Oh, Canada – I tradimenti: come Paul Schrader ha elaborato l’America dell’ambiguità e dei rimorsi

Nella sua trasposizione del romanzo I tradimenti di Russell Banks, il regista mette in scena un'altra indagine morale di un personaggio in cui si riflettono le contraddizioni di un paese.

Oh, Canada: un'immagine di Jacob Elordi

22 dicembre 2023: una piccola troupe cinematografica fa il suo ingresso nella villa di Montreal di Leonard Fife, stimato filmmaker alla soglia degli ottant'anni, e comincia ad allestire nel suo salotto il set di un'intervista. Nel frattempo Leonard, assistito dalla moglie Emma, si accinge a lasciare il suo capezzale, nonostante il cancro da cui è affetto lo abbia ridotto allo stremo delle forze. L'incipit di Oh, Canada documenta appunto la preparazione per quest'ultima intervista: il taglio delle primissime scene è quanto mai oggettivo, improntato alla sobrietà e alla descrizione dei dettagli tecnici, quasi a voler riflettere i dettami del "cinema della realtà". Fin quando, finalmente, la macchina da presa non comincia a riprendere e le redini della narrazione passano a Leonard, inquadrato in primissimo piano con il volto di Richard Gere.

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Oh, Canada: un primo piano di Richard Gere

È il primo scarto di Oh, Canada: laddove inizia il "film nel film", ovvero il documentario celebrativo su Leonard Fife girato per la Canada Broadcasting Corporation da una coppia di suoi ex-allievi, Malcolm e Diana (Michael Imperioli e Victoria Hill), la presunta oggettività deve cedere il posto a una prospettiva giocoforza personale ed emotiva, mentre all'iperrealismo dei primi minuti viene a sostituirsi una netta libertà espressiva: il formato si allarga a un arioso widescreen, in contrapposizione alle inquadrature claustrofobiche della casa di Leonard, mentre alla fitta penombra del salotto si sostituiscono di volta in volta un soffuso bianco e nero o una morbida fotografia dai colori pastello, a seconda del portato 'sentimentale' di ogni singola scena.

Paul Schrader e il romanzo-testamento di Russell Banks

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Paul Schrader e Jacob Elordi sul set di Oh, Canada

Si tratta di uno dei paradossi alla base della nuova pellicola del veterano Paul Schrader, trasposizione de I tradimenti, il penultimo romanzo pubblicato da Russell Banks. Originario del Massachusetts e scomparso esattamente due anni fa, Banks ha visto la propria opera prestata al cinema in poche ma memorabili occasioni: nel 1997 con Il dolce domani di Atom Egoyan, tratto dall'omonimo capolavoro dello scrittore, e un anno più tardi con Affliction, diretto dallo stesso Paul Schrader e diventato uno dei suoi film più acclamati. A quasi tre decenni di distanza, l'autore di Taxi Driver e Toro Scatenato torna dunque a cimentarsi con la narrativa di Russell Banks (dedicatario del film), recuperandone uno dei temi portanti del proprio cinema: l'indagine morale di un personaggio in cui si rintracciano compromessi e rimorsi riferibili a una società, a un'epoca e, forse, a un paese intero.

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Oh, Canada: un'immagine di Richard Gere e Uma Thurman

Che Leonard sia refrattario a ogni ipotesi di agiografia appare evidente fin da subito: nella tagliente determinazione dell'uomo, nella severa intensità che trapela dagli sguardi e dalla voce di un esemplare Richard Gere, ma pure nella crescente inquietudine di sua moglie Emma, interpretata con pennellate di malcelato nervosismo da Uma Thurman: la principale destinataria di una confessione che la donna vorrebbe affrettarsi a interrompere e a delegittimare, intuendone la portata potenzialmente distruttiva. Perché Leonard, che ha improntato la propria carriera sulla strategia di far parlare a ruota libera i suoi interlocutori, sottraendosi alla loro vista, ora ha intenzione di rivolgere quel medesimo, dissacrante obiettivo su/contro se stesso, svelando i propri segreti alla consorte e ai posteri.

