Nell'arco di quasi trent'anni, ormai, gli spettatori di almeno un paio di generazioni si sono abituati a farsi prendere per mano da Tim Burton per lasciarsi condurre all'interno di mondi misteriosi: mondi variopinti, rutilanti e ricolmi di meraviglia come quelli di Big Fish, La fabbrica di cioccolato ed Alice in Wonderland, o mondi cupi, tenebrosi e irti di pericoli come Gotham City, Sleepy Hollow e la Londra vittoriana di Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street. In ogni caso, mondi in cui la realtà è invariabilmente contaminata dal sogno (e dall'incubo) e in cui l'immaginario orrorifico della nostra infanzia riacquista forme, colori e musica.
Un assunto valido, in misura più o meno ampia, per tutti i film del regista californiano, e che trova piena riconferma nella sua ultima fatica: Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali, trasposizione di un romanzo pubblicato nel 2011 da Ransom Riggs e primo volume di una trilogia rivelatasi un fenomeno editoriale. E l'incontro fra l'universo di Miss Peregrine e il maestro del cinema gotico sembrava scritto nelle stelle: perché questo nuovo film, da giovedì 15 dicembre nelle sale italiane dopo il vasto successo riscosso nel resto del mondo, rappresenta un autentico tripudio della poetica burtoniana. L'avventura del timido sedicenne Jake Portman, con gli occhi celesti e super-espressivi di Asa Butterfield, che seguendo le indicazioni del nonno Abe (Terence Stamp) si ritrova nel particolarissimo collegio di Miss Alma Peregrine (Eva Green), contiene infatti al proprio interno moltissimi elementi ricorrenti del cinema di Tim Burton, tanto sul piano dei contenuti quanto su quello dello stile.
E per quanto fin troppo spesso, ormai, c'è chi pretenderebbe di bollarlo come un regista in declino e senza più nulla da dire (e come obiezione basterebbe citare Frankenweenie, del 2012, fra i più limpidi e toccanti capolavori dell'animazione contemporanea e non solo), con Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali Tim Burton ci regala invece una delle sue prove più convincenti perlomeno dell'ultimo decennio: un film che non faticherà a farsi amare dai fan del Burton più 'classico', ma in grado anche di produrre suggestioni inattese e sorprendenti. Di seguito, proviamo dunque ad analizzare più nello specifico cinque aspetti chiave di Miss Peregrine e il loro legame con l'opera di Tim Burton nel suo complesso.
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1. Il coming of age di un disadattato
In ossequio alla propria natura di romanzo per l'infanzia, il libro di Riggs si propone come un tipico racconto di formazione, e la trasposizone di Burton mantiene giustamente tale impostazione: nucleo della focalizzazione e personaggio centrale della vicenda è dunque il Jake di Asa Butterfield, esempio emblematico di protagonista burtoniano. Insicuro, introverso, afflitto da difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno (coetanei, genitori) e la tendenza a rifugiarsi nella propria fervida immaginazione, Jake è l'ennesimo 'disadattato' del cinema di Burton: come Edward, come Charlie, come il piccolo Victor di Frankenweenie e, in parte, perfino come il Bruce Wayne di Michael Keaton. Disadattati a cui il regista rivolge puntualmente uno sguardo carico di empatia, mentre anche in Miss Peregrine la struttura narrativa del film si sviluppa lungo i binari canonici del coming of age. In Tim Burton, tuttavia, l'ingresso nell'età adulta non significa rinunciare alla fantasia dell'età infantile e adolescenziale, ma al contrario consiste nel coraggio di accettare e nella saggezza di saper gestire tale dimensione fantastica, imparando di volta in volta a conoscere (e tenere a bada) gli spettri del nostro inconscio.
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2. La Miss Peregrine di Eva Green, nuova musa dark
Autoritaria, carismatica e dotata di una determinazione incrollabile: Alma Peregrine non è la prima eroina del cinema burtoniano a sfoderare tali caratteristiche, ma con Eva Green, l'attrice francese lanciata da Bernardo Bertolucci e consacrata grazie al suo ruolo di Bond Girl, Burton sembra aver trovato una nuova, perfetta musa cinematografica, dopo la loro precedente collaborazione in Dark Shadows. Miss Peregrine, protettrice dei "ragazzi speciali" del collegio e mentore di Jake, è un personaggio che la Green indossa con una disinvoltura ammirevole, forse anche in virtù della sua esperienza nella serie televisiva a tinte gotiche Penny Dreadful: che si tratti di mostrare un lato materno e protettivo, senza però rinunciare a una rigorosa disciplina, di estrarre la balestra per fronteggiare un mostruoso avversario o di tenere testa allo spietato Mr. Barron (Samuel L. Jackson), Alma Peregrine non perde neppure per un istante l'attenzione del pubblico. E la Green, diabolica combinazione di energia e di fascino, si impone come l'ideale 'erede' della musa burtoniana per eccellenza, Helena Bonham Carter, ex compagna del regista dentro e fuori dal set.
