Sessantotto anni, dieci lungometraggi all'attivo e un grande amore per le collisioni; collisioni psicologiche, corporali, narrative e creative. Padre putativo di Hannibal Lecter, perfezionista dell'immagine, regista di capolavori assoluti come L'ultimo dei Mohicani, Heat - La sfida e Insider - Dietro la verità Michael Mann non è solo un autore ma è uno che il Cinema l'ha reinventato, l'ha cambiato e continua a cambiarlo ancora oggi.
Il regista di Chicago ha incontrato il pubblico e i giornalisti del Festival Internazionale del Film di Roma all'Auditorium Parco della Musica per una conversazione sul suo lavoro e sul suo modo di vedere il Cinema ed ha scelto, insieme ai curatori dell'incontro, le clip video tratte dai suoi film più celebri, scene che poi ha commentato nel dettaglio svelandone particolari e retroscena. Mann ci ha anche regalato un assaggio di Luck, il suo nuovo attesissimo lavoro televisivo prodotto dalla HBO incentrato sul mondo delle corse dei cavalli, che ha come protagonisti Dustin Hoffman, Nick Nolte, Michael Gambon e Jason Gedrick, del quale abbiamo potuto vedere in esclusiva una clip promozionale. Pochi i commenti del regista invece a proposito del suo nuovo progetto cinematografico il cui titolo provvisorio è Agincourt, liberamente tratto dal romanzo L'arciere di Azincourt di Bernard Cornwell, ambientato durante la famosa omonima battaglia che rappresenta uno dei momenti più tristi della storia di Francia e uno dei più gloriosi della storia dell'Inghilterra di Enrico V. "Era molto tempo che volevo ambientare un film nel Medioevo e raccontare come il Medioevo vedeva se stesso, non come lo vediamo noi oggi. Non è mia intenzione rappresentarlo solo attraverso i costumi, ma voglio raccontare il mio punto di vista sul modo di pensare di quel periodo storico e cercare di cogliere il tutto attraverso gli occhi di un personaggio interessante, vissuto in quegli anni, capace di spiegare al meglio la percezione che la gente aveva della propria condizione. E' stato molto interessante apprendere, ad esempio, di come in Inghilterra l'Io non esistesse per i contadini".
"E' sempre molto appassionante in un film che i personaggi e le situazioni emergano dalla vita reale e non da altri film, conoscere John Santucci, un vero rapinatore di preziosi mi ha molto aiutato a trasformare James Caan in un vero ladro, in un uomo che ha fatto molti errori nella sua vita, che ha avuto un'amante e si è alleato con le persone sbagliate, in un uomo che ha fatto errori che un criminale non dovrebbe mai fare" - ha spiegato il regista dopo la proiezione della scena in cui la squadra di rapinatori dissalda la cassaforte e ruba tutto quello che c'è all'interno - "i consulenti tecnici del film sono stati veri agenti di polizia, oltre che veri ladri, e questo mi ha fatto scoprire la fierezza di fondo che hanno questi uomini nel fare il loro lavoro". Autore e produttore di Miami Vice, serie-tv poliziesca degli anni '80, divenuta un vero e proprio mito che vanta decine di tentativi di imitazione e una trasposizione cinematografica diretta proprio dal suo autore nel 2006, Mann non ha rinnovato solo la tv ma è stato anche autore del primo film girato interamente in digitale. Parliamo dello splendido action-thriller Collateral che ha mostrato una faccia mai vista di Los Angeles, una metropoli notturna e tentacolare, sempre in agguato e capace di inghiottire uomini e donne insieme ai loro destini. Un film che ha indubbiamente cambiato e deviatola carriera di quello che a tutti gli effetti possiamo considerare un pioniere dell'immagine verso nuovi affascinanti lidi: "Non avrei mai potuto girare di notte a Los Angeles se avessi usato la pellicola" - ha dichiarato Mann interrogato sui cambiamenti apportati dall'introduzione di questo nuovo mezzo - "ma anche il rapporto con gli attori è cambiato grazie al digitale, è bellissimo inseguirli sulla scena, puoi andare avanti anche per diciotto o venti minuti di fila senza mai fermarti, fare una cosa del genere con la pellicola sarebbe stato a dir poco irritante".