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Il doppio volto di Leonard

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Un'immagine del film Oh, Canada

Fin qui, Oh, Canada sembra confrontarsi con l'idea del cinema quale veicolo di smascheramento, mezzo terapeutico, strumento di dissezione e analisi della realtà. E in particolare una realtà, quella dell'America dell'ultimo mezzo secolo, di cui Paul Schrader è stato da sempre uno degli osservatori più lucidi e disincantati: dalle collaborazioni in qualità di sceneggiatore con Martin Scorsese alle prime prove dietro la macchina da presa (Tuta blu e Hardcore), dalle rivisitazioni del genere thriller e neo-noir (dal cult American Gigolò al più recente The Canyons) alla trilogia composta da First Reformed, Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere. Gli antieroi di Schrader si trovano quasi sempre alle prese con gli spettri della propria coscienza, ingabbiati in un malessere mutuato da ipocrisie e contraddizioni del sistema sociale di cui fanno parte.

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Oh, Canada: Jacob Elordi nel ruolo del giovane Leonard

Ipocrisie e contraddizioni che contraddistinguono anche la vicenda del giovane Leonard, rievocata nel corso di lunghi flashback attraverso la figura di Jacob Elordi: aitante venticinquenne che baratta le "belle speranze" di un'agiata esistenza borghese, garantita dalle fortunate attività imprenditoriali della famiglia della sua prima moglie, con una libertà rivissuta con un amalgama di sensi di colpa e di malinconico romanticismo (a cui corrispondono, in chiave musicale, le tenere ballate folk di Phosphorescent). Chi è davvero Leonard? È l'interrogativo rincorso da Oh, Canada, molto simile alle domande che si pongono su se stessi altri personaggi del cinema di Paul Schrader: è un uomo coraggioso che ha sfidato la sorte per cercare la propria strada o un opportunista che non ha esitato ad abbandonare, rinnegare o tradire le persone a lui più care?

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L'ambiguità del cinema e il mistero di un'esistenza

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Oh, Canada: un'immagine di Uma Thurman

È un'indagine, quella di Oh, Canada, in cui non è possibile mantenere il necessario distacco, a partire dal fatto che a ripercorrere le tappe della giovinezza di Leonard è il protagonista stesso. Che tale distanza finisca a tratti per annullarsi, a dispetto delle pretese di obiettività e rigore di un documentario, ce lo prova la 'coesistenza' di Jacob Elordi e di Richard Gere negli stessi flashback, o la sovrapposizione del viso di Uma Thurman su quello di Gloria, facendo coincidere le sembianze della moglie Emma con quelle di un'amante di oltre cinquant'anni prima. Se dunque l'ambiguità del linguaggio filmico è una cifra distintiva del racconto di Leonard, è anche un tratto endemico del suo personaggio, la radice di un mistero che Oh, Canada non riesce - o probabilmente non vuole - sciogliere del tutto.

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Jacob Elordi in un'immagine di Oh, Canada

È un'ambiguità che accompagna tutta la parabola di Leonard: le sue scelte sono il frutto di un salutare anticonformismo e delle istanze del Sessantotto, e prima ancora della Beat Generation (lui vorrebbe viaggiare per l'America sulle orme di Jack Kerouac), o banali atti di meschinità e di egoismo? Quando, alla visita di leva, il ragazzo mostra il sedere e si finge gay per evadere il servizio militare, quali sono le sue autentiche motivazioni? Il Leonard anziano di Richard Gere, giunto al termine della propria vita, esprime una condanna senza appello verso se stesso; in compenso, l'occhio di Paul Schrader pare invece abdicare alla pretesa di una sentenza. E nella dolcezza con cui accompagna il passaggio del giovane Leonard di Jacob Elordi alla frontiera del Canada ci suggerisce che, in fondo, la realtà è una questione troppo complessa per racchiuderla in un giudizio definitivo.