Abbiamo amato Normal People, la serie BBC arrivata il 16 luglio anche in Italia grazie a StarzPlay!. Ci sentiamo di ribadirlo anche qui, in apertura dell'intervista ai protagonisti Daisy Edgar Jones e Paul Mescal, oltre che al brillante regista Lenny Abrahamson, ma potete leggerlo a chiare lettere nella nostra recensione di Normal People pubblicata il giorno dell'uscita. Perché si tratta di una delle serie che più hanno segnato questa prima metà di 2020, una storia d'amore che è anche romanzo di formazione per entrambi i suoi protagonisti, Marianne e Connell, interpretata con trasporto, scritta con garbo e misura, diretta con attenzione e cura.
Un adattamento intimo e classico
Il romanzo è pieno di monologhi interiori. Come li avete affrontati e che soluzioni avete adottato per sostituirli nella serie?
Lenny Abrahamson: Gli scrittori hanno il vantaggio di poter descrivere quello che un personaggio sta pensando, ma noi abbiamo il vantaggio di avere dei volti reali da mostrare. E anche se non possiamo descrivere quello che qualcuno sta pensando, si può percepire il loro stato d'animo in modo molto profondo così come capita con le persone nella vita di tutti i giorni. È incredibile quanto siamo bravi noi esseri umani a interpretare le emozioni degli altri solo dal loro linguaggio del corpo e dalle loro espressioni, e insieme ad alcune accortezze nell'adattamento e nell'uso di alcuni di questi monologhi interni nei dialoghi, letti con attenzione, credo ci sia abbastanza. I film hanno un proprio linguaggio interno, si lavora con la camera, il passaggio del tempo e l'uso della musica per creare atmosfere. Dal mio punto di vista c'era abbastanza fiducia nel processo che uso quando faccio un film, nel messo espressivo e nella consapevolezza che con grandi attori e una grande scrittura puoi catturare quello che c'è dentro una persona. E spero che ci siamo riusciti.
Viviamo in un'epoca piena di tecnologia e approccio moderno alle storie, ma in questo caso noto un approccio molto classico al racconto. C'era la voglia di creare una storia d'amore senza tempo?
Lenny Abrahamson: Sì, penso che sia un buon modo per porre le questione. Quel che trovo interessante è che nel contesto attuale della televisione, sembra radicale ritornare a qualcosa di classico. Ci è sembrato interessante raccontare una storia di personaggi sui vent'anni evitando sensualità, glamour e cliché da teen drama, trattando il tema in modo molto tenero e naturalistico in modo che sembrasse qualcosa di nuovo. La speranza era che potesse sorprendere il pubblico e permettergli di guardare a questi personaggi al di fuori della versione contemporanea di questo tipo di storia. Molto classica nel profondo del cuore, anche se le riprese sono sporcate dalla camera a mano e da una certa ruvidità, dando una certa serietà a qualcosa che normalmente non viene trattato in questo modo.
Euphoria e le altre serie tv e film sui teenager che ci hanno sconvolto
Sono molto interessato all'aspetto musicale di Normal People. Come avete scelto le canzoni che completano la colonna sonora?
Lenny Abrahamson: Ho lavorato con il compositore con cui ho collaborato per tutti i film che ho fatto, Stephen Rennicks. Ha fatto Frank, Room e L'ospite, e anche in questo caso ha composto tutta la musica originale. Ma sapevamo che avremmo usato anche delle canzoni, alcune contemporanee o comunque brani già incisi, e queste sono arrivate da fonti diverse, da ottimi supervisori musicali, ma anche per esempio dal montatore con cui lavoro, Nathan Nugent, che come me è un grande appassionato di musica. Abbiamo spulciato le nostre collezioni e le canzoni sono arrivate da più parti: Nathan ha scelto Imogen Heap e io amo Elliott Smith. È da questo che viene Angeles, così come i tanti compositori contemporanei irlandesi che sono nella colonna sonora. Ci sembrava giusto usare quegli artisti perché erano parte del mondo di questi personaggi. È la prima volta che ho usato musica su licenza, non ho mai usato canzoni in altri film, ma è sembrato giusto farlo. Appropriato, in qualche modo, e penso che aggiunga qualcosa ai sentimenti dei personaggi.
Qual è stata la sfida più grande nel dirigere questa serie?
Lenny Abrahamson: Credo che la sfida sia sempre la stessa, ovvero cercare di trovare la miglior versione possibile della scena che stai realizzando e cercare di tenerla viva, senza farla diventare troppo raffinata. Quindi abbiamo cercato sempre di perfezionare, fino alla fine, anche nel giorno delle riprese di una singola scena, per cercare di ottenere una versione ancora migliore di quella che già avevamo. E queste idee potevano venire anche dal cast, da Paul e Daisy, da me o anche da Suzie, il nostro direttore della fotografia, tenendo il set il più creativo, vivo e aperto possibile, perché penso che sia il modo migliore per lavorare.
