In Narcos: Messico, Michael Peña interpreta Kiki Camarena, agente della DEA tristemente noto per la terribile fine occorsagli. Nel 1985 Camarena, impegnato a indagare sul cartello di Guadalajara, è stato torturato e ucciso dai narcos. La sua morte ha segnato un punto di svolta nella lotta degli Stati Uniti al narcotraffico e l'agente è diventato una martire della causa. Michael Peña, reduce dal Marvel Cinematic Universe, ammette di sentire una grande responsabilità nell'interpretare non solo una persona realmente vissuta, ma un vero e proprio simbolo: "Prepararsi per il ruolo di Kiki Camarena è stato difficile perché tutto ciò che ho letto è stato scritto dopo la sua morte. È tutto materiale di seconda mano. In America per la DEA, dopo la sua morte, sono cambiate molte cose".
Michael Peña ammette di aver fatto molte ricerche per calarsi nel mondo della lotta al narcotraffico degli anni '80 ricostruito nella serie Netflix - qui potete leggere la nostra recensione di Narcos: Messico - ma specifica che in un primo tempo in Messico "la presenza della DEA non era significante. Il Messico esportava soprattutto marijuana. Le cose sono cambiate con l'arrivo della cocaina. A quel punto gli spacciatori si sono organizzati in cartelli e la situazione si è fatta pericolosa, c'è stata una escalation di violenza che continua ancora oggi. Ma se la gente smettesse di consumare droga cesserebbe. Informarmi sull'epoca mi ha fatto scoprire cose che a pensarci sono assurde. Oggi non puoi nemmeno portare una bottiglia d'acqua sull'aereo, come facevano allora a imbarcare 30 kg di cocaina?".
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La guerra alla droga è una responsabilità collettiva
Michael Peña, insieme al collega Diego Luna, ha fatto tappa a Lucca Comics & Games, ospite dell'Area Movie, per promuovere l'arrivo di Narcos: Messico su Netflix. La quarta stagione della serie tv, in catalogo su Netflix da novembre 2018, si distingue dalle prime tre per il cambio di location - dalla Colombia al Messico - ma segna anche un nuovo punto di partenza nella storia. "Ho incontrato il regista Eric Newman anni fa" ci racconta Peña "e mi ha parlato di voler girare Narcos proprio in Messico. Sentiva la pressione addosso, voleva realizzare un prodotto nuovo. La nostra è a tutti gli effetti una nuova stagione, nuove location, nuovi personaggi, è stata un'avventura eccitante".
Da sempre cinema e tv usano la criminalità organizzata come materiale narrativo. Oggi l'attenzione è concentrata sul narcotraffico, tema caldo affrontato da molti film e serie in uscita. "Negli anni '50 e '60 invece era la mafia, cosa nostra" aggiunge Michael Peña, nato in america da genitori messicani, mettendoci in guardia sulle distorsioni della narrazione. "In molti mi chiedono se non sia rischioso girare in Messico. Abbiamo usato varie location e devo dire che siamo stati accolti con grande calore ovunque. Quando si parla di Messico negli Stati Uniti ci immaginiamo gente armata con mitra e invece sono persone umili, accoglienti, grandi lavoratori. Si fanno in quattro per i visitatori. È stato bello girare lì".
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Il crimine? La scorciatoia contro la povertà
Riflessivo, sensibile alle istanze sociali, il ruolo in Narcos: Messico ha spinto Michael Peña ad approfondire la situazione del paese d'origine dei suoi genitori. "L'America è stata fatta dagli immigrati. I veri americani erano i nativi" commenta laconicamente l'attore. "Eppure non molto tempo fa in Arizona o New Mexico hanno fatto delle leggi che rendono più ardua la ricerca di lavoro per gli immigrati, eppure ci sono lavori che gli americani non fanno. Come possiamo biasimare chi vive in povertà e cerca di migliorare la propria condizione?". Il discorso si estende al personaggio interpretato da Diego Luna, Felix Gallardo, vero poliziotto che a un certo punto passerà dall'altra parte della barricata. "La polizia in Messico non viene pagata molto. Combatti, rischi la vita e resti povero. È più facile violare la legge, visto che la lealtà non paga, il crimine sì. Con questo non voglio giustificare nessuno, ma il traffico di droga vede coinvolti tutti. La polizia, il governo, i politici, i consumatori. La responsabilità è di tutti".
Quando si tratta di riflettere sui messaggi contenuti nella serie Netflix, il tono di Michael Peña fa più frivolo: "Il 70% di quello che vedete in tv è vero, ma non vogliamo impartire nessuna lezione. Alla fine è una serie tv e vogliamo che il pubblico la guardi e trascorra del tempo piacevole". Parlando del suo metodo di recitazione, l'attore aggiunge: "Per Narcos ho guardato di tutto, ma ho cercato di non ispirarmi a nessuna performance specifica. Nei personaggi cerco di usare me stesso il più possibile, ma la mia vita è noiosa. Leggo, gioco a golf, a scacchi. Ma soprattutto faccio il padre. Mio figlio mi ha fatto ritrovare la magia del cinema, guardiamo le saghe insieme". Su Narcos: Messico, però, Peña ha messo il veto: "Mio figlio ha 10 anni, per ora non vedrà la serie. Mi farebbe troppe domande a cui non voglio ancora rispondere".