Essere al cospetto di un attore come Martin Freeman è un'esperienza importante per chi fa il nostro lavoro, ma è anche straniante: ai nostri occhi cinefili, alla figura dell'attore britannico continuano a sovrapporsi quelle dei tanti ruoli così iconici affrontati nel corso di una ricca carriera. In uno sguardo vediamo il Bilbo creato da Tolkien, un attimo dopo ci appare l'Everett Ross del Marvel Cinematic Universe, per poi cedere il posto al sorriso disarmante del John Watson di Sherlock.
Per questo è inevitabile che la conversazione sia scivolata verso il passato alla prima occasione, relegando il motivo della sua visita romana, il buon horror Ghost Stories, a punto di partenza di un percorso tra i suoi ruoli più famosi. Freeman si è dimostrato felice e disponibile a seguirci in questo cammino, rispondendo anche a qualche curiosità più personale e chiarendo ulteriormente la sua posizione riguardo Sherlock e il suo futuro, una serie che ama e che gli piacerebbe poter portare avanti a dispetto di quanto venuto fuori negli ultimi tempi. Ma soltanto dopo aver approfondito Ghost Stories, il suo film ancora in sala sui cui temi ci ha spiegato il suo interessante punto di vista.
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Storie di fantasmi dell'orrore
Ghost Stories è tratto da un'opera teatrale. L'ha vista? Sono stati apportati cambiamenti rispetto all'originale?
Non l'ho vista, credo che fossi in Nuova Zelanda a girare Lo Hobbit nel periodo in cui è stata popolare. Ma ho amici che ne sono stati terrorizzati! Da quel che so e da quello che Jeremy mi ha detto, credo che il film sia molto diverso dall'originale.
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Qual è il suo rapporto con l'horror e i film di genere?
Mi piacciono gli horror, ma mi piacciono i film in generale e l'orrore è solo un ramo del cinema e ci sono tantissimi tipi diversi di horror. La mia vera risposta dovrebbe essere che mi piacciono quelli buoni, che incontrano il mio gusto. Preferisco gli horror più psicologici e credo ci sia abbastanza di questo in Ghost Stories, perché è sì un horror, ma è pieno di tanta altra roba che lo rendono anche un thriller o un drama, con anche un pizzico di commedia. Penso che le cose più spaventose sono quelle dentro di noi e il film lo trasmette bene.
Uno dei fili conduttori del film può essere il senso di colpa. Che ne pensa?
Sì, penso che sia una parte considerevole del film. È quello che spinge Philip Goodman a livello subconscio, il senso di colpa per le sue azioni, o il suo non intervento come vediamo nella parte finale del film. Senso di colpa e rimpianto, il desiderio di esserci comportati diversamente. Credo non ci sia una sola persona vivente che non si senta così riguardo qualcosa, magari non in modo estremo come in Ghost Stories, ma credo sia un filo conduttore di tutti gli esseri umani.
Il film sembra dire che il non fare qualcosa sia peggio del fare qualcosa e mi sembra un argomento adatto ai nostri tempi.
Sì, forse è così. Naturalmente dipende dalle circostanze e non intervenire può far più danni del fare attivamente qualcosa. Ma il film mostra anche che come esseri umani impariamo dagli errori che commettiamo e che non è sempre semplice fare qualcosa. Se lo fosse, non accadrebbe nulla di negativo, ma non sempre possiamo sapere quale sia la cosa giusta da fare. Gli esseri umani sono spesso spaventati ed è impossibile dire come ci saremmo comportati in una determinata situazione. Ed è una delle cose che racconta il film, che momenti di debolezza possono segnarti per il resto della tua vita.
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Il giovane Martin Freeman
Cosa ti spaventa? Cosa ti spaventava da ragazzo? Eri uno di quelli che si buttava e interveniva?
