Durante la visione del sequel di Man in The Dark (soprattutto per chi è di Roma) non può non venire in mente Il Cavaliere Nero di Gigi Proietti. Già nel film del 2016 era chiaro che Norman Nordstrom, ex marine rimasto cieco durante la Guerra del Golfo, è una di quelle persone che non vanno disturbate. Quindi perché farlo? Eppure c'è chi ha il coraggio di provarci: sì, questa recensione di L'uomo nel buio - Man in The Dark parte con una domanda.
Nelle sale italiane dall'undici novembre, L'uomo nel buio - Man in The Dark è una mossa produttivamente molto intelligente: costato 10 milioni di dollari, il primo capitolo diretto da Fede Álvarez, che l'ha scritto con Rodo Sayagues, ha incassato quasi 160 milioni di dollari. Inevitabile quindi capitalizzare quel successo commerciale, questa volta con uno scambio di ruoli: a dirigere è Rodo Sayagues, mentre Fede Álvarez produce insieme a Sam Raimi.
Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia: ritroviamo dunque Norman Nordstrom (Stephen Lang) otto anni dopo la conclusione di Man in the Dark, intento ad addestrare una bambina, Phoenix (Madelyn Grace), per sopravvivere in qualsiasi situazione. È chiaro fin da subito che quegli insegnamenti le saranno utili: tra male intenzionati e criminali, la vita non è propriamente una passeggiata nei sobborghi di Detroit, città fantasma. Ovviamente (probabilmente perché non sanno come va a finire il racconto di Il Cavaliere Nero) dei folli non solo rapiscono Phoenix, ma invadono casa dell'uomo. Poveri stolti.
Stephen Lang come Daredevil
Diciamolo subito: la trama di L'uomo nel buio - Man in the dark è esilissima. Così come i dialoghi. Ma non è il fulcro di un film come quello diretto da Rodo Sayagues. Qualcuno potrebbe trovarci riferimenti all'America post Donald Trump, con il divario sociale sempre più marcato che spinge il cittadino medio alla rabbia, ma forse è pretendere troppo da una pellicola come questa. Anche il cambiamento di punto di vista, con Norman Nordstrom che da aguzzino si trasforma in un uomo pronto a tutto pur di salvare la bambina che ha cresciuto, non è poi così sconvolgente (anche se in America c'è chi ha storto il naso per la trasformazione di una figura negativa in un antieroe per cui il pubblico alla fine tende a entrare in empatia).
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A colpire è la messa in scena: giocando con la mancanza di uno dei cinque sensi del protagonista, proprio la vista, l'elemento più importante al cinema, il regista si dà alla pazza gioia nel cercare di ricreare una vera e propria esperienza sensoriale. Il suono, l'uso della luce e i colori diventano fondamentali. E Sayagues li usa molto bene: il finale tinto di rosso (in cui il direttore della fotografia Pedro Luque si scatena) è quasi una discesa all'Inferno. Il piano sequenza della bambina che si nasconde in casa farà invece felici gli amanti del virtuosismo con la macchina da presa.
Stephen Lang ne L'uomo nel buio - Man in The Dark diventa quasi la versione oscura di Daredevil: ogni piccolissimo rumore, come un respiro (il titolo originale è infatti Don't Breathe 2), o una goccia d'acqua gli rendono possibile vedere cosa accade nella stanza. E, una volta che ha capito la situazione, povero chi gli capita tra le mani: non si bada a spese sulla violenza, ritratta molto spesso con un gusto quasi sadico. Norman non è praticamente più una persona: è un istinto, una manifestazione di tutto ciò che di rabbioso c'è nella società di oggi. L'attore si impegna in un'ottima prova fisica e c'è anche qualche breve momento in cui può dare anche uno spessore drammatico al personaggio. Ma è il sangue quello che davvero conta in questa saga.
L'uomo nel buio - Man in The Dark è un'esperienza primordiale
Il duo di autori uruguaiani - che insieme ha realizzato anche il remake di La casa, durissimo pure quello, sempre con Sam Raimi a dare la sua benedizione e finanziare - ha ben chiara una cosa: il cinema è soprattutto un'esperienza visiva e sonora. Quindi, in un film come L'uomo nel buio - Man in The Dark, la tensione deve essere costruita soprattutto attraverso l'immagine e il sound design. E allora via tutte le parole inutili, dentro giubbotti di pelle con le borchie e colla, che possono avere un uso molto interessante. A parlare sono le immagini. E l'azione: ecco, se c'è una cosa che i registi sanno fare bene è costruire la tensione attraverso l'alternanza di movimento e staticità. Da come inquadrano gli oggetti si capisce tutta la determinazione, la rabbia, l'esperienza del protagonista. In due parole: puro cinema.
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L'uomo nel buio - Man in The Dark è quasi una pellicola da cinema muto, però con l'occhio e il gusto moderno di oggi. Con una colonna sonora, composta, da Roque Baños, a scandire il tutto. In un momento storico in cui il cinema di genere cerca sempre più spesso di elevarsi, di dare profondità ai suoi personaggi, Álvarez e Sayagues vogliono semplicemente raccontare una storia. Ricordandoci che ci vuole molta abilità nel realizzare questo cinema così artigianale e, se vogliamo, grezzo e sporco. Paradossalmente, senza un'idea a monte di lanciare un messaggio, L'uomo nel buio - Man in The Dark ne lancia uno molto più potente, grazie proprio alla sua forza visiva. Quindi non resta che entrare in questo mondo logoro creato dai filmmakers e immergersi nella sua sgradevolezza. E soprattutto ricordarsi di non andare a disturbare Norman "The Blind Man" Nordstrom.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di L’uomo nel buio - Man in The Dark, il duo di registi e sceneggiatori formato da Fede Álvarez e Rodo Sayagues capitalizza il successo di Man in The Dark con un sequel che non ha ambizione maggiore se non raccontare una storia di tensione con la forza delle immagini e del suono. Stephen Lang è di nuovo l'ex marine cieco Norman Nordstrom, che si ritrova a usare le mani, vere e proprie armi, per difendersi da male intenzionati che gli piombano in casa. Per chi ama il genere, una goduria visiva.
Perché ci piace
- La fisicità di Stephen Lang.
- L’uso dei colori e della luce del direttore della fotografia Pedro Luque.
- L’artigianalità con cui è costruita la tensione.
Cosa non va
- Chi si aspetta una trama o dei dialoghi di spessore è fuori strada.