Recensione Nessuna qualità agli eroi (2007)

Siamo certi che Franchi realizzerà film migliori, ma per il momento ci basta questo per riconfermargli tutta la nostra ammirazione, per il coraggio e il tentativo di allargare i nostri orizzonti.

Padri sbagliati ed angeli neri

E' nero il primo film italiano in concorso a Venezia 64, ma immerso per lo più in un bianco gelido che cancella i contorni di spazi impossibili da riempire. Nel film di Paolo Franchi, al secondo lungometraggio dopo il pregevole debutto qualche anno fa con La spettatrice, i figli ammazzano i propri padri o cercano di dimenticarli bruciandone l'ingombrante eredità. L'ombra degli uomini vissuti in un delirio d'egoismo castratore, che ha allontanato occhi e orecchie dalla propria progenie, oscura vite inevitabilmente stravolte dalle colpe imperdonabili di chi le ha generate e poi dimenticate. Il confronto tra i sopravvissuti risente quindi degli errori delle generazioni passate che hanno deformato equilibri psichici e condizionato per sempre il corso di altre vite. Franchi, studioso di critica psicanalitica dell'arte contemporanea, fa confluire nella sua opera seconda, scritta anche questa insieme a Daniela Ceselli, tutta la sua passione per la psicanalisi, cercando di destreggiarsi tra i tortuosi strati della psiche umana. Progetto ambizioso, risultato più che soddisfacente.

In Nessuna qualità agli eroi Bruno (Bruno Todeschini) è un assicuratore francese trasferitosi a Torino la cui vita sta per essere strozzata da un grosso debito contratto con un direttore di banca-usuraio, che non intende più concedergli altro tempo per saldarlo, e da quella che può essere considerata la più tragica delle consapevolezze per un uomo: la sterilità, l'impossibilità di far nascere la vita dal proprio corpo. Accanto a lui una donna (Irène Jacob) premurosa ed innamorata, ma straniera in terra ostile, incapace di adattarsi all'infida gens italica con la quale si scontra. A vegliare su quest'uomo senza qualità appare un giorno un angelo col corpo scheletrico di un ragazzo (Elio Germano) dagli occhi spalancati e le ali nascoste: il suo salvatore o il suo carnefice? L'uomo vedrà l'angelo insinuarsi giorno dopo giorno nella sua vita, conducendolo ad un importante confronto con sé stesso e con lo spettro del proprio padre, artista defunto la cui ombra ancora si estende pericolosamente su di lui, ma sarà anche il ragazzo stesso ad affrontare i suoi problemi ed un genitore infame una volta per tutte, per porre fine alle proprie pene.

C'è voglia di uscire fuori dalle solite soluzioni narrative, dalle ammuffite cronache delle insoddisfazioni dei trentenni italiani di cui è pieno il nostro cinema. Qui c'è un'idea e il tentativo di dare uno spessore reale ai personaggi. Convince ancora Elio Germano, che si conferma così uno dei migliori talenti del nostro cinema, un attore in grado di recitare con l'interezza del proprio corpo, ponendolo a completo servizio del proprio personaggio. Qui interpreta un ragazzo mentalmente disturbato che cova dentro una rabbia prossima all'odio per un padre che passa la propria vita a rovinare quella degli altri, disinteressandosi totalmente dell'esistenza infelice di suo figlio, preda di un continuo tormento interiore. Bastano un paio di scene per fugare ogni dubbio sulle capacità dell'attore romano: quella tragica del bagno in cui cerca di provocarsi il vomito per liberarsi del suo dolore e del senso di colpa e il lungo primo piano sulla sua confessione rigata dal pianto, entrambe stupefacenti.

Il film di Franchi soffre certamente di qualche presunzione filosofica di troppo e pecca di una serie di piccole ingenuità (personaggi che parlano solo al ralenti, coincidenze eccessive seppur puntualmente giustificate, un mondo esterno totalmente inesistente) ma recentemente in Italia non si sono visti noir migliori o con una simile ricerca estetica. Il gusto visivo di Franchi conferma le ottime premesse de La spettatrice e va sempre più affinandosi verso una capacità di indagare l'animo umano davvero entusiasmante. Ottimo il lavoro nel reparto fotografia, con una prima parte caratterizzata da un bianco acceso, a scontornare i limiti di spazi che non sanno più contenere una mente progressivamente fuori controllo, ed una seconda immersa nella penombra, nell'oscurità, fondo di un'esistenza ormai compromessa. Infine, una particolare nota di merito anche all'attento lavoro sul suono e sulle musiche, caratterizzate dalle inquietudini di una ruvida chitarra elettrica. Siamo certi che Franchi realizzerà film migliori, ma per il momento ci basta questo per riconfermargli tutta la nostra ammirazione, per il coraggio e il tentativo di allargare i nostri orizzonti.