The animals, the animals. Trap, trap, trap 'til the cage is full. The cage is full. Stay awake. In the dark, count mistakes
Se non l'avete letta cantando, state mentendo. Si tratta del testo della sigla di apertura a cura di Regina Spektor scritta appositamente per Orange is the New Black, la serie che arrivò su Netflix 10 anni fa negli Stati Uniti (da noi sarebbe arrivata un anno dopo per la questione programmazione e diritti all'epoca di Infinity) tutta insieme. Una delle prime serie in assoluto a essere trasmessa puntando al cosiddetto binge watching, con la quale la piattaforma rossa voleva segnare un prima e un dopo la serialità televisiva.
Insieme ad House of Cards che rappresentava al meglio la categoria drama e il coinvolgere star del cinema sui servizi streaming, Orange is the New Black era la risposta comedy (dramedy per la precisione) della piattaforma ai suoi abbonati, che si stavano affacciando incuriositi e interessati a questo nuovo modo di fruire le serie televisive. Tutto partiva dal romanzo e storia vera di Piper Kerman, consulente nella scrittura dello show insieme alla creatrice Jenji Kohan di Weeds, ovvero del suo periodo di detenzione che le aprì letteralmente un mondo davanti. Come da titolo l'arancione delle divise era diventato "la nuova moda", il nuovo fenomeno che travalica Paesi, culture e tradizioni. Tanti sono stati i suoi meriti ma andiamo in questo speciale ad individuarne i principali, in occasione del decimo anniversario di debutto del serial.
A tutta LGBTQIA+
Prima di Pose e di tante altre serie importanti per la comunità LGBTQIA+ sui servizi streaming e canali via cavo, c'è stata Orange is the New Black. Si trattava della prima volta in cui un personaggio dichiaramente trans appariva come regolare in una serie. Stiamo parlando di Laverne Cox alias Sophia Burset, detenuta nel carcere femminile al centro della storia che doveva affrontare gli ormoni e la propria identità insieme a tutto il resto (candidata agli Emmy per il ruolo). Non è l'unico membro della comunità ad aver trovato una rappresentazione nello show, dato che alcuni personaggi erano lesbiche o comunque si ritrovavano a sperimentare, avendo bisogno di un conforto, di qualcuno che le facesse sentire meno sole e più amate. Un passo importante anche per sensibilizzare su determinati argomenti e unirli a quello carcerario, mai affrontato in questo modo prima in tv se non per non unirlo all'action o al mystery come ad esempio in Prison Break. A proposito di rappresentazione, lo show è stato importantissimo anche le comunità nere, latine, asiatiche: non mancava nulla nell'eterogeneità del serial, senza dover riempire una spunta per l'algoritmo, ma proprio in virtù di un realismo di fondo nel sovraffollamento delle carceri.
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Una storia di denuncia
Orange Is the New Black è stata la storia di Piper e degli altri personaggi - quasi tutti femminili, è bene notarlo rendendo ancora una volta lungimirante la dramedy. Tutti diversi e sfaccettati, tutti caratterizzati così bene, al punto da diventare quasi delle icone pop, di trasformarsi in cosplayer alle fiere e soprattutto di aver dato una precisa origin story e dignità ad ognuna di loro, raccontandola agli spettatori attraverso flashback ed episodi monografici (Lost ce lo portiamo sempre dietro, c'è poco da fare). Pur essendo sopra le righe nella caratterizzazione dei personaggi e nella narrazione degli eventi, proponeva un racconto fortemente realistico e di denuncia sulle condizioni del sistema carcerario statunitense, non solo per i detenuti ma anche per i secondini e chi vi lavorava.
Emblematico in questo senso fu l'episodio della quarta stagione (4x12) in cui morì Poussey, un vero e proprio giro di boa per lo show - che anticipava di molto la questione George Floyd e il movimento Black Lives Matter - che acuì l'elemento drammatico e soprattutto la riflessione amara su un sistema claudicante, marcio, corrotto e in cui i fondi istituzionali non finivano mai nelle tasche giuste. Ma anche una denuncia sull'impreparazione delle guardie e sulla loro giovanile ingenuità per il lavoro che si ritrovavano a fare. Una falla nel sistema sul voler davvero provare a reintegrare nella società le detenute soprattutto per reati minori, già da quando si trovavano tra quelle quattro mura. Un forte realismo dato anche, appunto, dalla sigla di apertura, i cui volti che non si vedono mai totalmente raffigurano vere detenute per farle sentire rappresentate e degne di essere viste, come chi sta là fuori.
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La parola d'ordine è qualità
Pur con qualche alto e basso, soprattutto nelle ultime stagioni che sentirono un po' la stanca nella longevità dello show, Orange Is the New Black rimane una delle punte di diamante di qualità di Netflix. Una qualità che, col tempo, la piattaforma sembra aver allontanato in favore della quantità e ora sta iniziando a pagarne il prezzo dovendo fare piazza pulita di molti show e dovendo costruire una nuova possibile linea editoriale. Ma dieci anni fa, appena arrivata come servizio streaming, il primo e l'unico al tempo e quello necessariamente sulla bocca di tutti, la piattaforma rossa faceva di House of Cards e Orange is the New Black il proprio vanto e il proprio biglietto da visita per arrivare anche ai premi - come Emmy e Golden Globe - dando dignità e merito alla serialità in streaming. Così come alle detenute protagoniste della dramedy. È come se OITNB (acronimo nato dal titolo) facesse parte a sua volta di un periodo nostalgico in cui tutto era ancora fresco, nuovo, possibile, prima di finire risucchiata nella bulimia dell'offerta contemporanea che per forza di cose inficia il valore medio dei prodotti offerti. Un periodo in cui vorremmo tornare, e possiamo farlo con un bel rewatch di tutta Orange is the New Black.