa esigenza da parte di chi sviluppa una riflessione. Una coscienza del problema che vada oltre la curiosità o anche l'indignazione, in altre parole. Altrimenti, siamo dalle parti del tipico abuso interpretativo, meccanismo spesso usato per legittimare il contenuto di un opera forzandoci un significato, come se altrimenti debba essere considerata inutile, triviale, perfino amorale. Non è così. Hostel ha ragione di esistere dentro, fuori e sopra queste argomentazioni.
Il film di Roth è in realtà un atipico teen movie molto sanguinolento, più che un film sulla responsabilità del vedere e sulle zone liminali del nostro inconscio. Non è Videodrome, insomma, ma un onesto racconto del perverso che utilizza con intelligenza la cornice del film collegiale sui soliti studenti americani sex-addicted e alla ricerca del paradiso sessuale, della vacanza dove le ragazze sono tutte superfiche e superdisponibili.
Il giovane regista americano gioca con piacere con lo spettatore e dopo un incipit piuttosto esplicito, rallenta e smorza i toni e come nel precedente Cabin Fever dilata l'attesa attraverso il racconto dei tre ragazzi in visita non propriamente culturale ad Amsterdam. Venuti a conoscenza della facilità di rimorchio in un ostello slovacco, cambieranno immediatamente il loro programma per catapultarsi nel presunto regno del sesso.
Fino alla prima truculenta tortura, Hostel segue un percorso non sempre convincente, anche se come accennato Roth è bravo a centellinare e suggerire quello che dovrà accadere. Feste, sbronze, ammucchiate e un abbozzo di psicologia dei personaggi prima di giocarsi tutte le sue carte nella seconda parte della pellicola dove, al primordiale intrattenimento centrato sulle curve suadenti delle ragazze dell'est, va sostituendosi la tanto attesa escalation di sadismo e granguignol, in realtà più evocata attraverso la macabra oggettistica ed il nauseabondo magazzino del terrore, che mostrata realmente.
Sangue e frattaglie comunque non mancano, ci si intenda, e c'è anche molto lavoro per i sempre presenti effettisti Greg Nicotero e Howard Berger. In questo senso Hostel è realmente un horror adulto che ha il coraggio di non piacere a qualsiasi tipo di pubblico, come la più classica storia di paura americana contemporanea. Non è un Fulci però, questo è giusto, sia chiaro. Non lo è perché lontano da quel tipo di inventiva registica, e non ci si avvicina nemmeno per estremismo rappresentativo. Ad ogni modo, il suo compito lo svolge senza particolari pecche ed azzecca anche un dialogo molto efficace quando il terrorizzato fuggitivo incontra uno degli americani intenti alla tortura e lo scambia per uno dei maniaci che popolano le sporche mura dell'edificio infernale. Peccato però che un finale di fuga e vendetta affrettato e con poco mordente finisca per stonare con quanto accade nelle sequenze che lo precedono.