Mi dispiace, è che sono così eccitata di essere qui! Insomma, sono appena arrivata da Deep River, Ontario, e ora mi trovo in questo posto da favola! Ti lascio immaginare come mi sento...
Quando Betty Elms fa la sua prima comparsa in Mulholland Drive, subito dopo essere atterrata all'aeroporto di Los Angeles, sembra incarnare un ben preciso archetipo dell'immaginario americano: l'aspirante star in cerca di fortuna, giunta a Hollywood con il suo sorriso radioso e gli abiti dalle tinte pastello, convinta di realizzare i propri sogni e diventare una celebre attrice. L'entusiasmo di Betty, già evidente all'incontro con gli zii, si intensifica poi quando la ragazza mette piede nell'appartamento che occuperà per il suo soggiorno in California, in attesa di trovare un trampolino verso il successo. È un'euforia con una componente di artificiosità, decisamente stucchevole nel suo essere così smaccatamente ingenua; difficile dunque che gli spettatori, alla prima visione del film di David Lynch, non abbiano avvertito almeno una punta di cinismo nei confronti di una protagonista tanto naïve.
Bella in rosa: Betty a Hollywood
A prestare il volto a questa giovane donna biondissima, dai luminosi occhi celesti, la maglia rosa e la delicata perfezione di una Barbie, è l'allora trentaduenne Naomi Watts, nata in Inghilterra ma cresciuta in Australia dall'età di quattordici anni. Molto attiva al cinema e in TV fin dal 1991, ma senza riuscire a centrare un ruolo in grado di valorizzarla davvero, nel 1999 una Watts ancora pressoché sconosciuta viene notata da David Lynch: folgorato dalle sue potenzialità, il regista di The Elephant Man e Velluto blu la dirige nel pilot di una nuova serie che, tuttavia, sarà rifiutata dalla ABC. Un anno più tardi, in compenso, Lynch decide di rimettere mano al materiale già girato, riconvoca gli attori sul set e dà vita a Mulholland Drive. Il resto è storia: un'anteprima trionfale al Festival di Cannes 2001, dove Lynch si aggiudica il premio per la regia, lo statuto di cult immediato e una rapida consacrazione tra i migliori film del ventunesimo secolo.
Se l'incipit di Mulholland Drive è dominato dalla sedicente Rita (nome ripreso da un poster di Gilda) di Laura Elena Harring, bruna e sensuale "donna del mistero" coinvolta in un incidente stradale e vittima di amnesia, a Naomi Watts spetta il compito di impersonare una figura che, a prima vista, appare assai meno interessante. E nel presentarci la sua Betty, la Watts opta per una recitazione che non è pienamente naturalistica, ma al contempo si tiene lontana dalla stilizzazione e dalla parodia: una formula che ci permette di 'credere' almeno in parte a Betty Elms, ma ci induce pure a conservare una certa dose di scetticismo. D'altronde, Mulholland Drive si proponeva come l'opera indecifrabile per antonomasia (Inland Empire era ancora di là da venire), e Betty di conseguenza si mostra fin troppo candida ed eterea per persuaderci che, dietro i sorrisi e le frasi carezzevoli, non ci sia qualcos'altro da svelare.
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Destinazione Club Silencio
Nel dualismo alla radice del film (la bionda e la bruna, l'ingénue e la femme fatale), il contatto con Rita sembra risvegliare qualcosa in Betty, spingendola nell'indagine sull'identità della donna. La perdita dell'innocenza e il riconoscimento del proprio lato oscuro sono da sempre temi-cardine del cinema di David Lynch, e Betty, come prima di lei Jeffrey Beaumont e Laura Palmer, parrebbe seguire lo stesso percorso. Un percorso che, ovviamente, ha come tappa obbligata la scoperta dell'eros: l'attrazione fra Betty e Rita esplode di colpo, dando luogo a una delle scene di sesso più esplicite nella carriera di Lynch. E nel frattempo, la patina di leziosità che connotava Betty all'inizio del racconto viene grattata via passo dopo passo: il modello della starlette carica di belle speranze lascia il posto all'eroina di un noir, dal cui sguardo affiora un'inquietudine sempre più palpabile.
Due momenti, in particolare, fungono da spia di questa trasformazione. Il primo è il provino di Betty nell'ufficio di un produttore di Hollywood: in uno spazio angusto e a distanza ravvicinatissima da un attore che non nasconde atteggiamenti palesemente 'viscidi', la ragazza si produce in un'audizione sorprendente, conferendo a battute da melodramma un'intensità e una forza che frantumano in una manciata di secondi il nostro pregiudizio su Betty come una Barbie senza spessore. E poi, giunti a tre quarti del film, c'è l'ormai famosissima sosta al Club Silencio e l'esibizione in playback di Rebekah Del Rio sulla melodia di Llorando: in una scena che suggella lo spirito lynchiano all'ennesima potenza Betty, stretta accanto a Rita, si abbandona a un'ondata di commozione e, forse, di angoscia.
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Oltre la scatola blu: il ritratto di Diane
Ma subito dopo Llorando è tempo di aprire la piccola scatola blu e di tuffarci dentro un altro film... un film in cui conosceremo, letteralmente, un'altra donna. Questa donna è Diane Selwyn, il suo risveglio avviene nella stessa camera in cui Betty e Rita avevano appena rinvenuto un cadavere sfigurato, e a vestirne i panni è ancora Naomi Watts. Solo che Diane è agli antipodi rispetto all'immagine limpida e solare di Betty: somiglia piuttosto alla "bambola sfiorita" di Isabella Rossellini quando, nella penombra del suo appartamento, si sfilava l'abito e la parrucca per rivelare la disperata fragilità della sua Dorothy Vallens. Diane, ce ne rendiamo presto conto, cova una disperazione analoga: al centro di un viso rigido e scavato, i suoi occhi inseguono il fantasma di Rita (o piuttosto di Camilla Rhodes, la star del cinema con le sue medesime sembianze), attraversati da una bramosia feroce che sconfina in un'inesorabile sofferenza.
È una condizione che percepiamo nell'arco di pochi minuti, senza bisogno di chiarimenti: la storia di Diane, l'esatto opposto della 'fiaba' del suo alter ego Betty, la leggiamo direttamente sul volto di Naomi Watts. Ed è quel volto, animato da un'espressività straordinaria, a rapire tutta la nostra attenzione durante la cena a casa del regista Adam Kesher (Justin Theroux): mentre i commensali festeggiano il successo di Camilla, che da autentica diva irradia fascino tutt'attorno a sé, Diane è una maschera di frustrazione e di malessere, di orgoglio ferito e di rabbia impotente. In pochi secondi, lo sguardo di Naomi Watts ci trasmette tutto il dolore che scaturisce da un amore tradito, ma va perfino oltre: ci apre una finestra sull'abisso. E il risultato non è soltanto la scena più struggente di Mulholland Drive, ma la dimostrazione di un talento che nessuno avrebbe saputo mettere a frutto come accade in questo indimenticabile film.
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