Non ero un ragazzo facile. Ero un furbetto, un problema per i miei insegnanti soprattutto. Non tanto con mia madre, con lei bisognava stare attenti! Ma non sono stato il primo a fumare o provare droghe, sono sempre stato molto attento riguardo quelle cose, perché ero consapevole del pericolo e non prendevo rischi non necessari. Mi terrorizzò Psycho da ragazzo, l'ho visto che avevo sette anni, decisamente troppo giovane. Ma sono contento di averlo fatto, anche se ogni volta che facevo una doccia e salivo le scale per tornare a letto vedevo Martin Balsam pugnalato da Norman Bates e mi paralizzavo per venti minuti in fondo alle scale. I bambini hanno una grande immaginazione e io ne ho sempre avuta, d'altra parte volevo fare l'attore. E Hitchcock era un grande regista, di quelli che ti mettono cose in testa. Questo mi spaventava da ragazzo.
In Ghost Stories è presente il dualismo tra fede e ragione, tra credere e non credere. Lei come si pone? È una persona spirituale?
Sono stato cresciuto da cattolico e anche se non sono più praticante ho ancora un certo rispetto per la fede. Non l'ho ancora persa o forse è lei a non avermi abbandonato del tutto. È sempre stata lì per tutta la mia vita. Ma una cosa è la fede e una cosa il credere, che io trovo genuinamente positivo. Sono ragionamenti attuali nella nostra società: ragione contro fede. E credo che questo contrasto non sia mai stato più polarizzato di oggi. Quando ero ragazzo, non ci si sentiva sotto attacco se si credeva in Dio o nella scienza. Frequentavo la chiesa ed era pieno di suore e preti, eppure si parlava di chimica e di evoluzione, non si percepiva come una grande guerra, come accade oggi. È diventata una guerra intellettuale. È facile dire che sei stupido se credi o che sei intelligente se non lo fai. È un atteggiamento pigro, oltre che falso. Ci sono cose che credo e cose in cui non credo. Cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono. Non ho problemi con la fede e le idee di nessuno, almeno finché non viene detto ad un omosessuale che andrà all'inferno.
Quello è un grosso problema per me. Credere è una cosa positiva, ma nessuno conosce la verità e non si possono aver prove né da una parte né dell'altra. Gran parte dei miei amici e della mia famiglia è composta di atei, ma io non lo sono, eppure queste differenze portano a conversazioni interessanti. Il rispetto per me è molto importante. È un qualcosa di cui tutti ci riempiamo la bocca, considerandoci tolleranti, finché qualcuno non si dimostra in disaccordo con noi e allora gli diamo del fascista. E questo è un vero problema, perché dovremmo cercare di fare un passo indietro e prender fiato, ma i social media hanno peggiorato la situazione da questo punto di vista. Qui stiamo conversando con tranquillità e potremmo avere opinioni diverse su tanti argomenti, ma ne parleremmo con tranquillità bevendo una tazza di thè. Ma non appena è scritto su un social, io e voi diventeremmo nemici. È un problema enorme! Non ci sono mezze misure, non ci sono zone grigie: se la pensi diversamente, sei il male! È qualcosa di pazzo, di medievale, con tutto il nostro progresso siamo tornati indietro di cinquecento anni. Non fraintendetemi, non vorrei vivere in nessun'altra epoca, così come amo la tecnologia, ma stiamo dimenticando cosa sia il rispetto.
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Parlando di rimorso: ha mai rifiutato un ruolo per poi pentirsene?
No, non credo ci sia. Ci sono piuttosto ruoli per i quali sono stato rifiutato io, ruoli che mi sarebbero piaciuti. Ho sempre saputo perché ho rifiutato un ruolo... e poi diciamocelo, non ho storie come Dustin Hoffman o Al Pacino, non ho rifiutato Kramer contro Kramer, un film da Oscar. Non ho rimpianti in tal senso, perché prima di dire sì o no penso molto, considero ogni aspetto: se il ruolo mi interessa, quanto mi terrà lontano dalla famiglia, se mi permetterà di fare un buon lavoro. Quindi quando dico no ne sono molto contento, perché sono convinto di quello che faccio. Adoro recitare, quindi se rifiuto un lavoro che mi permetterà di farlo per altri due mesi è perché ne sono veramente sicuro.
