Due fra i più grandi interpreti della propria generazione che tornano finalmente in gara agli Oscar dopo oltre vent'anni di attesa; una giovane superstar all'apice della propria carriera; un brillante talento alla sua seconda candidatura consecutiva; e un volto-simbolo del Marvel Cinematic Universe che ha dimostrato la propria versatilità in film di tutt'altro genere. Sono i cinque candidati all'Oscar come miglior attore del 2024: una cinquina che ha rispettato appieno i nostri pronostici della vigilia, e dalla quale (come previsto) è rimasto escluso l'apprezzatissimo Daniel Craig di Queer. Di seguito andiamo ad analizzare nel dettaglio, in ordine alfabetico, le interpretazioni che quest'anno si contenderanno l'Academy Award per la miglior performance maschile.
Adrien Brody in The Brutalist: un protagonista fra genialità e tormento

Nel 2003, alla soglia dei trent'anni, è diventato il più giovane vincitore di sempre dell'Oscar come miglior attore per la sua struggente performance ne Il pianista di Roman Polanski. Oggi, a cinquantun anni, il newyorkese Adrien Brody fa il suo ritorno nell'agone dell'Academy grazie al ruolo di László Tóth, un altro personaggio costretto a fare i conti con l'atrocità dell'Olocausto: se però Il pianista ci immergeva nell'orrore delle persecuzioni naziste nella Polonia sotto l'occupazione tedesca, in The Brutalist la prospettiva è quella di un sopravvissuto impegnato a lasciare la tragedia dietro di sé. László Tóth è infatti un ebreo ungherese che subito dopo la fine del conflitto si trasferisce negli Stati Uniti, riuscendo a farsi strada grazie alle proprie doti in qualità di architetto.

Adrien Brody sorregge sulle fragili spalle del suo personaggio, con quel volto spigoloso e scavato, quasi tutto il peso di The Brutalist, uno tra i film più acclamati degli ultimi anni e in lizza agli Oscar con ben dieci nomination. La straordinaria forza della sua prova, già ricompensata con il Golden Globe come miglior attore, risiede innanzitutto nella sommessa sofferenza che affiora in silenzio dallo sguardo di László, accompagnata però da una scintilla di ambizione e da una sotterranea ma solida consapevolezza: le contraddizioni di questo personaggio costituiscono il cuore pulsante del dramma firmato da Brady Corbet, e Adrien Brody le incarna con un'intensità formidabile.
Timothée Chalamet in A Complete Unknown: ritratto del giovane Bob Dylan

Sette anni fa aveva incantato il pubblico nella parte di Elio Perlman, il ragazzo che sperimentava una trascinante educazione sentimentale in Chiamami col tuo nome: grazie al film di Luca Guadagnino Timothée Chalamet, nato a New York ma di origini francesi dal ramo paterno, si era guadagnato la nomination all'Oscar come miglior attore, diventando il terzo candidato più giovane nella storia di questa categoria. Adesso, a ventinove anni da poco compiuti, Chalamet torna in competizione agli Oscar prestando volto e voce a una delle massime icone del ventesimo secolo, Bob Dylan, nel biopic musicale A Complete Unknown, per la regia di James Mangold.

Considerato a pieno diritto il più popolare divo under 30 nel panorama di Hollywood e reduce, nel 2024, anche dal grande successo di Dune - Parte due (altro titolo nominato all'Oscar come miglior film), Timothée Chalamet è perfetto nel rappresentare il carisma, l'ambiguità, ma anche quell'indefinibile amalgama fra candore e insofferenza da sempre alla radice del 'mistero' di Bob Dylan. In tal senso, A Complete Unknown segna la definitiva conferma di un talento di cui Chalamet non ha mancato di dare prova negli scorsi anni, e il suo ritratto del cantautore di Blowin' in the Wind e Like a Rolling Stone si attesta come la sua più bella prova d'attore dai tempi di Chiamami col tuo nome.
Colman Domingo in Sing Sing: il teatro ci salverà

Una lunga gavetta iniziata alla metà degli anni Novanta, uno sterminato curriculum in campo teatrale e televisivo per approdare infine, nello scorso decennio, a ruoli di peso sempre maggiore per il cinema in diversi titoli di rilievo. Per Colman Domingo, cinquantacinque anni, nato a Philadelphia, la consacrazione da parte dell'Academy è arrivata esattamente un anno fa, con una prima candidatura all'Oscar per la parte di Bayard Rustin, attivista politico per i diritti degli afroamericani, nel biopic Rustin, distribuito da Netflix. Ad appena un anno di distanza, Domingo torna in corsa agli Oscar con Sing Sing, dramma carcerario realizzato da Greg Kwedar.