Ed è stata proprio dopo la proiezione della famosa scena di Collateral in cui Tom Cruise e Jamie Foxx sono nel taxi fermi al semaforo guardano in silenzio un coyote attraversare la strada, che Mann è entrato nei dettagli di quella che ha definito una 'collisione': "Non si è trattato di un'improvvisazione, i coyote erano nella sceneggiatura dall'inizio. E' in quel momento che la storia ci mostra le diverse collisioni tra i personaggi, in quel momento capiamo che presto qualcuno morirà, qualcuno ucciderà qualcun altro, che presto l'incastro di convergenze finirà per fare le sue vittime. Mi piace vedere l'incontro con il coyote come il preludio di questa risoluzione, è in quel momento di silenzio che anche il tempo sembra sospendersi per un attimo per lasciar spazio alla consapevolezza dei due protagonisti di aver raggiunto il loro scopo, di aver trovato l'uno nell'altro una sorta di realizzazione".
Riguardo all'uso di una particolarissima luce e dei colori nel film Mann ha spiegato che è proprio in Collateral che possiamo apprezzare i grandi prodigi del digitale e le mirabili innovazioni visive: "Prendete la scena dei coyote, in quel momento a Los Angeles erano le undici di sera ma nonostante ciò riusciamo a vedere tutto quel che accade per le strade come fosse giorno, possiamo ammirare il vapore che si alza sui marciapiedi illuminato dalla luce che la stessa città emana, luce che dal giallo migra verso il rosa con tante sfumature diverse. Queste cose possiamo catturarle solo ed unicamente con l'uso del digitale". Il suo cinema è fatto anche di violenza, a volte è duro, ma sempre velato da un alone di romanticismo, come se i personaggi dei suoi film non potessero far a meno di provare qualcosa di profondo e, ad un certo punto, di abbandonarsi nelle braccia di qualcuno. Emblematiche a questo proposito due scene, che ovviamente il regista ha scelto di mostrare al pubblico in sala, quella di Manhunter - Frammenti di un omicidio in cui la ragazza cieca, interpretata da Joan Allen, bacia l'efferato serial killer soprannominato 'the Tooth Fairy' (la fata dei dentini) ignorandone l'identità e offrendogli il primo vero momento di normalità della sua vita, e poi la scena di Miami Vice in cui Colin Farrell e Gong Li (l'infida donna del boss) partono insieme a bordo di un motoscafo e si dirigono verso Cuba per bere un mojito e dare finalmente sfogo alla loro attrazione.
"L'ispirazione per il personaggio di Tooth Fairy mi venne da alcune lettere che scambiai con un vero serial killer, Dennis Wayne Wallace, che ho incontrato anche un paio di volte di persona e che mostrava palesemente dei gravi disturbi mentali" - ha dichiarato il regista - "queste persone sono vittime di abusi, cresciute in ambienti difficili, e molto spesso l'iter familiare è una componente costante in questi soggetti, mi commuoveva vedere un adulto comportarsi in un certo modo mentre rispondeva a domande un po' più personali, ed è proprio questa costruzione 'sentimentale' del mostro la cosa più difficile da fare a livello cinematografico". Ed è sempre in Manhunter forse la scena più bella della sua intera cinematografia, quella in cui Joan Allen, nei panni della ragazza cieca, si ritrova grazie al suo amico serial killer davanti ad una gigantesca tigre, sedata in attesa di un piccolo intervento, e non può fare a meno di toccarla, accarezzarla, di sentire il calore del suo respiro di coccolarla dolcemente. Straordinario il modo in cui Mann riesce in quel momento a combinare le immagini con il suono e la musica, con attacchi di montaggio originalissimi che sollevano una minacciosa ed emozionante commistione: "Penso che questa scena sia una delle migliori cose che abbia mai fatto nella mia carriera, ma in generale mi faccio trasportare dall'ambizione di usare tutti gli strumenti a mia disposizione. In una scena avvengono tante cose insieme e io ho la presunzione di riuscire a coglierle tutte, mi piace poi modellare gli avvenimenti nella maniera più originale possibile. Lei è cieca e sostituisce la perdita della vista con l'acutezza degli altri