La scena simbolo del nuovo Mission: Impossible - Dead Reckoning Parte Uno è quella del salto con la moto in parapendio. L'abbiamo vista durante le riprese, poi in un video promozionale backstage, ovviamente nei trailer e infine al cinema. La sequenza non ha sorprese nonostante l'incredibile stunt di Tom Cruise e il valore cinematico che rappresenta, ma è comunque emblematica in quanto parziale chiave di lettura del film.
In inglese quel "dead reckoning" è una vera e propria "resa dei conti", titolo che connota un'ideale conclusivo per il franchise nonostante le recenti dichiarazioni di Cruise, che ha ammesso di sperare di poter interpretare Ethan Hunt anche nei suoi 70 e 80 anni, citando in contesto l'Indiana Jones di Harrison Ford. Paragone calzante e ottimo per un'analisi approfondita di tematiche e concettualità dietro al settimo Mission: Impossible, che anziché parlare di tempo come nel film di James Mangold - pur trattandolo comunque - sembra volersi inerpicare in una riflessione meta-cinematografica sulla religiosità della saga e il cinema come vero e proprio atto di fede, sfruttando elementi trasformativi che spingono il cult(o) nell'era moderna con un occhio mai così fisso al passato. [ATTENZIONE, POSSIBILI SPOILER A SEGUIRE]
La Decisione
Mission: Impossible - Dead Reckoning Parte Uno sembra il titolo post-vetta del franchise, pronto a riscendere la montagna difficilmente ma ottimamente scalata in 27 anni di arrampicata cinematografica. Le idee che propongono questa volta Cruise e McQuarrie sono funzionali agli intenti dell'opera ma meno spettacolari, impressionanti, rinnovatorici o esaltanti rispetto a Rogue Nation e soprattutto a Fallout, vero e grande apice della serie con Ethan Hunt. Considerando l'incredibile portata del sesto capitolo della saga e le soluzioni visive adottate da un miracolato Christopher McQuarrie per la stragrande maggioranza delle sequenze d'azione del film (pure in chiave dialogica, negli scambi di battute tra i protagonisti), era onestamente difficile fare di meglio nonostante le candide intenzioni produttive dietro a questo settimo lungometraggio, quanto meno in termini d'ispirazione.
E infatti la scelta è stata quella di concepire una summa rimodernata dei vecchi sistemi action della saga, nascondendo questo scaltro escamotage dietro a un capitolo estremamente prolisso in senso narrativo e quasi interamente concepito e poi confezionato in virtù e difesa di un'ideale di cinema che sta ormai scomparendo. In questo senso, Dead Reckoning guarda indietro fino agli albori della gloria di Hunt per ricordare al grande pubblico da dove nasce (oltre all'omonima serie televisiva) il personaggio di Cruise e qual è sempre stato il suo genere primario d'appartenenza, quale il significato dietro all'Impossible Mission Force e ai suoi membri.
Si scava anzi a fondo nella natura profondamente complessa e per questo umana che spinge personaggi come Hunt a prendere la Decisione - con la D maiuscola - di scomparire dal sistema per operare al servizio di un bene superiore come dei veri e propri angeli custodi dell'umanità. In uguale misura, nella realtà sia Cruise che McQuarrie si fanno portavoce di un messaggio pro-settoriale senza discriminazione alcuna, motivando l'audience ad andare in sala per vedere tanto Mission Impossible quanto Barbie od Oppenheimer. La Decisione, in contesto, è quella di proteggere l'istituzione del cinema nella sua forma espressiva ed esperenziale ideale, iniettando poi questa volontà nel film stesso e parlando a cinefili e casual viewers come fossero parte di una grande fondamento e stuzzicando il loro bisogno di credere in qualcosa.
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Il dogma dell'incertezza
A dire la verità, un po' ci marcia Dead Reckoning su questo messaggio di "fede nella saga e nel cinema", ma anche nel suo angelo spericolato Tom Cruise. Lo fa per necessità e virtù, sfruttando in tempi mai così social una chiara promozione del brand focalizzata sulla valorizzazione degli stunt estremi del protagonista - specie dopo Top Gun: Maverick -, ma questa volta non è sufficiente. Persino lo stesso Hunt, prima del salto in moto, sembra più vecchio, afflitto e spaventato: "Non lo voglio fare", dice a Benji che tenta di spronarlo, ma poi ovviamente lo fa - pure lui - per necessità e virtù, fidandosi ancora una volta delle sue abilità in nome di quel bene superiore da tutelare, quasi fosse un prescelto. Cruise si sente senz'altro così, tra Scientology e il nuovo corso cinematografico contemporaneo, ma il film calca ulteriormente questo aspetto meta-testuale e narrativo inserendo tanti e diffusi particolari atti ad accentuare questa sensazione di grazia discesa sul franchise come grande salvezza del mercato.
Potremmo citare l'oggetto della discordia dell'opera, una chiave a forma di Croce o il nemico di nome Gabriel interpretato da Esai Morales (l'Arcangelo Gabriele è mano sinistra di Dio e portatore di morte) al servizio dell'Entità, un'intelligenza artificiale in grado di prevedere ogni cosa e certamente paragonabile a una divinità onnisciente e onnipresente. Quella di Hunt è una lotta contro un nuovo e pericoloso dio plasmato dagli uomini mediante la tecnologia, che osservando anche i recenti scioperi degli sceneggiatori e degli attori di Hollywood (o la polemica sui titoli di testa di Secret Invasion) è una tematica assolutamente attuale e spaventosa. Ulteriormente interessante è poi il personaggio di Grace interpretato da Hayley Atwell, che è un po' quella Grazia in cui tutti noi speriamo che si rivela però sfuggente e difficile da ottenere, nonostante sia in una certa misura la soluzione, il riconoscimento di cui abbiamo bisogno ed eventuale motivo di cambiamento.
È proprio per "ottenerla" che Ethan fa il suo salto delle fede dalla montagna, così come Cruise e McQuarrie hanno voluto rendere centrale all'esterno proprio questo momento per dare fede e speranza al pubblico nell'esperienza della sala e nella spettacolarità del saga. Il problema è che combattere per una causa tanto ideale comporta dei rischi cinematografici anche per una franchise ormai considerato apogeo dell'azione mainstream odierna, e pur accettando con la stessa grinta di sempre la Missione Impossibile, la resa dei conti dimostra soprattutto quanto sia difficile oggi sacrificarsi per qualcosa di più grande e continuare a credere nei propri idoli in un mondo senza più certezze o fiducia.