Trovare Marianne e Connell
Adattare un libro come quello di Sally Rooney, così brillante e di successo, è una grande responsabilità. Qual è la difficoltà maggiore?
Lenny Abrahamson: Sì, lo è, ma siamo stati fortunati in un aspetto: quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto il romanzo non era stato ancora pubblicato. E quindi non c'era lo stesso livello di attenzione, perché non era ancora diventato il fenomeno che è ora. La difficoltà è comunque la stessa, di trovare il modo di rendere giustizia al materiale, ma nel tuo linguaggio che non è lo stesso, quindi capire cosa puoi mantenere e cosa devi cambiare. Ed è difficile. E l'altra grande difficoltà è di trovare attori che possano realmente interpretare quei ruoli in modo che risultino veri per il pubblico. Trovare Paul e Daisy è stata la difficoltà più grande, perché a dispetto di buona scrittura, della regia e degli altri aspetti, se non avessero funzionato loro non avremmo avuto la serie e il pubblico non ci avrebbe mai perdonato se non gli avessimo dato i Marianne e Connell giusti.
Ci racconti qualcosa del processo di casting? Come avete ottenuto questa alchimia tra i personaggi?
Lenny Abrahamson: È stato un processo molto lungo, perché sapevano che tutto sarebbe dipeso da questo. Non sarebbe servito a nulla avere uno script ottimo senza gli attori giusti. Ci siamo dati un tempo molto lungo, di tre mesi, per trovarli e Paul è arrivato molto presto ed è stato scelto per primo. Era un giovane attore di teatro di Dublino che non aveva lavorato per lo schermo prima, ma il suo provino è stato favoloso, l'ho visto e non ho avuto dubbi che fosse quello giusto. Ma poi la parte difficile è stata trovare quell'alchimia con una partner, trovare qualcuno che potesse interpretare quel complesso personaggio che è Marianne e che avesse una intesa profonda con lui. Abbiamo cercato ovunque, dall'Inghilterra all'Australia e l'America, abbiamo visto migliaia di possibili Marianne. E poi è arrivata Daisy. Non so come sia possibile che ci fosse sfuggita la prima volta, ma ha fatto il provino in video ed era bellissima e delicata, profonda e naturale. Ho pregato che funzionasse! L'abbiamo fatta venire per incontrare Paul e abbiamo fatto un provino a loro due insieme. Li abbiamo provati in camera ed è stato immediatamente chiaro a tutti nella stanza che ci fosse la scintilla creativa tra loro, erano in sintonia perfetta. Le scene hanno preso vita. C'erano due o tre persone con me in quella stanza e tutti noi avevamo le lacrime agli occhi alla fine della prima scena. Mi è sembrato un ottimo segno.
Qual è stata la sfida più grande nel dirigere questa serie?
Lenny Abrahamson: Credo che la sfida sia sempre la stessa, ovvero cercare di trovare la miglior versione possibile della scena che stai realizzando e cercare di tenerla viva, senza farla diventare troppo raffinata. Quindi abbiamo cercato sempre di perfezionare, fino alla fine, anche nel giorno delle riprese di una singola scena, per cercare di ottenere una versione ancora migliore di quella che già avevamo. E queste idee potevano venire anche dal cast, da Paul e Daisy, da me o anche da Suzie, il nostro direttore della fotografia, tenendo il set il più creativo, vivo e aperto possibile, perché penso che sia il modo migliore per lavorare.
Non so se lo sapete, ma ci sono pagine instagram dedicate alla frangia di Marianne o la catenina di Connell. Vi sareste aspettati questo livello di attenzione?
Paul Mescal: No, credo che nessuno avrebbe potuto immaginare i fan della catenina!
E pensate che sia perché la serie dipinge così bene l'intimità tra due persone normali e i fan vorrebbero vederli insieme nel loro mondo fittizio?
Daisy Edgar-Jones: Credo che sia incredibile, veramente. Ed è bello sapere che ogni reparto che ha lavorato alla serie viene celebrata. Come Lorna Marie Mugan, la nostra costumista, che ha fatto un lavoro incredibile con gli abiti di Marianne e Connell, così come Sandra Kelly e Sharon Doyle che hanno curato le acconciature. Ecco, sono loro le responsabili della famosa frangia! E il loro lavoro viene riconosciuto e apprezzato. Ma è tutto così strano, perché vedo tutto questo sul mio telefono e mi sembra irreale, anche perché la quarantena non ha aiutato. È fantastico vedere la reazione della gente alla serie, come abbia commosso le persone allo stesso modo in cui io sono stata emozionata dal libro quando l'ho letto. Anche per questo sono sollevata che la reazione sia stata positiva.