Rovescio la domanda: una volta in cui è stato rifiutato e le è dispiaciuto molto?
L'ultima volta che sono stato rifiutato ero in corsa per questo ruolo... no, non dirò di quale si tratta, ma non era Kramer contro Kramer. Ero convinto che il ruolo fosse mio. Avevo incontrato il regista tre volte, sapevo che la mia foto era sul muro della produzione insieme alla coprotagonista. Insomma ero convinto che avrei fatto questo film, un buon dramma della BBC. Poi ho saputo che l'avrebbe fatto un altro attore ed è stata dura. Come attore si è molto abituati a sentirsi dire no, è qualcosa che capita spesso e non è stato quello il problema, ma è stato come essere in una relazione con qualcuno che ti dice "ti amo, ti amo... no, non ti amo". Eppure in quel periodo stavo facendo Sherlock, ero ok, non ne avevo bisogno. Ma volevo quel lavoro!
C'è un film, non suo, che la fa sentire bene e che rivedrebbe mille volte?
Sì, quando ero ragazzo c'erano film del genere. Uno per esempio era Gli insospettabili con Laurence Olivier e Michael Caine che guardavo ogni giorno quando avevo dieci anni. È grazie a quel film che mi sono innamorato di Michael Caine, molto prima di quando ho capito che avrei voluto fare l'attore. Non avrei mai pensato che la recitazione sarebbe potuta essere una cosa del genere, così naturale. Non parlava come gli altri attori, ma come un londinese, era attraente ma in modo non convenzionale, non come una superstar. In seguito, a quattordici anni, guardavo West Side Story, ne ero ossessionato, conosco ancora tutti i testi a memoria.
Vorrebbe essere nella versione di Steven Spielberg?
La sta facendo?! Non lo sapevo! Potrei fare Doc, sono troppo vecchio per essere un Jet o uno Shark. Forse potrei essere Krupke. Il film del 1961 è senza dubbio uno delle mie opere d'arte preferite, una delle mie cose preferite di sempre. Eppure era così poco cool, non potevi dirlo in giro all'epoca. Per me è assolutamente perfetto.
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I ruoli iconici
Che vuol dire far parte dell'universo Marvel? Il suo personaggio e Doctor Strange si incontreranno?
Non credo, non ancora... non che io sappia! Ma è Marvel e tutto può succedere, soprattutto con Doctor Strange che fa parte di questo strano mondo dal quale mi aspetto di tutto, anche di apparire come un dinosauro. Come sapete non possiamo dire molto, ma per quanto ne so farò un altro film su Black Panther, o almeno così credo e spero. Per quanto riguarda un incontro tra Everett Ross e Strange... non credo ma lui è uno che plasma il proprio universo a piacimento.
Vedremo ancora Sherlock?
Sinceramente non lo so, perché Steven Moffat e Mark Gatiss stanno scrivendo altro.
Si riferisce a Dracula?
Esatto! Grazie a Dio io e Ben siamo sempre molto impegnati e per Sherlock c'è sempre stato l'accordo che di riunivamo ogni volta che ci sarebbe stato qualcosa da dire o fare. Quindi in realtà non lo so, ma non lo so mai. Sappiamo tutti che è una grande serie e tutti noi l'amiamo, ma è sempre stata molto difficile dal punto di vista logistico. Una cosa che ci piace di Sherlock è che è una serie molto british e a noi inglesi piace che tutto sia fatto alla perfezione. Ogni volta che la serie è tornata è stato un evento speciale e adoro che ci ritroviamo solo quando abbiamo realmente qualcosa di buono da dire. È quello che mi piace dello show, che ha il sapore di un'occasione speciale.
