Ghost Stories: Martin Freeman ha paura dei fantasmi?

Freeman brilla nel ruolo cucitogli addosso. Le smanie da star, per fortuna, non sembrano appartenere all'interprete che si affida con fiducia nelle mani dei due autori e si mette al servizio di un film corale che si configura come un puzzle di storie, personaggi e rimandi a capisaldi del genere.

Ghost Stories: Martin Freeman in un'immagine del film
Ghost Stories: Martin Freeman in un'immagine del film

Da sempre la brughiera inglese è terra di spettri. Ce lo ricordano il cane indemoniato de Il mastino dei Baskerville o i tanti castelli maledetti sparsi per le campagne britanniche. Perfino qualche antico pub non sfugge alla nomea. Gli inglesi sono letteralmente ossessionati dai fantasmi. Così il duo artistico composto da Andy Nyman e Jeremy Dyson ha deciso di analizzare il fenomeno dando vita dapprima a una fortunata pièce teatrale che ora ha preso la via del grande schermo e vanta nel cast la presenza della star Martin Freeman.

Pur omaggiando la grande tradizione dell'horror britannico targato Hammer nelle ambientazioni, atmosfere e nel look artigianale, Ghost Stories solleva tematiche molto moderne, ben più complesse di quanto ci si potrebbe aspettare da un piccolo film di genere. Nel rispetto del passato, il film si colloca nella grande tradizione degli horror a episodi. Al centro della storia troviamo il Professor Phillip Goodman (Andy Nyman), razionale conduttore di una trasmissione televisiva che ha lo scopo di smascherare ciarlatani, illusionisti e impostori che fanno leva sulla buona fede delle persone per ingannarle. Quando Goodman viene invitato a indagare su tre casi irrisolti, di fronte ai quali la ragione non è in grado di dare spiegazione, le sue certezze cominceranno a vacillare.

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Una star al servizio della narrazione

Martin Freeeman durante il photocall di Ghost Stories
Martin Freeeman durante il photocall di Ghost Stories

Definire Ghost Stories un horror a episodi è corretto solo in parte. L'incasellamento in una struttura rigida non si confà a un'opera fluida e piena di sorprese che sfugge alle maglie di una precisa definizione per abbracciare generi diversi come l'horror psicologico, il thriller, il dramma e non disdegna di lasciarsi andare a momenti in cui domina uno humor molto british. Grazie al suo talento multiforme, Martin Freeman brilla nel ruolo cucitogli addosso da Nyman e Dyson. Le smanie da star, per fortuna, non sembrano appartenere all'interprete di Sherlock che si affida con fiducia nelle mani dei due autori e si mette al servizio di un film corale che si configura come un puzzle di storie, personaggi e rimandi a capisaldi del genere.

Ghost Stories: Andy Niman in un'immagine del film
Ghost Stories: Andy Niman in un'immagine del film

Impossibile entrare nel merito del plot. Ogni dettaglio rovinerebbe la sorpresa agli spettatori che si troveranno di fronte un Martin Freeman assai diverso dai personaggi a cui ci ha abituato finora. L'attore inglese stavolta supera se stesso "ingannando" il pubblico quanto basta per convincerlo a credere all'illusorio castello che Andy Nyman e Jeremy Dyson costruiscono muovendosi sapientemente sul labile confine tra realtà, credenza e illusione. Insieme a Freeman e all'onnipresente Andy Nyman, da sottolineare la performance convincente del veterano Paul Whitehouse nei panni di un guardiano notturno disincantato e afflitto da un grave tormento interiore e del giovane Alex Lawther nel ruolo di nevrotico adolescente che pagherà cara una trasgressione alle regole familiari.

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Fede versus ragione

Ghost Stories: Paul Whitehouse in una scena del film
Ghost Stories: Paul Whitehouse in una scena del film

Ghost Stories si innesta nella riflessione ingaggiata dall'uomo contemporaneo riguardo alla possibilità di conciliare fede nel soprannaturale e ragione. Il raziocinio è in grado di spiegare tutti i fenomeni che si verificano nel corso della vita o c'è spazio per altre forze, altri fenomeni apparentemente inspiegabili? Esiste un aldilà o l'esistenza finisce con la realtà tangibile? Andy Nyman e Jeremy Dyson non hanno la pretesa di fornire verità precostituite, ma decidono di esplorare quella terra di confine tra visibile e invisibile raccontando tre storie che mettono i brividi. Gli espedienti tipicamente horror - creature mostruose, esseri che schizzano fuori dall'oscurità, rumori assordanti - non mancano e in paio di momenti garantiamo che al pubblico si gelerà il sangue, ma lo scopo ultimo dei registi non è (solo) quello di spaventare il pubblico.

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Ghost Stories: Martin Freeman in una scena del film
Ghost Stories: Martin Freeman in una scena del film

Le atmosfere sospese e la sequela dei colpi di scena hanno il fine di stimolare una riflessione più profonda. Il fil rouge che unisce le tre storie su cui Goodman indaga, e il suo stesso passato, è il rimorso. Può il senso di colpa stritolare la mente dell'individuo fino a renderla permeabile all'illusione e alla credenza? E' su questo interrogativo che i due autori costruiscono il loro sofisticato castello di carte. Solo apparentemente semplice e immediato, Ghost Stories si rivela a un'attenta visione un sistema di scatole cinesi dove niente è casuale. Per godere appieno di tutti i rimandi occorrerebbero almeno due visioni del film che, nell'ultima parte, denuncia la propria matrice teatrale. Nyman e Dyson oscillano tra riflessione filosofica e omaggi al B movie britannico, mentre lo spettatore scorrazza su e giù per la brughiera inglese insieme al caustico broker di Martin Freeman di tweed vestito. La risposta fornita dagli autori alla dicotomia tra fede e ragione forse non resterà scolpita nella pietra, ma l'eleganza delle soluzioni visive e narrative fornite spiega bene perché in Inghilterra il film sia già divenuto un piccolo cult.

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Movieplayer.it

3.5/5