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3. Femminilità e innocenza
Ma c'è anche un'altra, memorabile protagonista femminile in questo film, oltre a quella del titolo: si tratta di Emma Bloom, una delle allieve del collegio, dotata del soprannaturale dominio sull'aria e immediato oggetto delle attenzioni di Jake. Interpretata dall'attrice inglese Ella Purnell, Emma corrisponde a un altro modello del cinema burtoniano: quello della ragazza dolce e sensibile, dalla bellezza e dal candore verginali, il cui affetto esercita un potere salvifico per il protagonista di turno. L'archetipo, ovviamente, risiede nella Kim Boggs di Winona Ryder in Edward mani di forbice, il cui amore si rivelava fondamentale per la maturazione dell'Edward di Johnny Depp, ma alla medesima categoria potremmo ascrivere anche la Katrina Van Tassel di Christina Ricci ne Il mistero di Sleepy Hollow, la Sandra Templeton di Alison Lohman in Big Fish (il look di Emma è quasi identico a quello della Lohman), la Johanna Barker di Jayne Wisener in Sweeney Todd e la Victoria Winters di Bella Heathcote in Dark Shadows. Personaggi, quelli appena citati, che sono l'incarnazione di un femminino visto come tabernacolo di innocenza: non a caso la sessualità sembra essere bandita dal cinema di Tim Burton (e le rarissime eccezioni riguardano unicamente donne 'fatali'), dal momento che Emma, così come le altre, appare legata a una stagione della vita in cui il sentimento amoroso è ancora ammantato da una purezza scevra dal desiderio.
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4. Strani e speciali: dalla parte dei freak
È il leitmotiv di quasi tutta la filmografia di Tim Burton, il fulcro tematico da sempre caro a un regista che ha fatto della celebrazione della 'stranezza' il proprio manifesto programmatico: l'empatia nei confronti di ciò che è ritenuto diverso, bizzarro o, addirittura, mostruoso. Che si assumano toni più ironici e brillanti, come in Beetlejuice - Spiritello porcello, o più tragici e grotteschi (si pensi alla figura del Pinguino in Batman - Il ritorno), la diversità in tutte le sue declinazioni, fino ad arrivare alla 'mostruosità', è la costante ineludibile del cinema burtoniano. Un cinema popolato di (anti)eroi bizzarri e fuori dagli schemi, la cui diversità, appunto, si traduce spesso in una sorta di deformazione fisica, una trasfigurazione del corpo umano: dalle cesoie di Edward alle fattezze 'scheletriche' (letteralmente) di Emily ne La sposa cadavere, dal vampirismo di Barnabas Collins all'essenza di "salma riesumata" dell'adorabile Sparky di Frankenweenie.
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Ma la diversità può assumere anche connotazioni psicologiche, ed è il caso dei film più realistici di Burton: si pensi a Ed Wood, altro outsider disastrato, che ama vestirsi da donna, o alla fragile Margaret Keane di Big Eyes, per la quale gli altri individui assumono forme e proporzioni inusitate, ovvero i "grandi occhi" dei suoi dipinti. E in Miss Peregrine il regista mette al centro del racconto proprio loro: freak, bambini e ragazzi la cui diversità è sì motivo di emarginazione (molti sono stati abbandonati e rifiutati dalle famiglie d'origine), ma può tradursi, all'opposto, in capacità straordinarie. Alle prese con il romanzo di Riggs, Burton può davvero sbizzarrirsi: e così nei vari, piccoli comprimari del film, il corpo umano è di volta in volta nascosto o annullato (l'invisibilità di Millard Nullings, i gemellini gorgoni con delle bende a celarne il volto), trasformato in maniera orripilante (le fauci dietro il cranio della piccola Claire Densmore) o dotato di connotazioni paranormali (gli sciami di api che fuoriescono dalla bocca di Hugh Apiston e lo sguardo 'profetico' di Horace Somnusson, che fa materializzare i sogni). Ed è in direzione di questi freak, manco a dirlo, che Burton dirige tutta la nostra partecipazione.
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5. Un tuffo nell'orrore
Sono i due poli opposti e complementari fra i quali ondeggia il cinema di Tim Burton, e soprattutto la sua concezione di estetica: da un lato i colori sgargianti, il postmodernismo quasi kitsch, il gusto squisitamente pop di Mars Attacks!, La fabbrica di cioccolato, Alice in Wonderland e Dark Shadows (ma elementi affini li troviamo sparsi in tantissimi altri film del nostro); dall'altro le tenebre incombenti, le lugubri ambientazioni gotiche e il grand guignol de Il mistero di Sleepy Hollow, Sweeney Todd e delle sinistre atmosfere del Galles in Miss Peregrine. Due modelli di immaginario che molto spesso Burton ha combinato fra loro, realizzando amalgami spiazzanti (si ricordi, ancora una volta, la sua Gotham City), sebbene in questa pellicola a prevalere sia l'aspetto più dark dell'estetica burtoniana: dall'oscuro e antico maniero che offre rifugio ai "ragazzi speciali" alla materializzazione dell'orrore sottoforma del villain di turno, Mr. Barron, dei suoi famelici sodali e dei veri, grandi spauracchi del film, gli Spiriti Vacui.
Nella produzione di Tim Burton, infatti, Miss Peregrine costituisce uno dei titoli in cui l'elemento orrorifico trova maggior spazio: e gli Spiriti Vacui, mostri dotati di lunghi tentacoli, teste senza occhi e fauci acuminate, sono fra le creature più spaventose e repellenti che il cinema di Burton abbia mai prodotto. Il regista, questa volta, non risparmia al pubblico momenti da brivido, fra cadaveri orrendamente mutilati e bulbi oculari estratti dal cranio e fagocitati con avidità. L'orrore, d'altra parte, è una componente essenziale dell'immaginario fantastico, e in Miss Peregrine esso convive con la dimensione più sognante e fiabesca in un equilibrio tanto precario quanto lodevole, per deflagrare nel mirabolante scontro finale fra i "ragazzi speciali" e quegli 'orchi' con fattezze di adulti e occhi di spettri. Un altro dei numerosi motivi di fascino di un film traboccante di ispirazione ed inventiva; ma da uno come Tim Burton, del resto, non potremmo aspettarci altrimenti.