Visto che lei e Cumberbatch, così come Moffat e Gatiss, siete coppie rodate, ci sono state trattative per entrare nel nuovo progetto su Dracula?
No. Amo il modo di scrivere di Steven e Mark, così come adoro Ben, e penso che siamo una buona squadra, ma penso che ognuno di noi voglia mettersi alla prova in qualcosa di diverso. E probabilmente sono proprio loro a volersi prendere una pausa da me e Ben. Ho visto Mark proprio di recente ad una proiezione di Ghost Stories e me ne ha parlato. Sembra un gran bel progetto, ma non credo che potrà accadere.
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Lei è un appassionato di vinili, jazz e soul. Quale disco sceglierebbe per rappresentare la sua carriera cinematografica?
Dovrei pensarci, rischio di dire qualcosa di inadatto... non saprei, dovrebbe essere qualcun altro a indicare un titolo per rappresentare la mia carriera. Sceglierei un disco che mi piace, ma non sarebbe necessariamente corretto. Come quando ti chiedono che animale saresti, tendi a scegliere un animale che ti piace, ma non vuol dire che sia quello che ti rappresenti meglio. O una macchina. Diresti una Ferrari, ma poi viene fuori che sei una Fiat.
Quando si trova in una stanza con persone non addette ai lavori, per quale personaggio viene ricordato di più?
Credo sia un misto. Quando la gente mi ferma per strada quotidianamente, di solito si divide tra John Watson, Bilbo e per un film non molto noto qui che è stato un grande successo per famiglie in Inghilterra, Nativity. Per anni è stato per The Office, raramente è stato per Arthur Dent della Guida galattica per autostoppisti... Fargo, che la gente ha apprezzato molto. Ma il vincitore probabilmente sarebbe John Watson in termini di numeri. Se fossero elezioni, sarebbe primo ministro!
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E quale personaggio le assomiglia di più?
Tutti hanno qualcosa di me, ma penso che sia normale perché per interpretarli bene devono avere qualcosa di me.
Cosa c'è in Watson, per esempio?
Il suo essere un uomo gentile e un po' presuntuoso. È la guida morale di Sherlock... non che io lo sia per Ben, ovviamente [scherza], ma credo che Watson si preoccupi per lui. È un dottore, si preoccupa del prossimo, anche se non è Gandhi, non è un grande umanitario. Sono una persona che nota se qualcosa non va, se qualcuno ha problemi, e vorrei che sistemare le cose.
E cosa è rimasto del viaggio in Nuova Zelanda per Lo Hobbit, un luogo da sogno così fuori dal tempo?
È stato una parte rilevante della mia vita per due anni e mezzo, ma anche oltre quel periodo. Ci sono cose che fai nella tua carriera professionale che sai che avranno una vita al di là della tua esistenza. La gente sarà interessata a questi film anche in futuro, e non per merito mio, ma perché è Tolkien! Ho amato l'esperienza, l'essere insieme a questo fantastico gruppo di persone, per lo più non originario della Nuova Zelanda, ritrovandoci molto uniti e al lavoro su qualcosa che ci divertiva profondamente. I ricordi della Nuova Zelanda sono solo positivi, è un paese meraviglioso con una popolazione ridottissima di gente pazza, molto inglese in un certo senso, ma dei tempi in cui il popolo britannico ancora credeva di poter fare cose.
La vita cinematografica che va oltre l'esistenza terrena...
È questo il bello dell'arte. Che sia pittura o musica, hai la possibilità di vivere per sempre e non è una cosa per tutti. E se si riesce ad avere un impatto sulle vite delle persone nel corso della propria esistenza è fantastico, è un privilegio. Il fatto che la gente mi cerca tutto il tempo è incredibile, ma è così facile trascurare questo aspetto. È quello che l'arte riesce a fare ed è molto importante.