sensi. Penso che Joan Allen in quel momento emani una sensualità fuori dal comune, in quel momento è lui, Tooth Fairy, la tigre che viene addomesticata da lei, in quel momento quell'uomo è solo un lontano parente di quello che guarda il filmino della sua prossima vittima seduto sul divano accanto a lei. Lui è in cerca di adorazione e ha capito quanto sia stata importante per lei la sensazione di calore e di morbidezza emanata dal pericoloso animale, lei dal canto suo è assorbita dalla sensibilità di quell'uomo all'apparenza così gentile e timido". Non poteva poi mancare poi la 'collisione' tra Robert De Niro e Al Pacino in Heat - La sfida, con due scene clou, quella del dialogo tra i due mentre sono seduti uno di fronte all'altro e si guardano negli occhi per la prima volta, e poi la magistrale scena della sparatoria dopo la rapina in banca, in cui Al Pacino corre a piedi incontro al suo avversario De Niro che riesce a scappare col bottino insieme all'amico ferito, interpretato da Val Kilmer, nonostante le decine di poliziotti che gli sparano contro.
Un film che ha fatto epoca e che per la prima volta ha fatto incontrare sul set due tra gli attori più autorevoli del cinema moderno. "Nella vita i due si conoscevano già e avevano lavorato insieme ne Il Padrino - parte seconda senza però mai incontrarsi di persona sul set. Nessuno dei due ha mai mostrato nervosismo o ansia prima di questi due ciak, anche perchè per tre mesi avevano avuto il tempo di calarsi nei loro ruoli e trasformarsi nei due antagonisti del film" - ha spiegato il cineasta. "La presunzione di Heat sta tutta nel fatto di far finta che siano loro due le uniche persone al mondo ad avere una sorta di autocoscienza, a non mascherare la loro natura. Il poliziotto si confessa all'altro e viceversa, nella scena in cui sono seduti l'uno di fronte all'altro entrambi fanno gli stessi moviementi, ad un gesto di uno corrisponde sempre una contromossa dell'altro, il linguaggio del corpo in questi frangenti è importantissimo. Insomma in Heat ha avuto luogo una vera e propria collisione di soggettività molto ben orchestrata".
Per quel che riguarda invece la tecnica usata per la scena della sparatoria Mann ha spiegato come le tecniche di addestramento degli attori siano state illustrate da importanti uomini dell'esercito, ha confessato di aver fatto usare agli attori anche pallottole vere durante l'addestramento: "Volevamo che la scena fosse più autentica possibile, De Niro doveva passare da un punto ad un altro della scena così come Al Pacino, poi dovevano fermarsi e inserire un nuovo caricatore e poi riprendere nuovamente a sparare, quello che vedete è la simulazione di una tecnica realmente usata nell'esercito". Una scena, quella della sparatoria, che trova il suo alter ego in quella tratta da L'ultimo dei Mohicani, in cui la ragazza si lascia cadere dalla scogliera con il successivo inseguimento che causerà l'uccisione di Uncas, l'ultimo della stirpe dei Mohicani, l'ennesima collisione tra vecchio e nuovo, tra passato e presente di una terra: "E' difficile capire la scena della rapina di Heat - La sfida essendo così fuori contesto, per apprezzarla al meglio bisognerebbe calarsi nella storia e nei personaggi, capire come per ciascuno di loro, nel momento dello scontro, ci sia dietro un background di rivalità incredibile. La stessa cosa vale per la scena in cui Colin Farrell e Gong Li si ritrovano insieme a ballare sensualmente in un locale cubano e per la sequenza che abbiamo appena visto de L'ultimo dei Mohicani. Dietro al suicidio di Alice c'è una lunga storia, c'è la fine della stirpe dei pellerossa, così come dietro alla morte di Uncas. La frontiera in questo frangente rappresenta la collisione, lo scontro tra la colonizzazione americana e le tribu dei pellerossa, nella scena si comprende il senso della vita che va avanti, sempre e comunque, si rappresenta la fine di un popolo e la sua consapevolezza di non avere futuro. C'è questo nello sguardo che i due combattenti si scambiano nel momento che precede la morte dell'ultimo dei Mohicani".
