Piper Chapman esiste davvero. Anche se in realtà il suo cognome è Kerman. Orange Is the New Black: My Year in a Women's Prison è il memoriale, pubblicato nel 2010, in cui Piper ha raccontato una singolare esperienza: l'anno che ha trascorso dietro le sbarre in un istituto di minima sicurezza a seguito di una condanna per riciclaggio di denaro e traffico di stupefacenti. Una storia di ordinario grigiore, quindi, in cui risplende la dignità di donne che sono persone prima che detenute. Una storia che ha ispirato la più originale, intelligente e frizzante comedy series degli ultimi anni, quella creata da Jenji Kohan per la piattaforma Netflix.
La spendida Orange Is the New Black, che costa al momento di due stagioni, ma la terza è in via di realizzazione, e che è in arrivo anche sui nostri schermi il prossimo 23 settembre, si svolge dunque nel penitenziario federale (fittizio) di Litchfield, nello stato di New York. Piper Chapman ha una laurea prestigiosa, un impiego stimolante, amici e familiari affezionati, un fidanzato devoto e un matrimonio da organizzare quando è costretta a consegnarsi alla giustizia per la scellerata consegna di una valigia piena di soldi ricavati dallo smercio di droga ben dieci anni prima, quando, ventenne, era coinvolta sentimentalmente con una bella narcotrafficante. Quest'ultima, Alex - che è anche la persona che ha fatto il suo nome al procuratore - dovrà scontare una condanna ben più sostanziosa nello stesso istituto.
Piper dagli occhi blu
Dalle premesse, dovrebbe essere evidente che il nucleo narrativo iniziale di Orange is the New Black è nel contrasto tra questa giovane donna raffinata della upper middle class con un contesto in cui si trova precipitata ex abrupto e a cui, va da sé, fatica a prendere le misure. Perché d'un tratto non può più contare sulla privacy e sui comfort che aveva sempre dato per scontati, e le sue "coinquiline" - per lo più ispaniche, di colore, o tossiche white trash - non sembrano affatto inclini a simpatizzare con la nuova arrivata. Ma c'è di peggio. Perché il carcere ha le sue politiche interne, le sue gerarchie, e le sue strategie di ritorsione. Un commento fuori luogo, e Piper, pure tenuta in particolare riguardo dal personale del carcere, si ritrova a fare letteralmente la fame.
Recentemente la showrunner Jenji Kohan ha rivelato che tra le attrici considerate per il ruolo di Piper c'era Katie Holmes, che declinò perché troppo impegnata. Per quanto la ex signora Cruise sia deliziosa, al momento immaginare altri che l'ottima Taylor Schilling, con il suo volto pallido e spaesato, la calma intelligenza del suo sguardo, e la grinta che emerge con l'esasperazione, nei panni della nostra eroina è davvero difficile. Ma Orange Is the New Black non è soltanto Piper Chapman. Lo show si allontana ben presto dal punto di vista del memoriale, per esplorare le vicende e la personalità delle compagne di strada di Piper: così si trasforma in puro ensemble, con un tocco miracoloso nel delineare personaggi che bucano lo schermo, tutti gestiti a un livello di complessità e profondità sbalorditivo.
Remember all their faces
Parlare di tutti i personaggi memorabili di Orange is the New Black sarebbe un disservizio nei confronti dei nostri lettori - molto meglio scorprirli da soli. Inoltre, si farebbe prima a individuare quelli fiacchi, ossia pressoché nessuno. Sappiate una cosa però: gli uomini - dal fidanzato di Piper, interpretato da Jason Biggs, al consulente omofobo impersonato da Michael Harney, sono marginalizzati e non fanno mai una gran figura - al punto che qualcuno potrebbe considerarli una "minoranza oppressa" rispetto a quelle che lo show racconta con tanto impegno e ardore. Per quanto irresponsabile possa sembrare questa scelta, noi ne prendiamo atto e la perdoniamo senza ulteriori indugi: l'idea alla base dello show è quella di dar voce alle storie che animano un carcere femminile, storie forse sfiorate ma mai davvero raccontate dalla TV prima d'ora, e, nella situazione in cui si trovano Piper e le sue compagne di sventura, è più che naturale che i maschi - che le giudicano, le controllano e approfittano di loro - siano considerati una costante minaccia o per lo meno una seccatura. Su una nota meno seriosa, ai maschietti conviene prepararsi a tollerare anche scoperti riferimenti all'uso improprio di Tampax e affini.
Tra l'altro, una delle prigioniere più incantevoli del Penitenziario di Litchfield è donna solo da poco tempo: Sophia Burset (sì, avevamo detto che non avremmo parlato di altri personaggi in dettaglio, ma lasciateci fare un'eccezione per Sophia), infatti, è nata Marcus, ed è il papà del piccolo Michael. Nei flashback dedicati a Sophia, è il fratello gemello dell'attrice Laverne Cox - anch'essa transgender - a interpretare Marcus, per uno dei tanti colpi di genio del casting di Orange is the New Black, che sfodera fuor da ogni dubbio il miglior ensemble televisivo al femminile mai visto sul piccolo schermo.
Tante ragioni per un successo
Abbiamo detto della scrittura articolata e brillante, dell'impianto gioiosamente corale, del formidabile cast, ma ovviamente non sono tutte qui le ragioni per cui lo show Netflix ha ottenuto cotanto riscontro di critica e di pubblico. Originale nelle premesse, Orange Is the New Black profonde grande inventiva anche nello svolgimento: il background di gran parte dei personaggi viene esplorato grazie a flashback ed excursus fuori da Litchfield, ma i tempi e le modalità con cui questi segmenti sono inseriti sono imprevedibili, in maniera da mantenere sempre ariosa e fresca la narrazione e da fornire innumerevoli, divertenti e toccanti storyline alternative a quella che coinvolge la protagonista.
Divertenti e toccanti, perché, pur essendo etichettato per comodità come comedy, e pur essendo davvero spassosissimo, Orange Is the New Black ha più di un risvolto drammatico e meditativo, pur senza cercare il realismo duro e puro (non è Oz) e pure nei suoi momenti più grotteschi ed eccessivi - pensiamo ad esempio al folle, fragile, tenero personaggio di Suzanne/ Crazy Eyes (ecco, l'abbiamo fatto di nuovo) - ha una visione profondamente radicata nel reale e attinge a un oceano di situazioni e sentimenti variegati, complessi e incisivi. E come la sua sigla, accompagnata dall'ottimo brano scritto per lo show da Regina Spektor, You've Got Time, è ad un tempo sfacciato e lirico.
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E adesso, se siete ancora lì e non siete scappati per andare a puntare i dispositivi del caso su Mya per il prossimo 23 settembre, ci vediamo a Litchfield.
Conclusioni
Originale, spassosa, intelligente, emozionante, con il suo ampio e talentuoso cast e i suoi accenti multiformi Orange is The New Black è decisamente la migliore comedy degli ultimi anni, e non possiamo far altro che consigliarla caldamente.
Movieplayer.it
4.0/5