Presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2023 e finalmente disponibile su Netflix, Maestro di Bradley Cooper (leggi la nostra recensione) segna già la maturità autoriale dell'interprete e regista, che al suo secondo lungometraggio confeziona un intenso ed elegante ritratto di uno dei più grandi compositori americani, Leonard Bernstein. Considerato il secondo direttore d'orchestra migliore di tutti i tempi, autore delle musiche originali di West Side Story, della colonna sonora di Fronte del Porto di Elia Kazan e di innumerevoli composizioni e arrangiamenti per teatro, chiese e sinagoghe, Bernstein rappresenta l'anticamera del direttore moderno, figura complessa di fascino puro ed estremo.
Direttamente ereditato dalle sapienti mani di Martin Scorsese (rimasto come produttore) e per volere di Steven Spielberg, rimasto sorpreso da A Star Is Born, Maestro è divenuto nel tempo diretta emanazione dell'ideale cinematografico di Bradley Cooper, sviluppato in cinque lunghi anni come co-sceneggiatore - insieme a Josh Singer -, interprete e regista. Una creatura filmica concepita dall'autore per raccontare le molte facce di Bernstein come uomo, artista, marito, amante e padre, ma soprattutto come vera e propria opera d'arte umanizzata, senza mai rinunciare a una compostezza formale ragionata in diegesi con i modi e la vita stessa del compositore.
Il valore dell'ambiguità
Un'opera d'arte non risponde alle domande, le suscita; e il suo sostanziale significato si trova nelle risposte contraddittorie.
La citazione delle stesso Bernstein apre e guida l'intero film, dando senso ai modi del ritratto. La definizione è libera e personale, ma è vero che l'intuizione del maestro non riguarda l'opera d'arte in sé - come oggetto - quanto piuttosto il suo scopo. E secondo Bernstein i perché e le risposte univoche hanno credito superficiale, non servono alla contemplazione e nemmeno alla ricettività dell'opera stessa, risultando semplice mezzo di comprensione e non di ammirazione, intrusione o estasi. L'opera d'arte non va capita ma inquadrata, concentrando il fuoco dell'attenzione sulla creazione che si sta guardando o ascoltando. Ognuno può trovarci l'emozione o il significato che vuole o di cui ha bisogno, ed è sempre Bernstein a sostenere che è proprio nelle varie letture contrastanti di un'identica opera che si annida il suo valore più essenziale. Questo fa Maestro: inquadra la vita di Leonard Bernstein come fosse un'immensa opera d'arte da vivere senza la pretesa di facili risposte e nobilitando invece l'ambiguità totalizzante del protagonista, sua veste e vanto. Lo dice lui stesso: "Non ho avuto altra scelta che diventare un'amalgama di linguaggio, modi e visione della vita, che mi permette di essere molte cose allo stesso tempo. È per questo che noi siamo capaci di resistere e sopravvivere".
Dialoga con la futura moglie Felicia Montealegre (Carey Mulligan), destinata a sacrificare se stessa al marito, immolandosi in quanto donna, attrice e compagna per non spegnere e assecondare il talento e gli obiettivi dell'amato. Cos'è Felicia se non la vera artista dietro l'opera d'arte Bernstein? La sua vita è pura dedizione, al netto delle sfuriate e delle difficoltà che accompagnano da sempre l'esistenza di chi crea e mantiene. Lei è all'ombra del maestro proprio come un'artista è dietro la sua opera, il cui fine sono però gli altri, il pubblico, il mondo. Ed è ancora il Bernstein interpretato da Cooper a sottolinearlo, parlando della cura e del sostegno della moglie: "Non fosse per lei sembrerei un clown". Montalegre lo appella persino come "bambino", rivelando un amore istintivo e materno per lui e (guardando ad esempio anche al madre! di Darren Aronofsky) una fondamentale analogia tra figlio e genitrice, opera e artista.
Il film cerca persino d'immortalare direttamente nelle immagini questa sorta di transustanziazione dal Bernstein compositore e quindi artista in opera d'arte tout court, quando è lui stesso a salire sul palco immedesimandosi nel ruolo dell'attore che danza sulle musiche da lui scritte. Va oltre il suo ruolo effettivo (occupato dalla moglie, come dicevamo) e s'incarna nella musica stessa, la vive e la traduce in passi. Bernstein "vuole essere tante cose" ed è consapevole di tutte quelle volte "in cui non riesce proprio a trovare se stesso"; abbraccia la sua "schizofrenia" - come la definisce -, la accoglie, ne fa tesoro e si lascia anzi guidare dalla necessità di non poter essere una cosa sola, ammettendo e addirittura elevando a suo dogma esistenziale il contraddittorio umano che lo contraddistingue, che è poi lo stesso che dona profondo significato all'opera d'arte secondo la sua citata visione.
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I tanti volti del cinema
L'ambiguità di Leonard Bernstein non è un mistero. La stessa Montalegre rivelò di aver sempre conosciuto il "vero" orientamento sessuale del marito, pure se lui non cercò mai di nasconderlo, in effetti. Sposato, innamorato della moglie, dedito alla famiglia e ai figli ma dagli appetiti carnali misti, preferibilmente omosessuali. Le sue tendenze sono sempre state un limite per gli altri, mai per lui. Quando gli viene detto "di condurre la vita nel modo giusto in quanto responsabile dei doni ricevuti", gli viene consigliato di essere quello che vogliono gli altri, di non sprecare il suo enorme talento tra musical e teatro e dedicarsi solo alla composizione orchestrale. Gli viene suggerito di essere una cosa sola, non tante. Ma l'opera d'arte secondo Bernstein è contraddittoria, e pure se Leonard sostiene "di doversi considerare un musicista" al contempo non riesce a inquadrare perfettamente un fine unico per la sua occupazione. "Tutto ciò che ha a che fare con la musica è il mio campo", dice, "che si tratti di comporla, dirigerla, insegnarla, studiarla, suonarla. Finché è musica, la amo e la pratico". Qui viene fuori il pensiero del Bernstein artista che riflette sull'opera d'arte e il suo significato, mettendo però nuovamente se stesso all'interno delle proprie creazioni.
E allora l'osservazione rompe gli argini interni del film e tocca anche il cinema, nobilitandolo nella sua interezza, commerciale o autoriale, indipendente o da studios. Il cinema può essere colto o d'intrattenimento e fare tesoro di questa dicotomia proprio come il primo e più grande compositore americano può anche dedicarsi ai musical e all'intrattenimento. Finché è cinema, si ama, si pratica e si rispetta, tenendo fede a quell'ambiguità che è essenza dell'arte e accettando i molti contraddittori che la abitano. Per questo Leonard Bernstein è in Maestro soggetto e monumento del cinema di Bradley Cooper: perché artista e opera d'arte allo stesso tempo, privo di facili risposte e anche onesto autore della sua vita e delle sue musiche, capace di profonda depressione e di entusiasmante gioia di vivere, di amare la gente e dalla gente essere amato.