Un lavoro molto meticoloso quello che mette in pratica Michael Mann con gli attori cui affida i personaggi frutto della sua immaginazione, scegliendo di solito interpreti icona di altri generi rispetto a quello che andranno ad approcciare. E' capitato con Russell Crowe, che ha recitato in Insider - Dietro la verità subito prima del grande successo de Il gladiatore, ma anche con Daniel Day-Lewis protagonista de L'ultimo dei Mohicani dopo la prova nel dramma di Jim Sheridan Il mio piede sinistro e con il 'man in black' Will Smith protagonista di Ali: "Credo che quella di portare attori in generi per loro inconsueti sia una delle migliori decisioni che un regista possa prendere. In questo modo li innervosisci, fai scattare loro dentro qualcosa di animalesco, l'adrenalina sale a mille in questi casi e tutto ciò mi piace molto. Ricordo che quando affidai a Daniel Day-Lewis il ruolo di protagonista ne L'ultimo dei Mohicani qualcuno mi disse che ero pazzo, a me interessavano la sua personalità e il suo carisma, quindi me ne sono fregato".
Un discorso a parte meritavano poi Ali e Insider - Dietro la verità, dopo la proiezione in sala delle due scene simbolo più importanti, quella in cui Will Smith realizza di essere diventato un eroe per tutti i neri del mondo mentre corre in mezzo alla folla di ragazzi che invocano il suo nome, e poi la favolosa scena della telefonata tra Russell Crowe e Al Pacino nell'hotel in cui il personaggio di Crowe sta pensando al suicidio dopo il risultato della sua battaglia contro le multinazionali del tabacco: "In questa scena Ali si rende conto di essere diventato un simbolo di riscatto sociale, contro la guerra e contro l'oppressione, si commuove guardando i disegni dei bambini sui muri che lo raffigurano mentre prende a pugni i carri armati e i fucili" - ha spiegato il regista portando il paragone tra Smith e Crowe - "il personaggio esiste per me prima dell'attore, quando devo scegliere il cast di un mio film descrivo dettagliatamente il curriculum che vorrei che gli attori avessero. Quando ho scritto il personaggio di Wigand solo successivamente ho scelto Russell Crowe che per l'occasione ha imparato a giocare male a golf come il vero Wigand e ha persino preso lezioni di chimica per poterne parlare meglio. Voglio che l'attore sia capace di andare in profondità nel personaggio in maniera totale, come è avvenuto anche nel caso di Ali con Will Smith. L'ho immerso nella comunità nera, nell'atmosfera degli anni '60 in modo che potesse capire a fondo perchè il vero Ali rifiutò di arruolarsi nell'esercito, di partire per il Vietnam, e soprattutto ho spiegato a Will l'estrema importanza di quell'incontro di pugilato in cui ha battuto Foreman, l'uomo simbolo dello status quo, avvenuto in una storica serata del 1974".Grande assente della serata Nemico Pubblico - Public Enemies, il film sulla vita di John Dillinger, che probabilmente avrebbe, da solo, portato via un'intera nottata di discussioni. Interrogato infine sul cinema italiano e sull'alta qualità dei prodotti televisivi di ultima generazione, Mann ha replicato laconicamente: "Il cinema italiano di oggi non lo conosco, non ho mai visto nulla al di fuori dei capolavori di Pasolini, Fellini, Antonioni, De Sica, Germi e di qualche altro grande che mi ha impressionato. La televisione? In questo momento negli Stati Uniti la tv via cavo offre il meglio, stiamo vivendo un'età d'oro del piccolo schermo. I migliori produttori televisivi? Sono senza dubbio quelli che ti firmano gli assegni e poi ti lasciano fare".