C'è un'idea di intimità emotiva nella serie, come ci hai lavorato?
Lenny Abrahamson: Quello che ho pensato leggendo il romanzo è che ci sono due tipi di intimità. C'è l'intimità tra i due personaggi, che è incredibile perché è un dato di fatto. Quando li incontri, è subito chiaro che c'è una connessione tra loro prima che accada qualunque cosa. Ma c'è anche un altro tipo di intimità, che è quella tra il lettore e i protagonisti, perché leggendo ti senti molto vicino a loro. Sally Rooney riesce a farti entrare nei più piccoli gesti e nelle più piccole fluttuazioni dei sentimenti. Abbiamo dovuto tener presenti entrambi questi aspetti nel portare la storia su schermo e mi sono potuto avvalere del bellissimo lavoro alla fotografia di Suzie Lavelle. Abbiamo discusso molto di come avremmo dovuto filmare le scene e che tipo di primi piani avremmo dovuto usare, più stretto di un primo piano convenzionale. È stato difficile soprattutto per gli attori, perché significa che la camera deve essere fisicamente molto vicina a loro per tutto il tempo ed è difficile recitare con questa presenza costante. Ma dà allo spettatore la sensazione di essere nella mente dei personaggi e dà un'idea molto precisa di quello che stanno provando.
Cosa pensate che il pubblico possa imparare dal punto di vista dell'accettazione dei propri sentimenti?
Paul Mescal: Penso che quello che il pubblico possa capire dalla serie è che i sentimenti sono qualcosa di molto complesso e che possono causare grande sofferenza, ma anche grande gioia e felicità. Quello che Normal People racconta, secondo me, è come a volte questi sentimenti siano molto difficili da gestire. Facili da provare, ma difficili da esprimere. E penso che sia un qualcosa di vero della vita.
Daisy Edgar Jones: Penso che quello che la serie fa in modo brillante sia di mostrare cosa voglia dire essere una persona normale e nel farlo ci fa capire che nessuno di noi è normale, che tutti i sentimenti sono validi, che affrontiamo tanti alti e bassi nelle nostre vite e che va bene affrontare questo percorso con tutti noi stessi. Ci insegna che va bene se non viviamo sempre una vita perfetta.
Un possibile futuro
Senza anticipare la fine di Normal People, possiamo dire che non c'è una seconda parte, ma tutti si chiederanno cosa succederà dopo. Voi come immaginate la storia dopo il dodicesimo capitolo? Si incontreranno ancora? Si ritroveranno? Saranno più grandi? La vorreste una seconda parte della storia?
Daisy Edgar Jones: È così difficile perché non riesco a immaginarla senza la mente geniale di Sally Rooney. Ma devo anche dire che mi piace che sia così, che il finale sia così aperto, perché significa che non devo dire addio a Marianne e Connell. Sono ancora vivi da qualche parte e posso provare a immaginare le loro vite. Spero che Marianne si senta a proprio agio con se stessa, che senta di essere meritevole dell'amore che ha mentre cresce. E spero che lo stesso sia per Connell e che riesca a seguire il proprio lavoro. E che entrambi siano felici e che siano coinvolti nella vita dell'altro in qualche modo, che sia nel senso di una relazione o semplicemente come amici.
Paul Mescal: Mi capita spesso di pensare a ciò che potrebbe accadere a entrambi e credo che sia indicativo di personaggi veramente buoni e complessi, dei quali non riesci a inquadrare completamente l'identità. Ma per quanto riguarda il rapporto tra loro, mi piace pensare che possano essere un po' più di amici, mentre per quanto riguarda Paul spero che vada a New York, probabilmente passerebbe del tempo là e spero che alla fine troverà la sua via come scrittore. E spero che trovi anche Marianne sul cammino.
Lenny Abrahamson: Non credo che ci sarà una seconda stagione, non nell'immediato. Non ci sarà un prosieguo immediato della storia, ma penso che ci siano possibilità. Ci siamo detti che magari potrà essere bello sapere tra dieci anni che cosa è successo a tutti e due. Una cosa alla Prima del tramonto. Se sarò ancora in grado di camminare e voi ragazzi sarete d'accordo... Magari sarete troppo famosi, chiamerò i vostri agenti e mi diranno che siete troppo occupati!