"Mi hai detto 'per sempre, eternamente', ricordi?" "Ogni giorno." "'Per sempre', hai detto; 'per sempre, senza mai invecchiare'... Miriam, te lo ricordi?"
Dietro una grata, la sagoma di Peter Murphy emerge dalla penombra fumosa di un night club e si protende verso gli spettatori. Ad accompagnare questa apparizione fantasmatica sono le sinistre sonorità di Bela Lugosi's Dead, in cui sembrano echeggiare gli stridi di un pipistrello e a cui, da lì a breve, si aggiunge anche la voce cavernosa del cantante dei Bauhaus, con il suo epitaffio dedicato all'attore ungherese immortalato dal ruolo del Conte Dracula. Inframmezzati alle movenze di Peter Murphy, i primissimi piani sul volto di due predatori che, dietro gli occhiali scuri, sono in cerca della prossima preda. In tre angosciosi minuti, Miriam si sveglia a mezzanotte ci propone già una folgorante dichiarazione di poetica, o piuttosto di estetica: la cultura goth, l'immaginario orrorifico, il montaggio frammentato proprio dei video musicali nell'era della neonata MTV, la commistione fra musica e racconto.
Poche sequenze sono altrettanto emblematiche di certe suggestioni degli anni Ottanta quanto l'incipit della pellicola d'esordio del trentottenne regista britannico Tony Scott, proveniente dal campo degli spot pubblicitari e da un paio di mediometraggi. Adattamento di un romanzo pubblicato da Whitley Strieber nel 1981, The Hunger debutta nelle sale americane il 29 aprile 1983, con un paio di settimane d'anticipo sulla sua presentazione al Festival di Cannes. La reazione della stampa è a dir poco tiepida, con frecciate dirette in particolare contro la presunta fragilità narrativa dell'opera; ma neppure il pubblico riserva troppa attenzione nei confronti di questo anomalo film di vampiri, che non rientra appieno nella categoria dell'horror (perlomeno, non secondo i canoni tradizionali) e che in Italia sarà distribuito tre mesi più tardi con il bislacco titolo Miriam si sveglia a mezzanotte.
Solo gli amanti sopravvivono: i vampiri di Tony Scott
"Eravamo criticati, in quanto visitatori britannici, perché provenivamo dalla pubblicità", ricorderà Tony Scott decenni più tardi; "Alan Parker, Hugh Hudson, Adrian Lyne, mio fratello... eravamo criticati per mettere lo stile al di sopra del contenuto". Il fratello in questione è il ben noto Ridley Scott, che appena un anno prima aveva firmato un capolavoro parzialmente incompreso: quel Blade Runner destinato, con il beneficio degli anni, a rivoluzionare la storia della fantascienza. Ma il tempo si rivelerà generoso pure verso il poco fortunato debutto del suo fratello minore: riscoperto a poco a poco dai cultori dell'horror e, complice la presenza dei Bauhaus, da quelli della musica dark, Miriam si sveglia a mezzanotte si ritaglierà un meritato posto d'onore fra i cult-movie degli anni Ottanta, dimostrando di aver anticipato numerose tendenze a venire e contribuendo alla riscrittura dei canoni del genere d'appartenenza e alla loro contaminazione.
La contaminazione, per l'appunto, è una parola-chiave per comprendere il fascino di un film che vive di opposti e di contrasti. Se l'introduzione, vale a dire la 'caccia' attuata in discoteca dai vampiri John e Miriam Blaylock, si conclude con un (letterale) bagno di sangue, nella scena successiva la coppia consuma un languido idillio romantico sotto la doccia. E se ad aprire le danze è l'oscuro baccanale di Bela Lugosi's Dead, autentico cavallo di battaglia del rock gotico e dei Bauhaus e brano-simbolo della dark wave tutta, il tema musicale dominante da lì in poi sarà invece la struggente dolcezza del Trio per pianoforte n. 2 di Franz Schubert. John e Miriam, del resto, sono due vampiri amanti della musica classica (lei è una pianista, lui dà lezioni di violoncello), che si erano conosciuti negli ambienti dell'aristocrazia francese dell'Ancien Régime e ora, a due secoli di distanza, vivono immersi nella penombra di un appartamento newyorkese nel cui arredo si fondono modernità e anacronismi.
Catherine Deneuve: 7 ruoli di culto della regina del cinema francese
"La specie umana muore in un modo, noi in un altro"
A interpretare due personaggi tanto peculiari, per merito di una formidabile scelta di casting, sono la rockstar David Bowie, il cui volto finisce per essere inghiottito da una maschera di trucco (John, a cui era stata promessa l'eterna giovinezza, subisce infatti un repentino invecchiamento), e Catherine Deneuve, icona del cinema francese qui impegnata in uno dei suoi rarissimi ingaggi hollywoodiani. La Miriam di Catherine Deneuve, avvolta da uno charme inesorabile, ha un'eleganza composta, sofisticata ed altera che risulta complementare alla bellezza più prorompente e 'metropolitana' dell'altra comprimaria del film: Susan Sarandon, reduce dagli elogi per Atlantic City e qui nei panni della dottoressa Sarah Roberts, studiosa di gerontologia alla quale John si rivolge in cerca d'aiuto e che sarà poi circuita e sedotta da Miriam, determinata a rimpiazzare il compagno ormai decrepito con una nuova partner.
L'eros come forma di dannazione; l'amore quale sentimento vampirizzante, che conduce all'oblio rispetto alla propria vita precedente (l'oblio in cui Miriam vorrebbe risucchiare Sarah); la crudeltà del tempo che, insieme alla bellezza, cancella anche i legami, riducendo John alla stregua degli altri morti-viventi costretti da Miriam a un'imperitura prigionia. E poi la fame, The Hunger: la voracità di chi, per necessità e per desiderio, cannibalizza tanto le proprie vittime, quanto gli amanti. Decadenza ed edonismo, sensualità e repulsione sono gli ingredienti di un'opera in cui la forma è inscindibile dalla sostanza, e in cui il racconto stesso è sorretto dall'incanto tenebroso delle immagini, dall'azzardo di certi raccordi di montaggio e dal magnetismo di questi vampiri postmoderni, dilaniati fra pulsioni erotiche e cupio dissolvi: "Nella terra, nel legno putrido, nell'eterna oscurità noi vedremo, e udremo, e godremo".