A dispetto della limitata visibilità del film (una produzione indipendente), ancora inedito in Italia, Colman Domingo si è attestato da subito fra i contendenti dell'awards season in virtù dello spessore drammatico della sua interpretazione: l'attore veste i panni di John Whitfield, soprannominato Divine G, recluso nel carcere di massima sicurezza di Sing Sing, a New York, dove si impegna nel programma di riabilitazione dei detenuti attraverso il teatro. Un personaggio in bilico tra frustrazione, speranza e sofferenza, disegnato da Domingo con una prova magnificamente calibrata fra un serrato autocontrollo e la necessità di dar sfogo alle proprie emozioni.
Ralph Fiennes in Conclave: il grande ritorno di un veterano

A sessantadue anni, forte di una carriera che l'ha reso uno dei più stimati attori britannici dei nostri tempi, Ralph Fiennes si è aggiudicato finalmente la sua terza nomination all'Oscar, a ben ventotto anni di distanza da quella ricevuta per il kolossal Il paziente inglese di Anthony Minghella. Da allora, nella filmografia di Fiennes non sono mancate opere importanti e ottime interpretazioni, da Spider a Grand Budapest Hotel passando per lo spietato Lord Voldemort della saga di Harry Potter; ma l'occasione ideale per tornare a raccogliere i favori dell'Academy è stato il ruolo del Cardinale Thomas Lawrence in Conclave, thriller diretto da Edward Berger dal romanzo di Robert Harris.

Baricentro morale all'interno di una storia di complotti, rivalità e colpi bassi tutta ambientata nel corso di un'elezione pontificia, il Cardinale Lawrence di Ralph Fiennes è un protagonista ammantato di compostezza e di gravitas, ma di cui l'attore inglese ci suggerisce anche un substrato di dubbi e inquietudini, che in molti casi trapelano soltanto attraverso l'espressività del suo sguardo. Nel ricco cast di Conclave, la prova di Fiennes costituisce una masterclass di recitazione da annoverare fra le vette del suo repertorio.
Sebastian Stan in The Apprentice: dall'Universo Marvel all'impero di Trump

Chiudiamo infine la rosa dei candidati all'Oscar 2025 con un interprete rumeno arrivato al successo internazionale grazie ai blockbuster del Marvel Cinematic Universe, ma che si è dimostrato in grado di sostenere anche ruoli in film di genere assai diverso: dalla black comedy venata di dramma Tonya alla commedia dai toni pirandelliani A Different Man, che nell'ultimo anno gli ha permesso di vincere l'Orso d'Argento al Festival di Berlino e il Golden Globe. Invece rientra appieno nella tradizione dell'Academy, ovvero la tendenza a ricompensare i ritratti biografici, la parte che è valsa la prima nomination all'Oscar al quarantaduenne Sebastian Stan: quella del neo-rieletto Presidente americano Donald Trump all'epoca del suo ingresso nel mondo dell'imprenditoria.

Il film in questione, The Apprentice, diretto dal regista iraniano Ali Abbasi e approdato al Festival di Cannes tra difficoltà distributive e tentativi di boicottaggio, racconta l'ascesa di Trump nell'alta finanza americana grazie alle risorse economiche della propria famiglia e all'appoggio dello spregiudicato avvocato Roy Cohn (Jeremy Strong, candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista). Al di là dell'aderenza mimetica a un personaggio decisamente controverso e oggi più che mai al centro dell'attenzione, Sebastian Stan si mantiene in efficace equilibrio fra gli aspetti contraddittori del protagonista e la sua crescente sgradevolezza; e questa nomination segna il coronamento di un'annata da incorniciare per un interprete che si sta rivelando sempre più bravo.